Nelle mie ormai consuete peregrinazioni su youtube, mi sono imbattuta giorni fa in un musicista che non conoscevo, ma del quale mi hanno colpito subito alcuni pezzi.
Si tratta di Felix Michajlovic Blumenfeld (1863 - 1931), compositore, pianista e direttore d'orchestra ucraino, autore di una ricca produzione soprattutto per pianoforte solo.
Tra i suoi brani che contano studi, preludi, mazurke, improvvisi e valzer - generi amati per esempio da Chopin dal quale talora il compositore sembra aver preso spunto - quello che mi è piaciuto al di sopra di altri è stato un pezzo piuttosto singolare: lo "Studio in La bemolle maggiore op.36" scritto da Blumenfeld per sola mano sinistra.
Non è nuovo nella storia della musica questo tipo di composizione pianistica per una mano sola. Si è diffuso infatti soprattutto tra Ottocento e Novecento ad opera di musicisti tra i quali ricordiamo - solo per citarne alcuni - Ravel col suo celebre Concerto in Re maggiore, Skrjabin col Preludio op.9 n.1 o Saint-Saëns con i Sei studi e poi Liszt e Bartok; ma non manca qualche esempio anche in epoca barocca.
Sono lavori spesso motivati dal desiderio di consentire di nuovo la possibilità di suonare a pianisti privati dell'uso di un arto da incidenti, malattie o ferite di guerra. A tutta prima, sembrerebbe una restrizione comporre brani per una mano sola, tuttavia
è stato proprio Ravel a sostenere con entusiasmo il contrario
considerando la cosa come un'opportunità se non addirittura una sfida. Affermava infatti:
"L'ansia della difficoltà non è mai così forte come il piacere di misurarsi con essa e vincerla". E ancora: "Chi ascolta non deve mai avere la sensazione che con due mani al pianoforte si potrebbe fare di più. Chi ascolta non dovrebbe mai accorgersi che si suona con una mano sola".
Inoltre, gli esperti hanno osservato che la mano sinistra risulta a volte più agile e sciolta nei salti di ottava e nei virtuosismi che tali composizioni richiedono, senza contare poi il vantaggio per chi è mancino. E forse è il motivo per cui oggi tanti brani ideati per una mano sola privilegiano la sinistra, mentre quelli per la destra sono pochi. Tra questi ultimi, però, mi piace ricordare "Helena", delicata composizione scritta nel 2010 da Giovanni Allevi proprio per una pianista che aveva perso l'uso dell'altra mano.
Ma torniamo a Blumenfeld. Il suo Studio inizia come un rivolo d'acqua che scorre dall'alto di un nitido La bemolle maggiore, luminoso e - cosa che ne accresce l'incanto - a tratti dolcemente esitante. Tuttavia, il brano piega subito verso uno spessore più malinconico e scuro alternando nel giro di poche battute toni maggiori e minori.
Se l'esordio sul piano tecnico non comporta particolari problemi, il prosieguo del pezzo - come si vede dalla foto - è irto di difficoltà non solo per la velocissima successione di arpeggi e cromatismi, ma soprattutto per la necessità di suonare con la stessa mano melodia e accompagnamento.
Ha un piglio intensamente romantico il brano, all'inizio e nel finale ricco di nostalgica dolcezza, mentre nei passaggi centrali ha un cuore tempestoso. È un impeto che talora può ricordare lo Studio op.10 n.12 di Chopin - quello rivoluzionario per intenderci - e altrove certe atmosfere di Rachmaninov. Splendida, a mio avviso, l'interpretazione di Luke Faulkner per la scioltezza del fraseggio e l'espressività che conferisce a queste note.
Buona visione e buon ascolto!
(La foto è presa dal web)




