venerdì 8 novembre 2019

"Departures"

(Foto presa dal web)
Hanno ridato in tv sere fa - se non ricordo male proprio il 2 novembre - il film "Departures", pellicola giapponese del 2008 per la regia di Yōjirō Takita. 
È una storia che si snoda pacatamente, con rara delicatezza e profondità, nonostante il tema possa risultare crudo.

Protagonista è Daigo, giovane violoncellista che, perduto il lavoro per lo scioglimento dell'orchestra in cui suona, trova una buona offerta presso quella che, inizialmente per un errore nell'inserzione, scambia per un'agenzia di viaggi. 
In realtà, il viaggio cui si allude è la morte: l'agenzia si occupa infatti della vestizione e della preparazione dei cadaveri, cerimonia che si svolge alla presenza di tutta la famiglia del defunto, come una sorta di rituale religioso. 
In un clima di silenziosa solennità, con gesti lenti, delicati e quasi carezzevoli, il morto viene lavato, vestito, il suo viso acconciato per cercare di ripristinarne la perduta bellezza, e in seguito i familiari potranno dargli l'estremo saluto.

Daigo, che ha accettato questo lavoro solo per motivi economici, fatica in un primo tempo ad abituarvisi, ma è l'anziano proprietario dell'agenzia che, se da un lato comprende le sue esitazioni, dall'altro lo incoraggia perché sembra intuire che - in realtà - il giovane è adatto per svolgere quel servizio. 
E infatti, col tempo, acquisterà con esso familiarità sempre maggiore arrivando a comprenderne anche il profondo valore umano.

Un tema coraggioso quello affrontato in questo film, e una sceneggiatura che mette in luce alcuni aspetti conosciuti della società giapponese che, tuttavia, data la delicatezza con cui sono trattati, non scadono mai al livello di luoghi comuni. 
Dalla rigida severità della famiglia che redarguisce aspramente i due cerimonieri funebri per soli cinque minuti di ritardo, al rispetto deferente con cui la stessa famiglia, dopo aver visto con quale cura essi hanno preparato il corpo del loro congiunto, chiede scusa del rimprovero iniziale. 
Dal pregiudizio di alcuni verso tale lavoro - pregiudizio del quale lo stesso protagonista, in un primo tempo, è vittima e che allontanerà da lui persino la moglie - alla successiva comprensione da parte di tutti dello spessore umano che tale servizio comporta.
Una riconciliazione quindi, tra le persone e con la realtà della perdita di chi amiamo, che ha il suo culmine quando Daigo, informato della morte del padre andato via di casa quando lui era ancora bambino, dopo il rifiuto iniziale accetterà di prepararne il corpo in prima persona.
Un racconto che la regìa rende sobrio come sobria è nel mondo giapponese la manifestazione dei propri sentimenti, e anche se il tema è impegnativo, non ne deriva una narrazione pesante. 
La sceneggiatura, infatti, oltre a sequenze che rendono il senso di un'acuta introspezione, ha qua e là tocchi di lieve umorismo insieme a uno sguardo capace di trattare con accenti di poesia un argomento che - al contrario di quello giapponese - il mondo occidentale talora preferisce nascondere.

Così, proprio in sintonia con la delicatezza con cui si parla qui della morte, mi piace pubblicare un brano tratto dal "Requiem in re minore op.48" di Gabriel Fauré (1845 - 1924), forse scritto dal compositore in memoria dei genitori.
È il "Pie Jesu", pezzo soavissimo affidato alla voce solista del soprano e caratterizzato da un lirismo sommesso e intimo al punto da essere stato definito una "ninna nanna". Non evoca infatti un transito doloroso, ma il senso di un riposo senza fine.
La melodia, pur snodandosi con accenti talora malinconici, non è priva di passaggi di luminosa e incomparabile dolcezza e va a concludersi in tonalità maggiore così com'era iniziata.
Molto intenso e altrettanto famoso - sempre dallo stesso "Requiem" - anche il brano intitolato "In Paradisum" che avevo scelto in un primo momento. 
Poi però ho notato che nel "Pie Jesu" alcune armonie sembrano ricordare quelle della scala pentatonica usata spesso nella musica cinese e giapponese, così mi è parso più adatto al contesto in cui è ambientato il film.

Buon ascolto!

4 commenti:

Rossana Rolando ha detto...

Proprio due giorni fa è morto Remo Bodei, grande figura di intellettuale e di filosofo. Perdita immensa per tutti (filosofi e non filosofi).
A lui è attribuita la frase: "La morte non è mai banale: è solennità, è mistero".
Mi pare corrisponda bene alla delicatezza con cui hai voluto trattare il tema, attraverso la descrizione del film e la scelta del brano musicale. Grazie, un abbraccio.

Annamaria ha detto...

Uno dei peggiori difetti del nostro tempo è proprio la tendenza a banalizzare riducendo il senso profondo e la grandezza di un evento. Centratissime le parole di Bodei!
Grazie del riferimento, cara Rossana,e un abbraccio!

Stefyp. ha detto...

Mi è piaciuto come ci hai parlato del tema della morte attraverso il film e la scelta del brano musicale. La delicatezza delle tue parole insieme alla solennità e dolcezza di questa melodia coinvolgono molto.
Grazie, cara Annamaria. E' sempre bello passare da qui.
Buon pomeriggio e un abbraccio, Stefania

Annamaria ha detto...

La delicatezza di cui parli, cara Stefania, è proprio nella sceneggiatura del film che riesce a toccare un tema profondo con mano lieve.
Il brano è davvero sublime come un po' tutto il "Requiem" di Fauré e mi è parso adatto al film non solo per il motivo di cui ho parlato alla fine del post, ma anche per il suo andamento dolce e pacato, malinconico e insieme luminoso che riflette l'atmosfera di questa pellicola.
Grazie di cuore e un abbraccio!!!