Sono state la grazia e la trasparenza della pennellata nel dipinto che vedete qui sopra ad orientare stavolta la mia scelta di sguardi femminili. E a proposito di questo "Autoritratto", conservato presso la National Gallery di Londra, potrei anche parlare di garbo ed eleganza.
Autrice è Élisabeth Vigée Le Brun (1755 - 1842), artista francese che probabilmente tanti conoscono anche perchè le riproduzioni di alcuni suoi quadri a tema familiare hanno sempre avuto larga diffusione. È stata infatti una ritrattista dalla brillante carriera durante la quale ha dipinto non solo dame di corte divenendo la pittrice preferita della regina Maria Antonietta, ma anche opere che celebrano la maternità e gli affetti familiari, cosa singolare in un'epoca in cui il ruolo della donna era relegato in ambito privato.
La rivoluzione francese poi l'ha costretta ad abbandonare Parigi, ma questo le ha consentito di girare per le corti europee, da Vienna a Londra, da San Pietroburgo a Roma e non solo, facendosi apprezzare ovunque.
Artisticamente, la Le Brun si colloca nel periodo neoclassico, e tuttavia le sue creazioni non hanno quel carattere di aulica freddezza che troviamo in talune opere dell'epoca, non soltanto perchè la pittrice predilige il tema del ritratto, ma anche per la sua abilità nel catturare la luce, cosa che dona ai suoi dipinti grande morbidezza. E a tal proposito, osserviamo questo suo autoritratto - peraltro non l'unico - in alcuni dettagli.
Sono gli occhi ma anche le labbra, è l'incarnato lievemente roseo del viso con il candore del collo, e insieme sono gli orecchini a riflettere la luce conferendo al viso della donna una grazia ariosa. Ma a creare tale effetto di trasparenza, è anche lo spazio aperto in cui il ritratto è ambientato, con il cielo azzurro da sfondo e quelle nuvole che forse sarebbero piaciute al Tiepolo.
Una grazia che si riflette anche nell'abbigliamento: dal cappello di paglia con la morbida piuma e un serto di fiori di campo, ai lievi volant del corpetto, ai capelli non raccolti in un'acconciatura elaborata ma lasciati andare al vento, fino allo scialle scuro che l'avvolge fatto di un tessuto leggero e impalpabile.
Ma non si può trascurare il dettaglio a mio avviso più importante di questo ritratto, quello che connota Élisabeth Le Brun non solo come giovane donna ricca di leggiadria - e ricordiamo che il dipinto la ritrae a ventisette anni - ma prima di tutto come pittrice: la tavolozza.
Tavolozza, pennelli e colori sono infatti infilati nella sua mano sinistra e pronti per essere usati dalla destra qui dolcemente in riposo, e dallo sguardo della pittrice del quale ora intuiamo meglio l'espressione.
E com' è lo sguardo di un pittore? È un occhio intuitivo che spesso sa andare al di là della superficie e delle apparenze, oltrepassando la barriera della pura fisicità per cogliere l'anima di ciò che rappresenta, sia esso persona od oggetto.
La Le Brun si sofferma sulle persone, ma il suo sguardo non ha nulla di formale come potrebbe suggerire un ritratto d'occasione. Va invece ad indagare con dolcezza la psicologia delle figure femminili rappresentate facendo talora affiorare il mondo degli affetti che ciascuna cela. Ma com'è lo sguardo di una pittrice quando ritrae se stessa?
Non è argomento su cui si possa generalizzare, mi limito perciò a osservare questo dipinto nel quale mi pare che l'artista abbia colto in sè quella serenità interiore di chi nella vita sta realizzando il proprio talento, ciò per cui si sente tagliato: in questo caso la pittura. Leggo infatti nello sguardo di Élisabeth una gioia pacata, non sfolgorante ma tenera, animata da una serietà pensosa, una dolce fermezza che cogliamo nei suoi occhi rivolti allo spettatore ad esprimere consapevolezza di sè. E mi pare che questa immagine rifletta insieme l'autenticità di chi fa del proprio lavoro non un abito puramente esteriore, ma una passione che nasce dal profondo.
E passando alla musica, la grazia garbata di questo dipinto mi ha fatto subito risuonare in mente un brano di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827).
Si tratta del primo movimento della "Sonata per pianoforte n.24 in Fa diesis maggiore op.78" detta "A Teresa" perchè dedicata a Teresa di Brunswick con la quale il compositore ebbe una grande intesa intellettuale.
Il pezzo luminoso e dolce, è a tratti gioioso e animato, altrove malinconico, ma sempre trasparente a somiglianza di questo dipinto. L'indicazione agogica di "Adagio cantabile - Allegro ma non troppo" si adatta davvero bene ad un tema che, dopo lenti accordi introduttivi, si apre in una melodia limpida che ci resta dentro proprio per la sua cantabilità.
E se alcuni passaggi si fanno più accesi, Beethoven ne smorza subito la drammaticità per riportare la composizione ad una mirabile morbidezza che qui l'interpretazione di Alfred Brendel mette in splendida luce.
Buon ascolto!
(La foto è presa dal web)
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