martedì 28 gennaio 2025

"Marginalia"


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi hanno sempre attirato gli antichi codici miniati, sia quelli che presentano veri e propri quadretti a somiglianza del celebre Ciclo dei Mesi dei fratelli Limbourg del quale ho parlato tanti anni fa, sia quelli ricchi di ornamenti magari solo nel capolettera.
Ma interessanti sono spesso anche i marginalia, cioè tutta quella serie di note o de
corazioni realizzate soprattutto in epoca medioevale e poi rinascimentale, che hanno conferito particolare pregio artistico al codice, sia che fosse un corale, un antifonario o un libro d'ore, sia che fosse un testo profano.

Si trattava ora di motivi floreali, ora di scene cortesi o di episodi cavallereschi, spesso di animali con significati simbolici, ma anche di rappresentazioni grottesche e irriverenti che talora avevano intenti satirici. Tuttavia, non ci si deve meravigliare che fossero riprodotte in codici sacri perchè, oltre il bordo del testo entro cui le immagini dovevano rispettarne l'argomento, il miniatore poteva sbizzarrire la propria fantasia anche con figurazioni improbabili e decisamente sorprendenti.

 

 

 

 

 

 

 

 


Ne è un esempio il Salterio Luttrell che vedete qui sopra, nel quale si
possono ravvisare figure bizzarre e inesistenti, nate da una fantasia dalla quale potrebbe aver preso spunto, più di un secolo dopo, Hieronymus Bosch. Ma a parte questi dettagli, grande è la grazia della maggioranza delle decorazioni soprattutto floreali. Così, tra la pluralità di esempi, ne ho scelto alcuni che dimostrano l'estro dei vari miniatori.
Iniziamo dall'alto con un'immagine che, per il suo splendore, non esito a definire lussureggiante e che rappresenta un elegantissimo pavone mentre fa la ruota, affiancato da un piccolo coniglio e una
lumaca tra una miriade di fiori diversi. Si tratta di animali che, nella spiritualità cristiana, simboleggiano la resurrezione come pure la rinascita e la fertilità ed è significativo che siano raffigurati proprio a margine di un testo sacro come un libro d'ore.

E sempre da un libro d'ore è tratta l'immagine che vedete qui a lato dove alcune dame siedono in un rigoglioso giardino sotto un pergolato, intrecciando una corona di fiori.

In entrambe le miniature, insieme a una grande raffinatezza, troviamo un'atmosfera fiabesca e una notevole varietà di tinte: nel primo caso giocate sul blu, rosa e verde; qui invece col rosso che spicca al centro, come quei garofani - almeno così mi sembrano - di dimensioni decisamente sproporzionate rispetto alle persone.
È infatti un variopinto insieme di fiori, farfalle, pampini e grappoli d'uva in cui le figure umane si confondono tanto che occorre quasi cercarle. Ma le dame che qui intrecciano ghirlande mi ricordano la celebre ballata del Poliziano "I' mi trovai fanciulle un bel mattino / di mezzo maggio in un verde giardino", dove colei che parla sta proprio intessendo una corona di fiori, in quel caso di rose. E non mi sembra trascurabile il fatto che sia lo sconosciuto miniatore che il poeta siano stati contemporanei, perchè vissuti entrambi nel XV secolo.

Ma interessante osservare anche com'era strutturata la pagina di un antifonario, col capolettera miniato all'interno del quale era rappresentata spesso la scena relativa al contenuto del testo e intorno, proprio ai margini, una serie di ornamenti e ricche decorazioni.

In questo che vedete qui a lato, la grande lettera A della parola Angelus raffigura al suo interno la scena delle Marie al sepolcro, scena molto dettagliata che corrisponde esattamente all'annunzio della resurrezione di Gesù riportato nella pagina.
Il margine del foglio è contornato invece da un disegno che rappresenta vasi fioriti e altri abbellimenti che conferiscono a tutto l'insieme un senso di armonia e di ordine sia nella disposizione delle varie decorazioni che nell'uso e nell'alternanza dei colori.

A questo proposito, ho riportato qui accanto il particolare di un altro manoscritto che, nei margini, vede una figura impegnata a suonare una sorta di liuto su di uno sfondo di volute e foglie curvilinee simili a dei convolvoli.
Proprio questo sfondo è interessante perchè mi pare che
- nel corso del tempo e in altri contesti - da esso abbiano preso spunto alcune celebri carte decorative come quella di Varese nella cosiddetta fantasia fiorentina.


Se osserviamo infatti l'immagine successiva, ci accorgiamo che i disegni di fondo sono molto simili, come pure - al di là di una certa differenza di tonalità dovuta alle foto - simili sono i colori giocati tra il rosso, il verde, il blu e il giallo.

Ricordo di aver usato spesso questa carta dalla fantasia vivace ed elegante per coprire libri, agende e a volte anche il mio registro di scuola.

Bene, bella, direte voi.
Ma che ci fa l'ultima foto tra antiche
miniature? È forse uno scherzo?...
Domanda pienamente giustificata perchè avrete
riconosciuto subito lo stile di Keith Haring (1958 - 1990), pittore e writer statunitense, famoso per i suoi graffiti metropolitani che tutti abbiamo visto, riprodotti magari su tazzine da caffè o sulla copertina di un quaderno.

L'opera che vedete, al primo sguardo piuttosto semplice, in realtà non è così elementare come sembra. Su di un fondo bianco, essa presenta quattro figure geometriche colorate, dalle forme differenti e dai contorni un po' imprecisi. I lati infatti sono interrotti da piccoli elementi curvilinei che non si collocano però a metà di ciascun segmento, ma in una posizione che, a occhio, potrebbe anche indicarne la sezione aurea...O no?

A parte questo, ciò che in essa mi pare di leggere e che mi affascina è il riferimento all'antica carta decorativa che avete visto sopra, della quale Haring sembra aver fatto una versione contemporanea, colori compresi: rosso, giallo, verde e blu.
Pura fantasia della sottoscritta?...
Può darsi perchè là ci sono linee curve e qui invece rette. Ma mi piace pensare che
Haring abbia preso spunto proprio da quel tipo di carta, facendone un'espressione geometrica, schematica e stilizzata secondo i canoni di una moderna semplificazione e del suo estro. Chissà!...

E per passare alla musica, torno indietro nel tempo con un brano che mi è sempre piaciuto molto. Si tratta di "So ben mi ch'ha bon tempo", uno dei tanti balletti rinascimentali scritti dal modenese Orazio Vecchi (1550 - 1605) e pubblicati all'interno della raccolta intitolata Selva di varia ricreatione. Nonostante il compositore fosse un monaco, ha dato il meglio di sè nei suoi testi profani, tra madrigali e canzonette nelle quali ha celebrato con semplicità la piacevolezza del vivere.
"So ben mi ch'ha bon tempo" è un'aria a 4 voci che rispecchia caratteri di leggerezza e ironia, un brano gioioso che può almeno in parte accordarsi con la fantasia di quei miniatori che ci hanno regalato mondi di fiaba e universi variopinti.

Buon ascolto! 

Le foto, tutte prese dal web, rappresentano nell'ordine:

1)  Book of Hours, Paris ca. 1430 : "Rabbit, snail and peacock" (Manchester, John Rylands University
Library, Latin MS 164, fol. 21r)
2) Salterio di Luttrell (1325 - 1340) Biblioteca britannica, Inghilterra.
3) Libro d'Ore ad uso di Roma, ms. Latin 1156B, c. 31r, XV secolo: "Corona di fiori"
Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits, Parigi.
4) “Secondo Maestro dei Corali di San Salvatore al Monte”, iniziale A con le Marie al sepolcro.
Antifonario 591, c. 2v.
5) Book of Hours, MS M.26 fol.88. Images from Medieval and Renaissance Manuscripts Morgan library.
6) Carta Varese, fantasia fiorentina.
7) Keith Haring: Senza titolo. Stampa su carta.

 

domenica 19 gennaio 2025

Se lo sguardo è femminile - 1











 

 

Sarà stata la semplicità di quel mazzetto di viole nel bicchiere o l'atmosfera calda e luminosa della stanza, o ancora la morbidezza che contraddistingue l'intera composizione, ma l'immagine che vedete mi ha suggestionato al punto che ho desiderato subito condividerla qui.
Si tratta di una celebre opera della pittrice parigina Eva Gonzales (1849 - 1883) intitolata
"Risveglio del mattino" e conservata presso la Kunsthalle di Brema. Con essa inauguro oggi una serie di post che ho chiamato "Se lo sguardo è femminile" : una piccola selezione di dipinti creati nel tempo da donne e che talora hanno come protagoniste proprio figure femminili. Ne pubblicherò uno al mese senza andare per forza in ordine cronologico, ma seguendo di volta in volta i suggerimenti del cuore.

Così oggi inizio dalla Gonzales che, insieme a Berthe Morisot, è considerata una delle pittrici più celebri dell'Impressionismo francese.
Allieva e per un certo periodo ispiratrice di Edouard Manet - iniziatore del movimento che ha aperto nuove vie
nell'arte del secondo Ottocento - ne assorbe gli insegnamenti. Tuttavia, col tempo traccia una propria strada che la rende più autonoma e capace di creare uno stile personale all'interno di un ambiente e di una professione allora dominati da figure maschili.

A distinguerla dagli altri è la sua aderenza al vero e alla raffigurazione di una vita quotidiana fatta di piccole cose, ricche di una freschezza lontana dal rischio delle rappresentazioni di maniera.
I suoi tratti pittorici ci regalano infatti quella semplicità autentica
che nasce da uno sguardo acuto sul mondo, intrecciato però ad altrettanta leggerezza.
Osserviamo allora tali caratteri nel dipinto nel quale la donna ritratta è Jeanne,
sorella minore di Eva Gonzales, spesso riprodotta dall'artista anche altrove.

Mi colpisce in esso la prevalenza di tinte chiare: dal bianco di lenzuola, cuscini e tendaggi, a quelle dell'incarnato della fanciulla che sotto il tocco della luce assume tonalità dorate. Tinte messe in risalto dal contrasto con la chioma di capelli scuri, il legno del comodino e il mazzo di violette. Ma affascinante è anche la delicata morbidezza delle linee sinuose e vagamente sfumate, che seguono con estrema leggiadrìa il profilo del corpo e del viso della giovane.

Qui la scena rappresentata è il risveglio del mattino con la luce che illumina la stanza e le viole che fanno da timido e gioioso presagio di primavera. Tuttavia, nello sguardo della ragazza la pittrice coglie un'espressività nella quale possiamo leggere emozioni diverse.


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse una lieve malinconia, forse un sospiro, un pensiero nostalgico che torna ad avvolgerla dopo il sonno, o ancora un vago ricordo che la lascia in quel molle e un po' pigro indugiare nel letto. È l'impressione di un sogno del quale la fanciulla tenta di riannodare i fili? O il pensiero di ciò che aveva letto prima di dormire? A ben guardare infatti, appena abbozzato tra le lenzuola si scorge un paio di occhiali e sul comodino, accanto ai fiori, c'è un libro.

Non sappiamo rispondere a tali interrogativi, ma possiamo affermare che  l'immagine che la luminosa pennellata ad olio ci restituisce nasce dalla particolare trasparenza alla luce frutto della lezione impressionista, che la Gonzales fa sua in modo tutto personale traendone sfumature di struggente dolcezza. È il miracolo di un tratto pittorico preciso, tanto da rendere con efficace realismo anche le pieghe del cuscino e la freschezza del mazzo di violette, ma al tempo stesso indefinito come gli occhi della fanciulla forse appena velati di pianto.
Uno sguardo incantevole proprio per la sua indeterminatezza e anche se il riferimento cronologico è
sfasato - l'opera infatti è del 1876 - potrebbe ricordare l'idea di bellezza nella poetica del vago e dell'indefinito del Leopardi.

Ma il pensiero del Leopardi mi ha riportato indietro verso il clima romantico, così ho associato all'immagine la "Consolazione n.3 in Re bemolle maggiore S.172" di Franz Liszt (1811 - 1886), pezzo tra i più famosi del musicista ungherese che avevo già pubblicato anni fa qui.
Lo so, il brano è del 1850 e presenta anch'esso una sfasatura cronologica rispetto al
dipinto, ma è una musica che fonde nelle sue note le mille percezioni del cuore, ora più limpide, ora più malinconiche senza ignorarne ogni minima sfumatura a somiglianza dello sguardo della fanciulla del quadro. Così, nella sua alternanza di tonalità maggiore e minore, mi è parso adatto a farle da colonna sonora più ancora di un pezzo impressionista.

Sono state le prime note a suggestionarmi, vagamente indolenti e carezzevoli che mi pare possano riprodurre l'atteggiamento e lo stato d'animo della fanciulla al suo risveglio. Il brano del resto ha l'indicazione di "Lento e placido" proprio a comunicare quella sensazione molle di chi riapre gli occhi dopo il sonno riannodando gradatamente il filo dei suoi pensieri e delle sue percezioni. E come per il passato, ve lo regalo col prodigioso tocco di Valentina Lisitsa che sembra accarezzare con le sue mani i tasti del pianoforte in un'interpretazione che di questa musica esalta la delicatezza e l'afflato nostalgico.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

sabato 11 gennaio 2025

Scorci di vita quotidiana

Sono tanti i particolari del nostro vivere quotidiano che, nel tempo, la pittura ci ha regalato. I vari artisti, infatti, sono entrati spesso nelle case per cogliere una miriade di dettagli, restituendoci oggetti, azioni, abitudini, gesti, sguardi talora simili ai nostri nei quali riconoscerci.
Tuttavia, se tali caratteri sono ravvisabili in diverse opere nell'arco dei secoli, a
me pare che sia la pittura del Medioevo e del primo Rinascimento ad avere quella particolare attitudine narrativa che racconta con squisito realismo alcuni aspetti del nostro vivere. Così, oggi mi piace fermare l'attenzione su di un'immagine che da tempo mi affascina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta della "Natività della Vergine" del Maestro dell'Osservanza, identificato col senese Sano di Pietro (1405 - 1481), opera conservata presso il Museo d'arte sacra di Asciano. Come vedete nella foto qui sopra, il dipinto è un trittico, sormontato inoltre da tre riquadri con storie di Maria che, per problemi di spazio, non ho riportato. Nella rappresentazione dell'evento, possiamo ravvisare le varie stanze della casa: dalla camera a una zona retrostante e al giardino. Sant'Anna a destra - identificata anche dall'aureola come pure a sinistra Gioacchino - è a letto mentre alcune donne vestono la neonata e altri conversano. Nè manca un angioletto che scende a portare una corona per festeggiare la piccola Maria.
Interessante sul piano iconografico il fatto che i diversi ambienti
sembrano suddivisi dalle colonnine del trittico, mentre in realtà sono unificati dal medesimo impianto prospettico sottolineato dal bel pavimento a quadri.

Si tratta di un elemento compositivo che il Maestro dell'Osservanza ha desunto dalla famosa "Natività di Maria" di Pietro Lorenzetti che vedete qui a lato, dipinta circa un secolo prima e conservata al Museo dell'Opera del Duomo a Siena.
Del resto, il tema della nascita della
Vergine ha avuto molta fortuna nel tempo con opere di Paolo Uccello, del Ghirlandaio, di Andrea del Sarto, Carpaccio, Beccafumi e via dicendo.
Ma è sul trittico del Maestro dell'Osservanza che intendo soffermarmi e in particolare
su quella figuretta di fondo riportata in alto. Figuretta in secondo piano certo, ma al tempo stesso centrale in quanto le direttrici prospettiche del dipinto vanno a convergere proprio su di lei. Chi può essere?

Forse un'ancella, o forse - a giudicare dall'eleganza dell'abito - una persona di famiglia che sta portando da mangiare alla puerpera e che ci offre un'immagine di semplicità e insieme di raffinatezza.
Mi colpisce il suo sguardo vivo, attento, presente a ciò che sta facendo e che - unico fra tutti gli altri - è
rivolto a noi che osserviamo.
Ma interessanti anche altri particolari come la bionda
acconciatura ordinata, il tessuto dell'abito simile al damasco, l'asciugamano drappeggiato sul braccio e soprattutto ciò che la donna porta nelle mani: un brodino da una parte e un polletto dall'altra, cibi leggeri per la madre che ha appena partorito. 

Ad incantarmi è stata proprio la meravigliosa concretezza dell'ultimo dettaglio, peraltro non ostentato dall'artista tanto che - a una prima occhiata - questa figuretta seria e bellissima che ci guarda dritto negli occhi potrebbe anche sfuggire alla nostra attenzione. Eppure essa testimonia la cura descrittiva e la ricchezza decorativa tipica del mondo cortese della prima metà del Quattrocento, periodo in cui il Maestro dell'Osservanza - non a caso anche miniatore - realizza il trittico.
La scena è vivacizzata dal rosso di alcuni abiti e arredi, in un insieme dove niente è lasciato al caso - ci sono persino i fiori nel giardinetto - perché dall'opera emerga lo splendore di un evento insieme a un senso di profonda pace.
Ma sono anche i gesti e gli sguardi delle ancelle
a restituircela nella loro calma e pacatezza, mentre scaldano i panni a un bel fuoco e si prendono cura della piccola, o mentre versano acqua sulle mani di Anna in un'atmosfera familiare dove ciascuno sembra essere serenamente al proprio posto.

È stato quest'ultimo aspetto a suggerirmi la scelta del brano di musica. Avevo pensato a lungo a quale pezzo associare alle immagini, incerta tra una composizione rinascimentale, un inno di lode per la nascita di Maria o un festoso Gloria. E invece no.
Senza far molto caso alla cronologia, sono andata oltre seguendo il fascino del luogo in cui l'artista ha ambientato la rappresentazione e la serenità dei gesti dei personaggi che la animano.

Allora mi è tornato in mente un brano di Anton Bruckner (1824 - 1896) che ho pubblicato più di dodici anni fa qui, e che mi permetto di riproporre. Perchè mai? Perchè si tratta del mottetto intitolato "Locus iste" scritto dal compositore - come leggerete sul vecchio post - per l'anniversario della dedicazione di una cappella della cattedrale di Linz. Il testo, facendo riferimento ad alcuni episodi biblici, dice infatti: "Locus iste a Deo factus est, inaestimabile sacramentum, irreprehensibilis est."

Ma quella sacralità che le parole esprimono e che Bruckner ci restituisce in musica riferendosi ad una cattedrale, mi pare si possa attribuire anche alla dimensione ordinaria del nostro vivere e ai luoghi in cui essa si dispiega, dimensione feriale, fatta di gesti semplici e quotidiani proprio come accade in una casa.
Nel vecchio post, commentando un affresco del Maestro di Tolentino, concludevo
dicendo che l'artista ci insegna che quel locus a Deo factus può essere ovunque e mi sento di ripeterlo oggi alla luce della "Natività della Vergine" del Maestro dell'Osservanza. Anche la quotidianità ha il valore inestimabile del tempo speso nel lavoro e nelle relazioni, dai gesti più eclatanti ai più piccoli ma non meno significativi come il prendersi cura di una neonata e di una puerpera alla quale portare un brodino e un polletto.

Buon ascolto! 

(Le foto sono prese dal web)

 

giovedì 2 gennaio 2025

Il miracolo della musica

Ho visto in tv, lo scorso 30 dicembre, il film del regista tedesco Florian Baxmeyer intitolato "Bach - Il miracolo della musica".
Si tratta di una pellicola recentissima che vi
consiglio vivamente di vedere, incentrata su di un difficile momento della vita del compositore.

Siamo nel 1734 e il comune della città di Lipsia, che gli aveva conferito l'incarico di Kantor presso la Thomaskirche, lo accusa di scrivere una musica che, lungi dal favorire la preghiera, soddisfa solo la sua vanagloria. Niente di più lontano dalle intenzioni di Bach, ma a ciò si aggiunge la reazione del compositore che col proprio temperamento irascibile finisce per pregiudicare i rapporti con le autorità cittadine. Ne consegue la proibizione di eseguire l'Oratorio di Natale al quale il musicista sta lavorando in prossimità della festa. Anche i tentativi della moglie Anna Magdalena e di Carl Philipp Emanuel di intercedere presso le autorità restano senza esito e la situazione si risolverà solo poi per merito di Gottfried, il figlio più giovane.

Non so fino a che punto l'intera vicenda narrata abbia radici storiche.
Resta vero però che il conflitto messo in luce dal film testimonia la serie di
controversie che avevano realmente deteriorato nel tempo i rapporti tra le autorità di Lipsia e il compositore, sia per il suo carattere difficile che per la grettezza dei maggiorenti della città incapaci di comprendere a fondo il valore della sua musica. Al di là di questo, tuttavia, il film mi ha colpito anche per una serie di altri aspetti.

Innanzitutto la rappresentazione della figura di Bach che - dico la verità - in un primo tempo mi ha spiazzato. Ascoltiamo le sue note che ci conducono ad altezze vertiginose e poi troviamo un omone massiccio e collerico che, a mio avviso, mal si adatta a quello che il compositore è nell'immaginario collettivo, o forse solo nel mio. Tuttavia, il prosieguo della narrazione offre molti altri spunti che arricchiscono la sua personalità di sfaccettature e che mi hanno aiutato a comprenderne meglio la sostanza.
Emerge infatti il suo amore per la numerosa famiglia guidata con rigore inflessibile; emergono varie divergenze col
figlio Carl Philip Emanuel che pure nutre per lui grande stima; affiora il dolore struggente per i bimbi morti in tenera età; ma al di sopra di tutto, a dominare è uno sconfinato amore per la musica come scintilla divina che tutto anima e motiva. 

È quindi un Bach non idealizzato, ma visto nella profondità del suo genio e al tempo stesso nella concretezza dell'esistenza quotidiana, tra problemi pratici e relazionali, come capita a tutti noi. E la bellezza che poi ho colto nella sua figura sta proprio nel fatto che i due aspetti sono intrecciati: l'assoluta dedizione alla musica insieme alle esplosioni di ira nate dall'esigenza di dedicare ad essa il silenzio e la concentrazione necessari. Drammatica, a questo riguardo, la scenata che fa al figlio Gottfried a seguito della quale il ragazzino scapperà di casa. Dinamiche per cui, se in un primo momento può sembrare che l'impegno del musicista per la composizione sia così totalizzante da distoglierlo dai problemi familiari, poi emergerà il legame fortissimo che egli avverte con ciascuno di loro.

Appropriata, a mio avviso, anche la fotografia che ci restituisce un ambiente spoglio ed essenziale, specchio di una famiglia non ricca, dove il padre ha necessità di non perdere il proprio incarico anche per motivi economici. E interessanti le sequenze in cui tutti sono riuniti intorno al tavolo a scrivere la partitura dell'Oratorio di Natale mentre il compositore la detta, nota per nota.
Affascinante la figura della seconda moglie Anna Magdalena,
pienamente consapevole della grandezza del marito. Donna forte e coraggiosa, della quale cogliamo anche il dolore struggente per la morte dei figli nella scena in cui porta giacinti sulla loro tomba.

Ma al di sopra di tutti, il personaggio che mi ha restituito il più toccante senso di bellezza è il figlio Gottfried, affetto da una forma di disabilità mentale e tuttavia dotato di una sensibilità fuori dal comune. Una sensibilità che, nonostante il ragazzino parli poco, gli fa comprendere ciò che avviene in famiglia quasi fosse un'anima silenziosa che soffre per tutti esprimendo la propria intensità attraverso lo sguardo. Una sensibilità che gli fa cogliere dal profondo lo splendore della musica del padre che - per così dire - egli assorbe dal suo nascondiglio sull'organo dal quale osserva ogni cosa imparando anche a cantare.
Sarà proprio lui che, verso al fine della narrazione, quando la possibilità di esegu
ire l'Oratorio di Natale sembra definitivamente perduta, ne intonerà un'aria seguito dagli altri familiari, salvando così la situazione.
E sarà ancora lui che, durante il concerto in chiesa, sul ritmo dell'orchestra e del
coro diretti maestosamente dal padre, si metterà a danzare lungo la navata tra la sorpresa e la commozione degli astanti, preso dal miracolo della musica. Una scena di toccante poesia, se consideriamo che tale moto dell'anima fiorisce nel figlio più fragile - peraltro disprezzato dai compagni come si vede all'inizio del film - ma che più di tutti avverte l'incanto di quelle note fino ad esprimerlo nello splendore di una danza.
Così, grazie a questo film, si può comprendere meglio quanto le creazioni di Bach ci
avvicinino al senso profondo dell'esistenza nel suo legame col divino e quanto la musica abbia un afflato capace di raggiungere anche quelli che non ci sono più.

Affascinante naturalmente la colonna sonora a cominciare dalla "Cantata BWV 208" che risuona all'inizio del film e che avevo già postato qui in varie versioni. Ma il pezzo che vado a pubblicare oggi è tratto proprio dal grandioso "Oratorio di Natale BWV 248" formato da sei parti per tutte le solennità del periodo natalizio. Quello che trovate è il brano di apertura intitolato "Jauchzet, frohlocket! auf, preiset die Tage" (Esultate, giubilate! Su, lodate questi giorni!).
Si tratta di una composizione gioiosa e altisonante che si avvale anche di trombe e
timpani, in cui Bach ha rielaborato del materiale preesistente e in particolare quello della sua "Cantata BWV 214" scritta per il compleanno di Maria Giuseppa d'Austria. È questo il metodo della parodia, termine che qui ha un'accezione diversa da quella che usiamo abitualmente e che indica il riutilizzo di una musica in un contesto diverso da quello per cui era nata, indipendentemente dal fatto che l'ambito fosse sacro o profano. Procedura abbastanza comune nel periodo barocco e che Bach ha usato più volte.
Sostenuto da un'orchestra squillante e ritmata, il brano ci dà quindi l'idea luminosa della festa e rende gloria a Dio testimoniando ancora una volta la grandezza del suo autore.

Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, vedete un'immagine del piccolo Gottfried interpretato nel film da German von Beug)