E a questo libro in cui il musicista si mette in gioco con disarmante sincerità, mi piace associare uno dei suoi brani più celebri e amati dal pubblico, intitolato appunto "Come sei veramente", tratto dal cd "No concept" (2005). Non si pensi però che il titolo abbia un significato sentimentale. Come ha talora spiegato Allevi stesso, l'ispirazione per questa sua musica è nata dal fascino di un'affermazione di Sant' Agostino: "Si conosce solo ciò che si ama". Una frase del filosofo che ha abbracciato e scandagliato la propria inquietudine come cifra della nostalgia d'infinito dell'uomo, collegando un'autentica conoscenza degli altri - e di se stessi - a uno sguardo di amore. E solo a quello.
Buon ascolto!
"Gioire in Musica" è un piccolo spazio per condividere lo splendore della musica classica e le emozioni che essa suscita in noi; ma anche un luogo in cui raccontare quanto ogni musica nata dal profondo si intrecci alla nostra esistenza nutrendo il cuore e infondendoci vita, sorriso e limpidezza di sguardi.

mercoledì 30 settembre 2020
"Lo sguardo dritto sui fiori"
martedì 22 settembre 2020
"Oh, che armonico fracasso!"
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A. Longhi: "Ritratto di Domenico Cimarosa" (Foto presa dal web) |
Se vi piacciono gli ossimori, oggi eccone qua uno bellissimo e per giunta musicale!
È proprio l'espressione "armonico fracasso" che trovate nel titolo e che associa due elementi contrapposti: da un lato la luminosa e ordinata positività dell'armonia creata da piacevoli consonanze, e dall'altro quell'insieme di rumori forti, assordanti e confusi che definiamo appunto fracasso. Insomma, una contraddizione in termini!
Ma dove troviamo questa espressione e a che cosa è riferita?
Per rispondere, dobbiamo tornare indietro nel tempo, esattamente alla seconda metà del Settecento, e andare a scoprire un compositore nuovo per questo blog.
Si tratta di Domenico Cimarosa (1749 - 1801), esponente di spicco della scuola musicale napoletana e autore di un gran numero di opere comiche.
Ricordiamo prima di tutto "Il matrimonio segreto", certo la sua composizione più famosa: un dramma giocoso - ossimoro anche questo, direi! - che ebbe a suo tempo strepitoso successo e che lo ha reso celebre in mezza Europa.
Ma la produzione del musicista comprende parecchie altre opere i cui titoli - come "La villana riconosciuta", "Il vecchio burlato", "Le astuzie femminili", "Le nozze in garbuglio", "I finti nobili", "Il matrimonio per raggiro" solo per citarne alcuni - ci rivelano il gusto per la farsa, l'intrigo e il sotterfugio.
Feconda è la sua vena creativa, come la fresca e vivace immediatezza di tante sue arie, insieme al fatto che - pur prendendo spunto per i suoi personaggi dalla commedia dell'arte - ne ridisegna e ne approfondisce i caratteri a somiglianza di ciò che aveva fatto il Goldoni nelle sue opere teatrali. Proprio su di un libretto del commediografo veneziano, infatti, Cimarosa comporrà "La vanità delusa" e forse non è un caso che alla fine della sua vita si rechi a Venezia.
Tuttavia, il brano da cui è tratto l'ossimoro del titolo non è una vera e propria opera buffa, ma un semplice "Intermezzo" la cui genesi è incerta - Cimarosa doveva forse ampliare una composizione precedente? - e ignoto l'autore del libretto. S'intitola "Il Maestro di cappella" e la sua singolarità sta nel fatto che, insieme all'orchestra, c'è un solo personaggio in scena, protagonista di un monologo comico: una vivace e simpatica parodia del tipico compositore settecentesco - il Maestro di cappella, appunto - filone teatrale che vantava già i suoi precedenti con Mozart e Haydn.
Ma come si svolge?
Dopo un recitativo in cui il protagonista presenta il brano che dovrà essere eseguito sotto la sua direzione, iniziano le prove che si rivelano però disastrose: gli orchestrali suonano in modo disordinato e non intervengono al momento giusto. Così il Maestro è costretto a canticchiare la parte di ciascuno strumento imitandone il suono con una serie di divertenti onomatopee, finchè gli esecutori non risponderanno correttamente ai suoi dettami. Una parte molto gustosa e ricca di armonia imitativa, in cui si passa in rassegna la varietà dei timbri presenti in un insieme orchestrale verso la fine del Settecento.
Ma oltre alla musica, coinvolgenti anche la mimica e la gestualità dell'interprete - il bravissimo Enzo Dara - che col suo tono ora burbero, ora bonario, ma sempre enfatico, sottolinea l'intento parodistico della scena suscitando negli ascoltatori un sorriso.
Buona visione e buon ascolto!
lunedì 14 settembre 2020
Donne col libro - 9
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"Hotel sulla ferrovia" (coll. privata) |
"Donne col libro: solitudini in un interno".
Stavolta il sottotitolo di questo post potrebbe suonare proprio così.
Se infatti nei vari dipinti pubblicati finora, oltre ad essere fonte di riflessione o di svago, la lettura era vista come arricchimento culturale e strumento di emancipazione femminile, non sempre - tuttavia - le composizioni pittoriche che associano donne e libri hanno avuto questo intento.
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"Scompartimento C carrozza 293" - New York IBM Collection |
È a questo riguardo che mi hanno colpito alcuni dipinti di un pittore di cui ho già parlato qui tempo fa, e che ha rappresentato in modo emblematico ansie, attese e in particolare solitudini della società del suo tempo: lo statunitense Edward Hopper (1882 - 1967).
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"Vagone" - New York (coll. privata) |
Dai loro volti e dalle loro posture, infatti, non emerge altro che una compostezza ordinata e tuttavia inespressiva, quasi la lettura non fosse un elemento capace di modificarne il sentire, ma solo uno spazio in cui rinchiudersi per non dare adito alla comunicazione o perchè essa, forse, è divenuta impossibile.
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"Hotel Lobby" - Indianapolis, Museum of Art |
Ma si tratta di spazi anonimi, luoghi di passaggio privi del calore che si respira abitualmente in una casa.

E tuttavia, rappresentare uno spazio così squadrato geometricamente, con una ripetitiva successione di finestre come nel dipinto intitolato "Vagone", non fa che sottolinearne la freddezza.
Sono gelide simmetrie che vanno ad acuire il vuoto della solitudine, lo smarrimento dato da quel senso di provvisorietà che a volte ci coglie improvviso e che, invece di muoverci verso gli altri, talora ci blocca in un atteggiamento di sostanziale chiusura e incomunicabilità.
Possiamo allora immaginare quanto il contenuto di un libro, con le vicende e i sentimenti che esso a volte offre, possa da un lato costituire un rifugio alla solitudine, ma dall'altro risultare talora interiormente esplosivo, se confrontato al silenzio esteriore.
Ma, sia pure nella malinconia che lo caratterizza, il brano presenta un andamento progressivamente più concitato che sembra proprio esprimere il non detto, il fermento che talora ribolle in cuore nei momenti di solitudine e che, a volte, anche il contenuto di un libro può far emergere in tutta la sua veemenza.
Le frequenti ripetizioni della frase musicale che costituisce il tema - ora in tonalità minore, ora maggiore - scandagliate in ogni possibile variazione melodica, se ascoltate alla luce dei dipinti possono infatti sembrare parole che vadano a riempire il silenzio degli ambienti disegnati da Hopper. Battute di un discorso che riecheggiano prima sommesse, poi con intensità sempre più dolorosa e vibrante quasi nel tentativo di infrangere un muro di incomunicabilità.
Ma dopo una lunghissima pausa, l'affascinante accordo finale in maggiore apre forse alla comunicazione un lieve spiraglio.
martedì 8 settembre 2020
Musica dal passato al presente
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Foto prese dal web |
Quelle bachiane sono note che risuonano dal passato al presente oltrepassando il tempo, ma oggi desidero offrirvele sia nella versione originale per organo, che in un arrangiamento orchestrale a mio avviso straordinario, come solo può esserlo una colonna sonora del Maestro Morricone.
L'accostamento di questi due grandi però non è mio, ma me lo ha offerto una lettera al "Corriere della Sera" del 7 luglio scorso - giorno successivo alla morte del compositore - nella quale si ricordava quanto Morricone nei suoi brani si sia ispirato a Bach e, in uno in particolare, al "Preludio in la minore BWV 543".
È quindi allo sconosciuto autore della lettera che si firma "Guglielmo di Sens" che devo il mio grazie, per aver sollecitato la mia curiosità offrendomi insieme lo spunto per questo post.
Immagino che dietro un nome così altisonante si celi un architetto, dato che Guglielmo di Sens, vissuto nel XII secolo, è stato uno dei più celebri costruttori del suo tempo, artefice - tra l'altro - del coro della cattedrale di Canterbury.
E mi piace questo accostamento tra architettura e musica di Bach perchè ogni brano del compositore tedesco, dai più semplici fino alle monumentali fughe, è strutturato con matematica precisione e al tempo stesso con un'armonia simile a quella di un'antica, mirabile costruzione slanciata verso l'alto.
Ma torniamo a Morricone. La colonna sonora in cui - come ricordava il nostro sconosciuto architetto - si è ispirato a Bach, è quella del film "Il Clan dei Siciliani": pellicola del 1969 per la regia di Henry Verneuil, interpretata fra gli altri da Jean Gabin, Alain Delon, Lino Ventura e Amedeo Nazzari.
Si tratta di una musica che intreccia temi diversi più volte ripresi e variati, che ci coinvolgono fin dall'inizio - e poi sempre più intensamente - in un' atmosfera languida ma molto accattivante.
Il pezzo si apre con una lenta frase musicale: un malinconico passaggio discendente che parte dal la minore e qui ritorna, con sole quattro note: do - si - si bemolle - la. In apparenza un'introduzione, ma in realtà esso va ripetendosi simile a un mesto ritornello che fa da sottofondo al tema principale.
È proprio quest'ultimo a ispirarsi al "Preludio BWV 543", brano vibrante e acceso, costruito sulla pratica dell'antico ricercare e - a mio modesto avviso - non inferiore per bellezza e profondità alla celeberrima "Toccata e fuga in re minore BWV 565".
Del Preludio Morricone riprende l'esordio, la - do - la - mi, mantenendo la stessa tonalità della versione originale. Subito dopo tuttavia, ne intreccia il tema a quello precedente scambiandone i ruoli mentre, in una suggestiva fusione di passato e presente, fa riecheggiare anche le successive battute del pezzo bachiano. E sapientemente rielaborata da strumenti diversi man mano che l'organico orchestrale si amplia, affiora un'aria nostalgica che va a innestarsi su tutto l'insieme.
Un pezzo chiaramente ispirato a quello bachiano, sul quale tuttavia Morricone costruisce mondi e atmosfere molto differenti.
Ne deriva una linea melodica essenziale eppure sempre nuova, dove - nel passaggio dall'energico rigore barocco ad un clima malinconico e un po' noir - Bach sembra mutarsi in un sommesso ritmo di tango e, intensa e struggente, ancora una volta la musica ci rapisce l'anima.
Buon ascolto!