giovedì 31 ottobre 2024

La scala mobile

Sto invecchiando.
"E te ne accorgi solo ora?" dirà qualcuno.
No, se è per que
sto lo so da tempo! Ma di tanto in tanto compaiono piccoli segnali che me lo ricordano: cose da poco in sè, ma una oggi, l'altra domani... insomma fanno pensare.

L'ultima avvisaglia mi è arrivata giorni fa mentre ero in un grande magazzino. Cercavo i tovagliolini di carta a fiori e dovevo andare nel reparto casalinghi che era nel seminterrato, ma avviandomi verso la scala - quella fissa - ho trovato solo la rampa in salita: possibile?... Ho girellato qua e là, ma niente. Così ho dovuto prendere quella mobile. "E dove sta il problema?..." direte. Tranquilli, c'è. 

Il fatto è che non ho mai avuto simpatia per le scale mobili in discesa. A me che uso tranquillamente funivie e seggiovie sulle alte vette, quel vuoto - chissà perchè - ha sempre dato fastidio.
L' ho provato per la prima volta da bambina quando mia mamma mi portava a Milano
. Erano pomeriggi di svago: dalla nostra città prendevamo la celere - che era l'autobus veloce dell'ATM, non il reparto di Polizia! - e in una mezzoretta arrivavamo a destinazione. Poi ci sguinzagliavamo di buon passo per le vie del centro facendo tappa anche alla Rinascente.
Qui mia mamma, giustamente attenta a che
imparassi a sveltirmi, mi aveva insegnato come salire e scendere dalle scale mobili. Per la salita nessun problema, ma in discesa avevo sempre paura a fare il primo passo e dovevo aggrapparmi a lei. Poi certo, col tempo ho imparato a usarle senza difficoltà a cominciare da quelle della metropolitana milanese, ma se capita che siano più ripide e veloci del solito, l'antico disagio ricompare.

Mi è successo anni fa nel metrò di San Pietroburgo dove mi ero abbarbicata a mio marito per non cadere, ed è accaduto anche nel grande magazzino di cui parlavo dove ero sola. Sola significa che la pietosa scena non ha avuto testimoni. Davanti ai gradini che scorrevano ripidi e veloci, avrei avuto tutto il tempo di fare con calma il primo passo, ma è scattata in me un'esitazione viscerale, insieme a una voce che ha sentenziato "No, non ce la puoi fare!".
E per la prima volta sono tornata indietro.

Tuttavia, memore dei tovagliolini, mi sono intestardita a cercare
una rampa fissa che ho poi trovato seminascosta dal reparto profumeria e sono finalmente approdata ai casalinghi.

È stato al momento di risalire - stavolta sì, sulla scala mobile - che ho preso coscienza del problema e mi sono detta: "Ragazza mia, come ti sei ridotta! Stai proprio perdendo colpi!" e altre simili stupidate.
Ma, invece di precipitarmi nella depressione, tale consapevolezza mi ha fatto sorridere perchè -
in un flash improvviso - mi sono venuti in mente quei cani che hanno paura delle scale mobili e devono essere portati in braccio dal padrone. Il pensiero di essere diventata così - giusto come il golden retriever della foto - mi ha suscitato un moto di affetto per me stessa tanto che, quando sono riemersa al piano terra, ridevo da sola e ho dovuto infilarmi gli occhiali scuri per darmi un contegno!

Ora chiedo scusa a chi legge per la divagazione, ma l'argomento mi ha preso la mano. Devo dire che, al momento di associare una musica a questo piccolo episodio, la scelta non è stata facile. Mi serviva un brano leggero e ho pensato prima a Rossini, poi a Mozart, poi Scarlatti, Chopin, Beethoven, Ponchielli, Saint-Saëns, poi alla "Fantasia" di Walt Disney e su su fino alla colonna sonora della Pantera Rosa che qualche volta - lo giuro! - pubblicherò.
Però...Certi brani non sono adatti, altri sono già nel blog;
nel "Carnevale degli animali" non ci sono cani; nella "Fantasia" di Walt Disney a scendere le scale c'è Topolino ma, appunto, non è un cane e, se è per questo, non lo è neanche la Pantera Rosa.
In verità, avrei potuto cavarmela con i famosi "4,33" minuti di silenzio di John Cage, che
avrebbero opportunamente interpretato la mia esitazione davanti alla scala. Ma ho esitato anche qui!

Infine, ho trovato il "Pizzicato" dal terzo atto del balletto "Sylvia" di Léo Delibes (1836 - 1891) e mi ha convinto. Il brano - diciamola tutta - non c'entra proprio niente con cani e scale mobili, ma è un pezzo leggero e giocoso, ammiccante al punto giusto, che mi restituisce quel che di timoroso e un po' furtivo della mia avventura nel grande magazzino.
Mi ci rivedo mentre mi blocco davanti alla scala, poi mentre mi aggiro alla ricerca di una
rampa fissa dove scendere con l'incedere di una miss, e infine quando mi scappa da ridere e devo nascondermi dietro due occhialoni da diva.
A parte gli scherzi, il pezzo mi affascina per i suoi pizzicati così nettamente scanditi e il ritmo di danza
che mi riconcilia con me stessa, sull'onda di quel sorriso sorto spontaneo al pensiero di avere le stesse paure di un cane.
E per di più simpatico come un golden retriever!

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

mercoledì 23 ottobre 2024

Specchi d'acqua - 10


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà stata la pioggia di questo periodo insieme al cupo grigiore di certe mattine ad indurmi a cercare immagini che restituiscano luminosità e trasparenza al cielo e gaiezza al cuore. Così, per lo specchio d'acqua di questo mese ho scelto alcune delle foto che avevo scattato qualche anno fa sull'Arno a Pisa.
Era dicembre e l'azzurro che vedete non è frutto di un ritocco, ma
era davvero così, col nitido splendore di certe belle giornate invernali. Sono immagini riprese in orari diversi e ce ne accorgiamo dal cielo decisamente terso nel corso della mattinata, mentre nel pomeriggio si va coprendo di una cortina di nuvole che dalle colline dell'entroterra avanzano verso la costa. 

Ma l'aspetto che ogni volta mi prende sempre di più è l'apertura luminosa di questo panorama che mi restituisce un profondo respiro.
Non per niente, dovendo a suo tempo inaugurare un calendario nuovo per l'anno seguente - e chi legge questo blog sa che, per quanto non ci sia nata nè ci viva, lo voglio sempre con immagini della Toscana - invece di comprarlo, me l'ero fatto con le mie foto.

Era bello al mattino, in cucina, alzare lo sguardo sul muro e vedere il buio invernale illuminato da questi panorami che ancora, quando li osservo, mi allargano il cuore.
Questione di proporzioni, probabilmente, che spesso mi hanno fatto apprezzare i Lungarni pisani ancor più di quelli fiorentini. Grazie infatti alle dimensioni non eccessive degli edifici in rapporto all'ampiezza del fiume, qui essa risalta meglio facendosi specchio al cielo e alla bellissima fila di palazzi.
Ne vediamo in particolare, nella foto soprastante, uno
dei più antichi: Palazzo Agostini, detto anche Palazzo Rosso per il colore della pietra, edificio medioevale in stile gotico e dal cornicione molto aggettante com'è tipico di tanta architettura toscana.

Tuttavia è il fiume ad offririci le suggestioni più vive.
Sono certo i riflessi ondeggianti della case e il
tremolare dell'acqua che confonde i loro profili regolari facendone una sorta di dipinto impressionista. Ma è anche - nel dettaglio qui a lato - il gabbiano in volo che si scorge in basso e che ci ricorda il mare lontano solo una decina di chilometri dove l'Arno va a sfociare, a Marina di Pisa.

Così pure sull'altra sponda, nella grande curva del fiume e davanti ai vari edifici, risalta la chiesetta di Santa Maria della Spina, nel suo marmo chiaro e nei suoi pinnacoli gotici che si riflettono nell'acqua come un piccolo, luminoso gioiello.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche da questa parte, il panorama ci regala una profondità spaziale che illumina gli occhi e al tempo stesso il cuore colmandolo di bellezza.
Bellezza e storia intrecciate, perchè l'Arno è parte integrante delle molteplici vicende
che, dal Medioevo in poi, hanno segnato non solo Pisa e Firenze, ma tutta la Toscana. Un fiume ricordato spesso da Dante a cominciare dal Canto XIV del Purgatorio ("Per mezza Toscana si spazia / un fiumicel che nasce in Falterona, / e cento miglia di corso nol sazia") e che dalla sorgente nel cuore del Casentino sfocia in mare proprio a poca distanza da Pisa. Un fiume che attraversa città dal passato glorioso, ma spesso tormentato da lotte, guerre e - venendo più vicini a noi - rovinose alluvioni.

Per questo, nella scelta della musica da associare alle immagini, non ho voluto un pezzo che si risolvesse imitando il movimento delle onde come nei vari giochi d'acqua pubblicati talora in passato.
M'interessava invece un brano sinfonico di portata più ampia, che
riproducesse la mia percezione di apertura davanti a queste immagini e insieme la maestosa solennità del fiume che, ormai ricco di acque, con tutta la rilevanza della sua storia si dirige finalmente verso il mare.

Così ho scelto il "Preludio sinfonico in La maggiore" di Giacomo Puccini (1858 - 1924): una fantasia scritta in epoca giovanile che a suo tempo non aveva riscosso particolare successo, ma che è stata riscoperta e ripresa da una cinquantina d'anni a questa parte. Un brano da ascoltare e riascoltare a lungo per scoprirne tutto l'incanto.
Si tratta di una composizione di grande respiro orchestrale che inizia dolcemente,
con accenti di delicata intimità, proprio come un fiume alla sua sorgente, tra passaggi assorti in minore e altri, più gioiosi, in maggiore. Il suo andamento prosegue senza ignorare momenti forti, ma illuminandosi sempre più, simile a un corso d'acqua che nel suo procedere si allarga maestoso verso la foce a raggiungere il proprio compimento. Lo si avverte da certe frasi musicali ripetute in tonalità sempre più alte e solenni che poi sfumano di nuovo in dolcezza nella conclusione.
Un Puccini di soli 24 anni, ma già capace di una passione che, se da un lato si esprime in
grandiosità orchestrale, dall'altro si effonde in melodie di tono più intimo che anticipano lo stile di alcune future romanze.

E a proposito di melodie, mi permetto un'ultima osservazione.
Ce n'è una che esordisce a 4.12 dall'inizio - fateci caso, per favore! -
un breve, dolcissimo tema cantabile che immagino anche a voi ricordi qualcosa di più recente.
A me pare di sentirlo riecheggiare nella celebre colonna sonora del film "La vita è bella", scritta da Nicola Piovani e che nel 1999 gli ha meritato l'Oscar.
Certo il ritmo è diverso: mentre il frammento di Puccini è animato da intensa e romantica passione, la
 musica del film ha un tono più leggero e quasi giocoso, anche perchè l'argomento della pellicola - in sè tragico - è trattato però da un'ottica particolare. Ma la somiglianza a mio avviso c'è.

Una coincidenza casuale o davvero il Maestro Piovani ha preso spunto dal Preludio sinfonico rielaborando con la propria inventiva quel piccolo frammento? Sarebbe comunque un bel rimando culturale, ma insieme a lui meriterebbe l'Oscar anche Puccini!

Buon ascolto!


martedì 15 ottobre 2024

Incanto di un sol minore

In tanti anni di blog - e fra qualche giorno saranno la bellezza di quattordici! - mi accorgo di non aver mai pubblicato alcune musiche più che mai famose, divenute nel tempo patrimonio di tutti e in qualche modo simbolo dei loro autori.
Mi riferisco, per esempio, alla "Toccata e fuga
in re minore" di Bach, al "Largo" di Haendel, alla "Quinta" e alla "Nona" di Beethoven, alla "Polacca in La bemolle maggiore op.53" di Chopin e non solo.
Il fatto è che di tali opere si sono dette tante e tali cose che, se mi ci mettessi
anch'io che non sono nessuno, mi parrebbe di aggiungere solo banalità.
E siccome qui non ho mai avuto intenzione di fare la storia della musica, ma semplicemente di
condividere considerazioni più piccole e insieme più personali, su certe celebri composizioni ho sempre glissato. 

Oggi tuttavia, tirata per la giacca dal mio blog che, giunto ormai alle soglie dell'adolescenza, comincia a scalpitare avanzando qualche pretesa, mi sono decisa a pubblicare il brano forse più popolare di Wolfgang Amadeus Mozart: la "Sinfonia in sol minore n.40 K.550" nel suo incantevole primo movimento. Ma non è tanto sul fascino di quest'opera che vorrei soffermarmi e neppure sulla sua costruzione armonica, ma su di un aspetto che mi ha sempre colpito: la tonalità.

Sappiamo tutti quanto ogni tonalità abbia un proprio carattere che la rende particolare e unica, tanto che cambiare quella originaria di un pezzo significa compromettere parte del suo fascino, perchè certi tratti di bellezza sono legati a precise frequenze sonore e a una coerenza interna al brano che non andrebbe modificata.
Ma mi riferisco anche alla grande differenza tra i toni maggiori, luminosi, sereni,
esuberanti, assertivi, e quelli minori che inclinano verso la malinconia, l'incertezza o l'ombra. Ragion per cui, in un complesso di 41 sinfonie di cui 39 scritte da Mozart in tonalità maggiore, davanti alla K.550 in sol minore - insieme alla K.183 - mi sono chiesta il motivo di tale scelta.

Dopo composizioni dal clima brillante ispirate ora alle ouvertures italiane, ora alla dialettica tra stile dotto e stile galante, qui l'atmosfera cambia.
È l'inizio a catturarci subito - come vedete dalla foto - con quella mezza battuta di accompagnamento affidata alle viole simile quasi a un sospiro che precede l'esposizione del tema. Non è l'incipit solare o salottiero di tanti pezzi del passato e, se anche l'indicazione agogica recita "Allegro molto", le note ci immergono subito in un'atmosfera di malinconia tesa e nostalgica, come sgorgassero da un movimento d'anima angoscioso.
Allegro molto ? Forse, se si vogliono rispettare i canoni che assegnavano al primo
tempo di una sinfonia un carattere di vivacità. Tuttavia, proseguendo nell'ascolto, le note si fanno sì concitate, ma drammatiche. Non è olimpica serenità, non è più certezza di una felicità esistenziale, ma un senso di affanno, un gorgo di inquietudini segnato da qualche sprazzo di luce insieme a parecchie ombre. 

Siamo nel 1788 e sono in parte le cupe vicende esistenziali di un Mozart trentaduenne che morirà solo tre anni dopo, a influenzare il tono di questa composizione. Ma al tempo stesso è il clima culturale dell'epoca che dalle certezze illuministiche sta piegando verso altre concezioni della vita dove il prevalere del sentimento sulla ragione, la percezione del mistero che avvolge l'esistenza umana e il bisogno dell'individuo di contrastare il proprio destino si fanno sempre più consistenti. È l'affermarsi del movimento preromantico, con le sue ombre e insieme il suo impeto - lo Sturm und Drang - a segnare anche la musica cominciando da Haydn e poi Mozart soprattutto in questa fase della sua vita.
Se infatti la tonalità minore della K.183 - scritta a soli diciassette anni - può essere
attribuita all'influsso della musica di Haydn che il compositore salisburghese conosceva e stimava, la K.550 è frutto di una sensibilità preromantica ormai più matura e consapevole. E l'incipit della sinfonia lo spiega meglio di tante parole.

Sulla particolare scelta del sol posso dire solo che è una tonalità soffusa di tristezza, ma non tragica come il re minore al quale Mozart affiderà il suo Requiem. Una tonalità malinconica ma, a mio avviso, qui ancora morbida.
Del resto, il sol minore è stato usato spesso sia nel periodo barocco che in quello classico
ma anche in seguito con esiti ora pervasi di tristezza, ora invece più energici.
Qualche esempio? Si va dal famoso Adagio di Albinoni al Magnificat RV 611 di Vivald
i e ai tre tempi della sua celebre Estate. Lo troviamo in Bach col Concerto BWV 1058 e la piccola Fuga BWV 578. Poi ricordiamo le Sinfonie n.39 e n.83 di Haydn, per passare al periodo romantico con la Ballata n.1 op.23 di Chopin, il Concerto per violino di Bruch fino a Brahms e a Rachmaninov con svariate altre opere.
Solo pochi esempi, dicevo. Lascio a chi lo desidera il compito di divertirsi proseguendo nella ricerca.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

lunedì 7 ottobre 2024

Sera d'autunno

È proprio vero che chi cerca trova...ma non è detto sia sempre quello che sta cercando. A volte ci s'imbatte in qualcosa di inaspettato - vecchio o nuovo, conosciuto o meno non importa - ma tale da suscitare e soddisfare il nostro interesse ancor meglio di ciò che volevamo.

Sfogliavo giorni fa le foto nel pc in cerca di un dipinto che credevo di aver salvato e invece...Invece al suo posto ho scoperto l'immagine che vedete presa chissà quando da un sito di sfondi paesaggistici. E il suo cielo autunnale, la solitudine della campagna brulla attraversata da quel sentiero che conduce chi sa dove mi hanno affascinato al punto da fondersi col presente. Tempo grigio anche qui infatti, a tratti piovoso, e mentre la luce andava digradando avevo la sensazione di percorrere davvero quella stradetta sterrata, camminando assorta e lasciando vagare i pensieri.

Allo stesso modo, giorni fa stavo cercando un pezzo di Gounod e invece youtube mi ha riportato improvvisamente a una composizione di Bach impossibile da dimenticare, uno di quei movimenti lenti che ti restano nel cuore e che, riascoltati a distanza di tempo, ti regalano ancora più intensa tutta la loro suggestione.
Si tratta del "Larghetto" dal "Concerto in Re maggiore BWV 972" che avevo
pubblicato più di otto anni fa proprio quiÈ una trascrizione bachiana da Vivaldi come spiegavo nel vecchio post, nel quale avevo condiviso la bellezza di tre clip audio: l'originale vivaldiano e due versioni bachiane, una eseguita al clavicembalo e l'altra al pianoforte. 

Proprio quest'ultima è quella ricomparsa all'improvviso su youtube, sempre nell'incantevole interpretazione di Boris Bloch, pianista ucraino classe 1951. Proprio quest'ultima ho riascoltato l'altra sera mentre fuori imbruniva e iniziava a piovere piano. Lo sentivo dal ticchettìo sulle finestre della mansarda mentre lo schermo del computer era un'oasi di luce azzurrina nella penombra della stanza.
Niente come quel brano aveva risvegliato in me un silenzio assorto,
un respiro privo di affanno quasi il ritmo del cuore somigliasse a un passo tranquillo sul viottolo di campagna della foto, ed esistesse una segreta, riposante sintonia tra la sua atmosfera autunnale e le note di Bach. 

Allora ho pensato che dovevo ripubblicare quella musica perchè il mio cuore era lì, ad ascoltare la morbida eleganza con cui il pianista affrontava la tastiera, arricchendo il brano di abbellimenti e - come altri celebri interpreti - scandendone a fior di labbra le note ora con piglio severo, ora con un'ombra di sorriso.
Il pezzo non presenta grandi difficoltà tecniche, ma il suo splendore è tutto affidato alle capacità interpretative di chi lo esegue. Ed è qui che emerge la classe di Boris Bloch che da un lato trasforma gli accordi iniziali e finali del "Larghetto" in delicatissimi arpeggi, e dall'altro dona alla melodìa un ritmo e una luce che ne sottolineano l'intimità e l'incanto.
Un'interpretazione decisamente fiorita se confrontata con altre più rigorose. Penso
per esempio a quella di Andrea Bacchetti che potete trovare qui: un Bach più essenziale, pulito, quasi spoglio, ma non privo di una sua timida dolcezza.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)