giovedì 13 giugno 2024

Patrimonio dell'umanità

Ho visto con gioia in tv il galà tenutosi il 7 giugno scorso all'Arena di Verona, per celebrare la grande opera italiana divenuta patrimonio dell'umanità.
Un riconoscimento che vuol rendere omaggio non
solo a tanti compositori e interpreti della lirica italiana, ma insieme a quella variegata macchina organizzativa fatta di scenografie, coreografie e molto altro che consente di allestire un'opera offrendo al pubblico un'esperienza di multiforme bellezza.

Ma che significa patrimonio dell'umanità? Non una semplice etichetta, un bollino che, da oggi in poi, abbia il potere di trasformare una cosa in un'altra, ma il giusto riconoscimento di una forma d'arte che già da secoli fa parte delle nostre radici culturali e nella quale troviamo significativi aspetti della nostra identità. Come scrivevo, un'esperienza di bellezza, e la bellezza - si sa - è un bene che va condiviso per quanto è lungo e largo il mondo.

Parlando di canto lirico italiano, penso a tanti dei nostri genitori e dei nostri nonni che, indipendentemente dal loro livello di cultura e pur non avendo studiato musica, ne apprezzavano tuttavia la ricchezza al punto che essa entrava a far parte della vita quotidiana. Conoscevano infatti le opere più in voga, ne sapevano a memoria le romanze più famose, la trama nella quale talora s'immedesimavano, i nomi dei personaggi e degli interpreti più celebri che citavano con naturalezza come fossero persone di famiglia. E se le rivalità tra la Callas e la Tebaldi - tanto per fare un esempio - potevano essere l'oggetto del gossip di allora, l'appuntamento serale con la lirica sul Terzo programma della radio era irrinunciabile.

I miei genitori non avevano l'abitudine di andare a teatro, ma ascoltavano l'opera proprio alla radio. Mio papà amava Puccini e a volte canticchiava a mezza voce certe romanze della Butterfly tra le vive proteste di mia mamma perchè, se pure lui le si rivolgeva dicendole "mogliettina olezzo di verbena", era però irrimediabilmente stonato!
A lei invece piaceva Verdi, soprattutto Il trovatore con la drammatica vicenda di
Azucena e Manrico; così certe romanze gliele ho sentite accennare che ero ancora bambina e non senza una percezione di vago sgomento.
Che poi alcune arie fossero per voce maschile e altre per voce femminile,
non faceva differenza: le cantavano comunque tutte con uguale passione! 

Insomma, il mondo della lirica era profondamente amato. Mia zia, che aveva passato la giovinezza in Sicilia, mi raccontava che, quando la soprano Toti Dal Monte si era recata a Messina, le migliori famiglie della città avevano fatto a gara per ospitarla in casa propria, perchè non dovesse alloggiare in albergo ma potesse godere di quell'accoglienza signorile e ricca di familiarità che una grande artista meritava.
Ecco...l'espressione patrimonio dell'umanità per me significa anche questo, perchè
non vi leggo soltanto la sottolineatura di un valore universale, ma insieme il potere dell'arte di renderci più umani e far bella la vita nelle sue mille sfaccettature. 

Così, oggi mi piace celebrare la lirica pubblicando un brano famosissimo che però non era tra quelli scelti per lo spettacolo all'Arena.
Tra le tante esibizioni del galà, ho particolarmente apprezzato la splendida voce e la presenza scenica del tenore peruviano Juan Diego Florez nella romanza
"Che gelida manina" da "La Bohème" di Giacomo Puccini.
Allora mi piace offrirvi l'altrettanto famosa aria che segue: "Mi chiamano Mimì", qui
cantata da una splendida Mirella Freni in un recital dove la soprano è diretta da Herbert von Karajan. Un'artista incantevole che ho ascoltato la prima volta alla Scala nel 1967, nel ruolo di Marguerite nel "Faust" di Gounod diretto da Georges Prêtre e che ho risentito poi in varie altre registrazioni.

La romanza de "La Bohème" è uno di quei brani che, per quanto li si ascolti, non finiscono mai di stupire. Vi s'intrecciano sogni, aspirazioni, sprazzi di quotidianità e un sentimento d'amore per la vita espresso in passaggi ora delicatissimi ora più vivi. "...Ma quando vien lo sgelo il primo sole è mio, il primo sole dell'aprile è mio..." : sono parole che non finirei mai di sentire tale è l'intensità, la passione e la speranza che esse disegnano attraverso la musica e la voce della Freni.
Una voce che commuove, mentre le note pucciniane raggiungono una
pienezza che ricolma l'anima!

 Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

4 commenti:

Rossana Rolando ha detto...

"...il potere dell'arte di renderci più umani e far bella la vita nelle sue mille sfaccettature". Ne sono profondamente convinta e, oggi - nel momento in cui il volto umano è deturpato in mille modi -, condividere bellezza significa indicare il fine più alto a cui siamo chiamati.
Grazie, cara Annamaria. Un grande abbraccio.

Annamaria ha detto...

Condividere bellezza, sì, è proprio come scrivi, il fine più alto cui siamo chiamati. Ciascuno a modo suo, attraverso passioni e competenze della propria vita.
Grazie di cuore, cara Rossana, ricambio il grande abbraccio!

Arrigo Lupo ha detto...

Due cose ha dato al mondo l'Italia nel Cinquecento e Seicento, il violino e l'Opera lirica. La musica del Seicento - come, in misura minore, quella dei secoli precedenti - è stata riscoperta nel corso del Novecento e oggi le Opere di Monteverdi e Cavalli cominciano a essere abbastanza rappresentate.

Annamaria ha detto...

Grazie, Arrigo, di aver ricordato la musica che ha fatto grande l'Italia anche nei secoli passati. Giusto che vada riscoperta!!!