Penso capiti a tanti di svegliarsi la mattina con in mente una musica.
Può
essere una melodia, un ritornello, una colonna sonora, un'aria che si è depositata in noi magari senza che ce ne accorgessimo,
ma che ha lavorato in segreto durante il sonno per poi riaffiorare in modo totalmente libero.
Note come madrepore - scrivevo tempo fa - che si staccano a un tratto da un fondale marino per affiorare in superficie.
Credo infatti che la musica abbia una sua autonomia e tenda a lasciare un'impronta anche in chi l'ascolta in maniera del tutto casuale.
Certo, che essa vi rimanga impressa o meno dipende dalla sua forza e insieme dalla
consistenza del terreno che incontra. Altro è un pavimento di marmo,
altro un campo arato, una distesa di sabbia in riva al mare o una coltre di neve intatta. Così pure, altro è un segno superficiale come un graffio e altro ancora una ferita o un'orma dal profondo spessore.
Tuttavia, a restare in noi talora non è una melodia compiuta, ma magari
solo la suggestione di un passaggio, l'intensità di un'atmosfera
orchestrale o di un accordo dissonante: suoni che abbiamo assorbito e che a
volte ritornano con tempi o modalità tutte loro, ma che ritroviamo fusi col nostro sentire.
Ed è una meraviglia che sempre sorprende.
Ricordo - la prima volta che ho visto il film "Platoon" - di essere stata profondamente colpita dalla sua colonna sonora pur non avendo idea di che cosa fosse. In realtà, quella musica mi è rimasta nel cuore quasi a mia insaputa tanto che quando - in seguito e in altro contesto - ho sentito l'Adagio
di Barber, mi sono accorta con stupore di averlo già dentro.
Ma capita anche di ascoltare un pezzo che a tutta prima può non piacere, e che invece resta confitto in un angolo segreto della nostra mente a mandare segnali, come impulsi luminosi destinati ad aprire una strada nel buio.
Più o meno la stessa cosa mi è accaduta col brano di oggi: una musica molto conosciuta che tante
volte avevo sentito nella colonna sonora di vari film o come sottofondo in tv, ma che - per quanto mi fosse
rimasta dentro - non posso dire di aver subito apprezzato. Troppo triste, troppo languida e incline a una sorta di disincanto.
Eppure...
Eppure, l'ho riascoltata giorni fa e mi ha preso proprio per il suo fascino lento, l'incedere malinconico come se, nel frattempo, le sue note mi avessero lavorato l'anima. Si tratta della "Gimnopedia n.1", celebre pezzo per pianoforte scritto da Erik Satie (1866 - 1925) a soli ventidue anni, pezzo dal titolo singolare che fa riferimento a feste religiose dell'antica Grecia all'interno delle quali i giovani si esibivano in esercizi ginnici e processioni rituali.
È una musica dal tono malinconico - lent et douloureux recita la didascalìa all'inizio - e dalla struttura semplice ma ricca di una suggestione meditativa che anticipa il minimalismo. Tuttavia, la definizione di "musica di arredamento" che Satie stesso darà alle sue ultime composizioni - e che talora viene applicata anche a questa - qui mi sembra riduttiva, quasi il pezzo non avesse un valore in sè per far solo da sottofondo ad altro.
Riascoltandolo, trovo infatti che il suo andamento ripetitivo e un po' monotono, insieme alle dissonanze che in un primo tempo mi avevano disorientato, siano invece segno di un'intensa espressività. Mi cattura il ritmo lento e lievemente scandito delle battute iniziali che creano un clima indefinito. E nonostante il brano sia in Re maggiore, la sua armonia è così sfumata che talora non si avverte subito - o almeno così a me pare - se alcuni passaggi sono realmente in maggiore o in minore. Ma tale indeterminatezza diventa, a mio avviso, un valore aggiunto e innovativo.
Tuttavia, il fascino di questa musica nasce anche da quel silenzio tra le note che ci fa percepire la durata, l'intensità, il timbro, il riverbero di ogni singolo suono. Un riverbero messo particolarmente in luce dalla morbidezza dell'interpretazione di Khatia Buniatishvili, e capace di infonderci uno stato di quiete contemplativa.
Buon ascolto!
8 commenti:
Sì, quiete contemplativa.
Ciao Annamaria.
Grazie, Gus, e buona settimana!!!
La musica è poesia. Conoscevo questo brano e non ci ho mai trovato nulla di doloroso. Riascoltandola mi è venuto in mente un curioso aneddoto. Mia moglie sta imparando a 60 anni a suonare il piano. Il suo maestro le ha proposto la velocissima e splendida Marcia Turca e lei ha cominciato a studiarla. Ovviamente la suona lentissimamente. Bene. L'altra sera la ascoltavo e sono rimasto estasiato. Tu non puoi sapere quanto è bella la Marcia Turca suonata lentissima, come il pezzo di Satie. Provaci e sappimi dire!
Intanto complimenti a tua moglie, Giorgio!!! Sono convintissima che quanto dici sia vero perchè certi brani, suonati più lentamente di quanto prevede lo spartito, hanno ugualmente un grande fascino. Io non ho provato con Mozart, ma con Bach perchè spesso non riesco a raggiungere la velocità prevista, ma ti assocuro che certi pezzi del Clavicembalo ben temperato o delle Suites francesi sono meravigliosi anche lenti.
Ti dirò di più. Siccome la mia tastiera ha anche la voce dell'organo da chiesa - e io lo adoro - spesso suono per organo pezzi che Bach ha scritto per clavicembalo e lì la lentezza accresce splendore e solennità.
Grazie!!
Bello quello che dici della musica, capace di lasciare segni nel “terreno che incontra.” Mi ha fatto venire in mente il testo biblico di Isaia in cui si parla della Parola:
Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.
Non so se è una parentela azzeccata, certo credo che il “logos” - elargitore di senso, valore, bellezza - si dica in molti modi.
Ciao, buona serata e un abbraccio.
Bellissima la citazione di Isaia! Mi sembra una parentela molto azzeccata, cara Rossana, proprio perché il "logos" che dà senso alle cose - come scrivi - si esprime in diversi modi. E l'arte è uno di questi. La musica in particolare arriva a toccarci nel profondo, a lavorarci il terreno dell'anima a volte in modo ancora più immediato e diretto di uno scritto.
Grazie e un caro abbraccio!
Ciao, Annamaria! Ho letto il tuo commento sul blog di Marina Guarneri e sono approdata qui. Quante meraviglie contiene il tuo blog, quanta sensibilità.
La musica ha fatto parte della mia vita attraverso una cognata alla quale ho voluto molto bene, che era una pianista raffinata, purtroppo scomparsa sei anni fa.
Avevo cominciato a imparare a suonare il pianoforte proprio con lei, me ne era venuta voglia qualche anno prima e uno dei più bei ricordi che conservo è il nostro suonare a quattro mani, durante una vacanza pasquale. Ho un pianoforte elettronico che non sono riuscita più suonare. Si è come rotta una nota dentro di me, e ho allontanato quell'apprendimento che mi divertiva e di cui avevo bisogno.
Adoro Satie. In particolare questa sonata in tutto il suo repertorio.
Benvenuta qui, Luz, e grazie di esserti iscritta al blog.
Capisco che in te possa essersi spezzato qualcosa dopo la scomparsa di tua cognata, ma dai tempo al tempo. Abbiamo tutti una musica in noi e in te ora è forse come un seme che deve aspettare una sua primavera per rifiorire.
Ti auguro di ritornare pian piano al pinoforte e a quella gioia di cui tutti abbiamo bisogno.
Grazie e a presto!!!
Posta un commento