Tutte le mattine o quasi, quando il tempo lo consente, dall'alto del mio nido montano scendo a bere il caffè in un angoletto isolato fuori dal paese, in fondo ai prati, in mezzo all'abetaia.
È un piccolo lusso che mi concedo da diverso tempo, da quando l'ho scoperto anni fa, al ritorno da una passeggiata. Scoperto non significa che non lo conoscessi e non ci fossi mai stata. Al contrario! Ma non mi era mai capitato di andarci a fine stagione, verso il tramonto, nell'ora in cui il giardino della baita, spesso brulicante di turisti, si spopola lasciando spazio a una solitudine incantata.
Ne avevo percepito il fascino in un tardo pomeriggio di agosto, tornando da un'escursione attraverso una bellissima pedonale che, purtroppo, l'alluvione dello scorso anno si è portata via. Avevo sete e mi ero fermata a bere qualcosa nello spazio esterno alla baita, a quell'ora totalmente vuoto e ormai in ombra. Era stato allora che, seduta in perfetta solitudine in un angolo raccolto e riparato dal vento, col fragore del torrente che scorre proprio lì accanto, ero stata presa da quell'atmosfera.
Era una sensazione del tutto particolare e totalmente mia. In realtà, qui intorno ci sono diversi altri luoghi più aperti di questo e molto più panoramici che pure amo ed apprezzo. Ma lì qualcosa aveva fatto la differenza: insieme alla solitudine, era stato il suono del torrente nel silenzio circostante a entrarmi nell'anima con un senso di assoluta distensione, tanto che mi ero detta: io qui voglio venire tutte le mattine a iniziare la giornata!
La stagione ormai declinava ed ero prossima al rientro, ma così ho fatto negli anni successivi e, quando mi è possibile, ancora oggi scendo dal mio nido prima delle 8.30 per arrivare lì quando nel giardinetto tra gli abeti non c'è nessuno. Il mio primo, e unico, caffè della giornata diventa così un momento di impagabile tranquillità nel quale lasciar vagare la mente con calma, un po' come quando sono in treno e mi faccio portar via dal panorama fuori dal finestrino. Solo che mentre là la mente si appaga di ciò che vede a volte in mezzo al rumore o alla confusione, qui domina il silenzio e le sensazioni sono diverse: il refolo del vento, il sole che va facendosi gradatamente più caldo sulla pelle, ma soprattutto il fragore del torrente che diventa colonna sonora del paesaggio che ho intorno.
Comincio ad avvertirlo mentre ancora sto attraversando i prati come un rumore di sottofondo sordo e lontano. Poi, superata una piccola ondulazione del terreno arrivo in vista del ponte e, mentre scendo, il suono dell'acqua inizia a farsi sempre più distinto e scrosciante.
A volte, mi viene in mente Renzo ne "I promessi sposi", quando fugge da Milano verso l'Adda pensando tra sè che il fiume ha buona voce e ne riconoscerà subito lo scorrere. Certo, nel romanzo la scena si svolge di notte - cosa non trascurabile! - mentre qui è giorno, ma la percezione è quella e non posso non ricordare la celebre gradazione usata dal Manzoni per descrivere le fasi in cui il giovane ode, prima più generico e poi sempre più chiaro, il suono del corso d'acqua: un rumore, un mormorìo, un mormorìo d'acqua corrente.
È esattamente questo l'effetto che avverto anch'io finchè, man mano che mi avvicino, il lieve mormorio si fa vero e proprio fragore, naturalmente in rapporto alla stagione, al tempo e alla portata del torrente. Ci sono giorni in cui, dopo un temporale, l'acqua è limacciosa, o altri in cui lo scioglimento dei ghiacciai convoglia a valle una piena di detriti che la rendono più scura. Ma di solito è trasparente e scivola cristallina sulle rupi che ne costellano il fondo, mentre il suo scroscio diventa familiare come i suoni che fanno parte della nostra vita al punto che tutto, anche il paesaggio, in qualche modo si umanizza. Il Manzoni parla infatti di voce dell'Adda.
E per celebrare la voce del mio torrente, ho scelto un brano in apparenza lontano da questo argomento. Non è uno dei vari giochi d'acqua scritti da diversi compositori e neppure si riferisce a un fiume. Ma nemmeno mi sono lasciata tentare dal bel pezzo di Sibelius per piano solo intitolato "Le Sapin", che sarebbe stato anche adatto perchè il mio baretto immerso nel verde si chiama proprio "La Sapinière" : l'abetaia.
Ho dato invece la preferenza all' "Impromptu in Si bemolle minore op.12 n.2" di Alexander Skrjabin (1872 - 1915) che ho scelto per un certo suo andamento discontinuo che mi pare possa riflettere lo scorrere dell'acqua in un alveo talora costellato di sassi, rupi di dimensioni diverse e dislivelli da superare. Se infatti, nelle battute iniziali, più regolare è l'andamento degli accordi della mano sinistra, più viva e differenziata è invece la melodia che ci presenta la destra. Siamo nel tempo di 4/4 certo, ma il susseguirsi delle terzine - e qui spero di non far inorridire gli esperti! - ce lo fa somigliare quasi a un 12/8.
È questo il nodo della discontinuità che avverto e che ha motivato la mia scelta, oltre naturalmente al fascino del pezzo. Infatti, attraverso passaggi che talora possono ricordare Chopin, dopo un esordio più lento la musica va subito animandosi, riprendendo il tema con vitalità irrequieta simile all'andamento impetuoso delle acque di un torrente.
Buon ascolto!
(La foto è mia)
6 commenti:
Stavolta mi hai colpita in pieno, cara Annamaria, perchè poche voci rappresentano per me qualcosa di prezioso e "magico" al pari di quella dell'acqua, e in particolare di un torrente. Non avrei saputo descriverlo meglio, nel ricordo condividendo in pieno le sensazioni che racconti.
Due aneddoti personali, il primo: durante il servizio civile fatto da mio figlio a Verrès (parliamo di qualcosa come 30 anni fa) il comune gli aveva messo a disposizione un monolocale che aveva un solo pregio, ma inestimabile: una finestra che si apriva sullo scorrere di un torrente, non so neanche se fosse l'Evançon o un altro più piccolo, fatto sta che una volta sdraiata sul divano sotto a quella finestra ho capito che non avrei mai più voluto alzarmi... credo che in una sala da concerto non sarei stata meglio (e pensare che invece vivo in città, in un condominio in zona centrale per cui non mi resta che il rumore della pioggia quando è forte, ma ahimé è tutt'altra cosa...).
Per quanto lontano, il ricordo di quel torrente e di come la sua naturale e particolarissima musica mi aveva conquistata resta indelebile, oltre che pieno di nostalgia.
L'aneddoto n.2 è tanto semplice quanto indicativo: ad un corso di "movement communication" in Danimarca (siamo sempre nel passato remoto) ognuno doveva scegliersi un nuovo nome, sulla falsariga dei Nativi americani. E io, indovina un po'... "Acqua che scorre", tanto mi aderiva evidentemente quel concetto del fluire che è tutt'uno col suono, col canto prodotto dal movimento incessante e mutevole di un ruscello o di un torrente.
Non conosco "Le Sapin" di Sibelius, comunque personalmente, se nel campo dei "vari giochi d'acqua" intendevi comprendere Haendel e Respighi, sarò blasfema, ma mi hanno un po' stufato.
L'Impromptu di Skrjabin che hai scelto mi sembra invece originale e godibilissimo, oltre a rispecchiare perfettamente la mutevolezza tipica della voce di un torrente.
Nelle "Lezioni" su Skrjabin dell'adorabilmente pazzo e geniale Luca Mosca, di cui non mi ero persa una virgola, credo di ricordare qualche accenno di confronto con Rachmaninov nel quale quest'ultimo diciamo che non se la passava proprio alla grande, e nel mio piccolissimo concordavo ;-))
https://www.raiplaysound.it/playlist/lamusicadialexanderscriabin
Goditi più che puoi e fino all'ultimo il "tuo" torrente, carissima Annamaria, con o senza caffè...
Da parte mia un più che mai sincero e caloroso grazie!
Sai, cara Siu, che mentre scrivevo il post, ho proprio pensato a te ?Perché, viste le tue frequentazioni valdostane, da quel mio angoletto incantato potresti essere passata anche tu.
Sì, il suono dell'acqua che scorre così varia come quella di un torrente è impagabile. In quel tardo pomeriggio di tanti anni fa cui faccio riferimento, quel fragore aveva avuto su di me un effetto di intensissima distensione. E capisco bene l'esperienza che hai condiviso: anch'io quella volta avrei voluto restare lì senza limiti.
Quanto alla musica, avevo già pubblicato Le Sapin tempo fa e, se vuoi, lo puoi trovare nelle etichette alla voce Sibelius.
Ma in questo caso, Skrjabin mi è parso più adatto alla mutevolezza dell'acqua, proprio come scrivi.
Grazie del link con le lezioni di Luca Mosca. L'ho seguito a volte insieme alle lezioni di Gianni Bietti.
E grazie mille dei ricordi che hai condiviso. Buona serata!
Ah, Scrjabin, uno dei compositori prediletti da mio figlio! Io ho imparato ad apprezzarlo grazie a lui e ascolto con vero trasporto questo improvviso.
Il paesaggio che descrivi è suggestivo, fa venire la voglia di essere là, circondata da quel silenzio, con le orecchie pronte a ricevere solo il suono delle rapide del torrente.
Immagino la gioia di tuo figlio nel suonare questo Improvviso! A me è piaciuto per la sua varietà e per quel ritmo che lo fa simile allo scorrere delle rapide di un torrente, proprio come hai scritto.
Grazie Marina, e buona giornata!
4/4 in terzine di crome e 12/8 sono metri equivalenti, come 3/4 in terzine di crome e 9/8. Indicando una suddivisione stabile in terzine di crome con T, si potrebbe parlare di 3/4 T e 4/4 T. E' in 3/4 T l'Improvviso n.2 di Schubert in mi bemolle maggiore che - passando dall'argomento ritmo all'armonia - ha una particolarità importante: è uno dei pochi brani nel '700-800 che inizia in maggiore e finisce in minore, mi bemolle min. Un altro, ancora più coraggioso, è la Ballata n. 2 di Chopin, che inizia in fa mag e finisce in minore su una tonalità differente, la minore. Otto decenni dopo, all'epoca di Scriabin, succedono cose ben più innovative: l'ultimo Scriabin, nelle Sonate 6-10, non indica una tonalità in chiave e mette i diesis e i bemolle battuta per battuta.
Grazie di questa precisazione, Arrigo! Mi conforta non aver sbagliato. Certo, la presenza delle terzine mi pare che renda questo brano in certi punti più morbido.
Interessanti le altre informazioni sulle varie tonalità.
Buona serata!
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