martedì 28 maggio 2024

Bachiana soavità

Scrivevo giorni fa che la produzione di Bach non si è limitata a temi di carattere sacro, ma ha anche spaziato in ambito profano, e portavo come esempio le numerose danze presenti nelle sue musiche.

Ma l'elenco potrebbe continuare perchè, prima di assumere l'incarico di Kantor presso la Thomaskirche di Lipsia dal 1723 fino alla morte avvenuta nel 1750, il compositore era stato al servizio del Duca di Weimar.
Di conseguenza diversi pezzi erano stati scritti
in occasione di feste, compleanni o matrimoni. Ricordo inoltre la famosa "Cantata del caffè" (che deve il nome al fatto che i concerti si tenevano al Caffè Zimmermann di Lipsia), opera non priva di risvolti talora umoristici a indicare l'attenzione di Bach per la piacevolezza del vivere e il gusto dell'intrattenimento. 

Così, ascoltando alcune sue creazioni profane, sono arrivata a un brano che dal titolo mi pareva di non conoscere, mentre poi ho scoperto che la melodia non mi è nuova forse perchè riecheggia in altri lavori bachiani ed è stata poi variamente arrangiata.
Si tratta dell' Aria n.9 per soprano, dalla "Cantata in Fa Maggiore per soli, coro
e orchestra BWV 208" detta "La caccia" e scritta dal compositore per celebrare il compleanno del duca Christian von Sachsen-Weissenfels che era appunto un appassionato cacciatore.
Il testo, intitolato "Schafe können sicher weiden” (Le pecore possono pascolare
sicure) e scritto da Salomon Franck, poeta presso la corte di Weimar, recita proprio così:

"Le pecore possono pascolare sicure
dove veglia un buon pastore.
Dove i sovrani governano con saggezza
si assapora pace e tranquillità
e ciò rende felici i paesi."

La strofa è parte di una composizione più ampia inserita in una cornice mitologica che funge da pretesto per rendere omaggio al duca.
Ma al di là del clima di circostanza e dell'atmosfera talora arcadica di altri brani della
Cantata, qui l'immagine del sovrano saggio paragonato a un buon pastore sotto la cui guida le pecore pascolano sicure non può non colpirci, soprattutto in questi nostri tempi lontani dalla pace che "rende felici i paesi".
Parole che la musica di Bach va a sostanziare di profondità e assorta bellezza.

L'indicazione del brano in alcune partiture è "Andante pastorale", in altre è "Andante piacevole", ma bisogna considerare che spesso tali didascalìe erano inserite a scopo didattico dai vari editori o dai trascrittori. In ogni caso, il tratto distintivo del pezzo è la soavità.
Dopo l' introduzione suonata da due flauti
dolci e sostenuta dall'organo e dal violoncello, fiorisce un' aria affascinante qui valorizzata dalla nitida morbidezza della voce di Ellen McAteer.
È una melodia dolcissima e insieme ricca di solennità religiosa, non solo perchè in alcuni passaggi può ricordare davvero un inno cantato nelle nostre chiese, ma per quella dimensione raccolta e pensosa talora presente anche nelle creazioni profane del compositore. Una musica che ci resterà nel cuore come un piccolo raffinato gioiello del genio bachiano.

Ma come scrivevo sopra, il brano ha avuto svariate rielaborazioni, così ve ne propongo anche una per coro e orchestra dall'atmosfera certo molto diversa rispetto alla versione precedente. Nonostante questo, a me pare altrettanto suggestiva e apprezzabile sia per la coesione dei coristi - non sempre facile in un gruppo così numeroso - sia per l'intensità non eccessiva delle voci che fanno così emergere tutto il fascino dello spessore polifonico.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)


 

 

martedì 21 maggio 2024

Specchi d'acqua - 5


Una rappresentazione particolarmente insolita quella di oggi, sia per i colori, sia perchè non si tratta di uno specchio d'acqua che scorre ma di ghiaccio.
Il dipinto che vedete, infatti - attribuito da alcuni critici a Gabriel Bella (1730ca.
- 1799), secondo altri invece di autore anonimo - rappresenta "La laguna ghiacciata alle Fondamenta Nuove" ed è conservato presso la Pinacoteca Querini Stampalia a Venezia.

In ogni caso, chiunque ne sia stato l'autore, il quadro registra un evento realmente accaduto nell'inverno del 1708: l'ondata di gelo di portata inusuale che, scesa dalla Russia, aveva paralizzato fiumi e laghi di tutta Europa e persino il mare in alcuni porti del Mediterraneo. Anche la laguna veneta era stata toccata da tale fenomeno e, per potersi scaldare, la gente si era vista costretta a bruciare addirittura i mobili.

Ma, come talora accade, di un evento sia pur tragico la vita ci spinge poi a notare anche altre sfaccettature e così c'è chi nel contesto di una calamità coglie magari l'occasione per un divertimento. Il dipinto che vediamo registra proprio questo aspetto mostrandoci la gente che pattina sulla superficie gelata della laguna.

Lo possiamo osservare nei due particolari riportati qui sopra e sotto, nei quali si riesce a distinguere sia chi volteggia abilmente sul ghiaccio per proprio piacere, sia chi è in difficoltà e cade; chi attraversa la laguna per necessità e chi al contrario lo fa solo per diletto. E c'è anche chi si fa trascinare su di una sorta di sedia a rotelle a mo' di slitta. Insomma, un dipinto ricco di quella vivacità e varietà che anima la vita reale nella sua concretezza quotidiana che qui trabocca da ogni minimo dettaglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma, oltre che dalla propria originalità, da chi avrà preso spunto il pittore - conosciuto o anonimo che sia - per impostare tale descrizione?
A me pare che la risposta sia facile: dai ve
dutisti veneziani per la schiera di edifici sulla destra, anche se qui sono riprodotti in modo più semplice e un po' naïf; ma soprattutto dai pittori fiamminghi del Cinquecento e del Seicento per il modo di disporre le figure umane nello spazio aperto.

E mi vengono subito in mente le tante celebri rappresentazioni di Pieter Bruegel il Vecchio (1530ca - 1569), con i pattinatori sulla superficie ghiacciata di un fiume o di un lago, come vedete qui a lato nel dettaglio di "Cacciatori sulla neve", e poi sotto nel particolare del dipinto intitolato "Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli".



 

 

 

 

 

 

 

 

E come Bruegel, anche l'opera dell'olandese Hendrick Avercamp (1585 - 1634) mostra le stesse caratteristiche nel bellissimo dettaglio che vediamo qui sotto tratto dal suo "Paesaggio invernale con pattinatori".

Certo, saltano all'occhio anche evidenti differenze: le opere dei Fiamminghi, infatti, sono più attente ai particolari - guardate qui sopra le ombre delle persone che si riflettono sul ghiaccio! - e sul piano coloristico la loro atmosfera è più chiara. Il nostro artista veneziano invece - ammesso che la riproduzione che ho trovato sia fedele all'originale - usa toni più cupi a iniziare dal cielo, francamente un po' inquietante, che si riflette sulla laguna gelata. Inoltre, le tinte degli abiti vedono un continuo alternarsi di bianco, rosso e colori scuri mentre la gamma dei pittori olandesi è più varia e ricca di sfumature.
A parte questo, mi pare che il riferimento ci possa comunque stare, fuso con l'originalità del
nostro autore e con la sua capacità di riprodurre il movimento in una sorta di carnevalesca naïveté.

E la musica? Che cosa associare a questi pattinatori che volteggiano, scivolano, cadono e si divertono? Una danza?...Certo. Ma quale?
In un primo tempo avevo pensato a un valzer, poi mi è venuto in mente Piotr Ilic
Tchaikovsky (1840 - 1893) con la ricchezza dei tanti altri balletti presenti nelle sue Suites. Così la mia scelta è caduta su "Lo Schiaccianoci".
A dire il vero, sono stata molto incerta tra la "Danza dei flauti" e la "Danza cinese" :
la prima dal ritmo abbastanza tranquillo e la seconda ricca di qualche sprazzo di vivacità in più e - tra l'altro - con un video che ci mostra l'ingresso dei vari strumenti man mano che la musica procede.
Sono note che possono ricordare un incedere ora guardingo e prudente, ora invece
più deciso e danzante. Ma siccome in entrambi i brani le scale, sia ascendenti che discendenti, sembrano imitare un suono che scivola...ve li pubblico tutti e due! Sceglierete voi su quale aria preferite avventurarvi a pattinare sul ghiaccio!

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

 

 

martedì 14 maggio 2024

Un Vivaldi tutto per me!

Non sono un tipo incline alle autocelebrazioni, ma i brani di oggi sembrano proprio fatti apposta per me, così mi piace condividerli qui. Perchè mai?...
Perchè sono stati dedicati dal loro autore ad
Anna Maria, singolare figura di musicista dalla quale mi separano - anno più, anno meno - tre secoli, abilità musicali che non ho e una spaziatura di troppo tra i nomi. Io infatti sono Annamaria tutto attaccato, il che all'anagrafe non è di secondaria importanza. Ma, a parte questo, a chi mi sto riferendo?

Sto parlando di Anna Maria della Pietà, detta anche Anna Maria del Violin (1696 - 1782) per la sua bravura di violinista all'interno dell'orchestra allestita presso l'Ospedale della Pietà a Venezia. Si trattava di un convento, orfanotrofio e insieme conservatorio, dov'erano accolte bambine senza famiglia e senza futuro alle quali si offriva la possibilità di imparare un mestiere e di conseguenza l'occasione di un riscatto sociale. All'interno di tale istituzione si studiava anche musica sotto la guida di prestigiosi maestri.

La nostra Anna Maria, orfana particolarmente dotata di talento, ha percorso tutte le tappe della formazione musicale divenendo a soli 25 anni primo violino dell'orchestra femminile, poi polistrumentista - suonava anche clavicembalo, liuto, violoncello, viola d'amore e oboe - e ricoprendo in seguito ruoli molto importanti.
Migliore allieva di Antonio Vivaldi (1678 - 1741) che all'Ospedale della Pietà ha
insegnato per circa quarant'anni, pur non essendosi mai allontanata dall'orfanotrofio ha raggiunto livelli di eccellenza che l'hanno resa celebre sia in Italia che in Europa. È stata inoltre compositrice e pare che alcuni brani a firma di Vivaldi in realtà siano suoi.
Dedicati a lei, per farne risaltare le doti di virtuosa del violino
, il compositore ha scritto almeno 25 concerti. Tra questi, ho scelto due brani che mi hanno particolarmente toccato per motivi diversi.

Il primo è l' "Andante" del "Concerto in Mi Maggiore RV 270a", pezzo brevissimo ma incantevole per la dolcezza della melodia e il ritmo vagamente danzante. Un movimento nè troppo vivace nè troppo lento, ma ricco di quella misura e di quella eleganza tipiche di tanti pezzi vivaldiani. E a dare fascino a queste note è anche la base dei pizzicati che sostengono l'aria inanellata dal violino: un vero splendore! 

Il secondo brano è il "Largo" del "Concerto in La Maggiore RV 349". A parte l'andamento molto pacato di questa musica, mi ha colpito un riferimento che certo noterete ascoltandolo e lasciandolo riecheggiare liberamente in voi. Coglierete allora una certa somiglianza con un altro "Largo", quello del celeberrimo "Inverno" vivaldiano. Una somiglianza percepibile non tanto nella successione esatta delle singole note quanto nell'impianto accordale.

Anche in questo caso, meravigliosa la melodia del violino che ci testimonia quale doveva essere l'abilità interpretativa della nostra Anna Maria nel ruolo di solista. E certo, dedicandole i concerti, il compositore intendeva anche sottolineare il garbo di una figura che, pur vivendo nell'ombra, sapeva risplendere attraverso la musica.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

 

lunedì 6 maggio 2024

Nel dolce respiro bachiano

Ricordavo la volta scorsa quanto Bach sia un genio dalle molteplici sfaccettature tanto che, come cogliamo nella sua musica un profondo afflato di preghiera, così non è raro trovare in lui stupefacenti ritmi di danza. 

Forse anche per questo i suoi brani sono molto amati da parecchi artisti di oggi che, giocando sulla versatilità del compositore, li hanno variamente arrangiati sviluppandone la ritmica e interpretandoli talora con strumenti diversi da quelli originali. Ma anche quando un pezzo viene riportato fedelmente senza rielaborazione alcuna, come sempre accade basta già l'uso di uno strumento diverso per conferirgli un timbro particolare. E sappiamo tutti quanto una musica assuma un fascino differente se suonata al pianoforte invece che al clavicembalo o all'organo, al violino invece che al flauto o all'oboe, o alla marimba invece che alla chitarra.

Così oggi vi propongo un dolcissimo quanto celebre "Largo" di Bach interpretato da Richard Galliano che della sua fisarmonica, abituata ad inanellare ritmi di tango o di musette, fa qui lo strumento solista di un pezzo barocco. Si tratta del secondo tempo del "Concerto n.5 in fa minore per clavicembalo e archi BWV 1056" di Bach che il musicista italo-francese suona accompagnato dal suo sestetto.
Non è nuovo Galliano alle esecuzioni bachiane e all'omaggio verso un compositore
che - come ricordavo in passato - è stato parte fondamentale della sua formazione. E non è nuovo neppure il "Largo" per chi frequenta questo blog. L'ho pubblicato infatti parecchi anni fa e, nonostante non ami ripetermi, lo ripropongo volentieri in questa differente versione.

Senza nulla togliere infatti al video di allora con l'interpretazione di Maria João Pires, rigorosa e insieme delicata come una carezza, trovo che Galliano mi restituisca un ritmo e delle sonorità che mi sono particolarmente congeniali. Del resto, tutti noi abbiamo quel gusto squisitamente personale che ci fa preferire un'esecuzione ad altre perchè va a toccare tasti che, al di là dello splendore della musica, sentiamo nostri fino in fondo. E se tale versione si radica in noi, resta poi quale punto di riferimento.

Ecco, l'interpretazione di Galliano per me ha proprio questo pregio: ha il ritmo del mio respiro, del mio passo quando mi rassereno, dei pensieri quando affiorano senza affanno, dello sguardo che si posa pacificato sulle cose.
Un ritmo tranquillo che consente di sognare immaginando una danza lenta, magari una sorta
di incantevole pas de deux scandito sulla base dei pizzicati nel quieto respiro bachiano dei 4/4.
Respiro, sì: non mi pare fuor di luogo usare questa parola a proposito del brano e insieme della fisarmonica che - come l'organo del quale talora può ricordare alcuni registri - ha un mantice dove passa l'aria per produrre i suoni. E quelli della fisarmonica, con il loro particolare timbro, mi arrivano qui nitidi, precisi nei passaggi ora dolcemente più intensi, ora meno, mentre attraverso trilli e abbellimenti le note fioriscono leggiadre sul ritmo misurato degli archi.
Un'interpretazione attenta e sentita in cui la perfetta fusione del solista con gli altri strumenti
ci regala, sobrio e rasserenante, il piacere della musica.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)