mercoledì 29 agosto 2012

Agosto: splendore di una natura morta.

Lo so.
Agosto è il mese delle ferie, delle spiagge e del divertimento, del mare o della montagna, delle serate di evasione talora chiassosa, delle mete esotiche da raggiungere all'ultimo minuto.


Ma - più che alla ricerca di svaghi movimentati - questo mese mi ha sempre fatto pensare alla sospensione della consueta routine, al tempo che si dilata, al silenzio, alle ore che scorrono pigre, magari mentre ci si riposa leggendo o contemplando semplicemente la vita, se possibile da un angolo di frescura.

Si può osservare il paesaggio che sfuma all'orizzonte o si staglia nitido contro l'azzurro, si può essere affascinati dalla grandiosità di un ghiacciaio o di una distesa di acque, ma ci si può anche regalare il tempo per cogliere lo splendore di un dipinto nella singolarità degli oggetti raffigurati che a volte ci aprono un mondo e ci narrano storie, consentendoci di respirare la loro particolare atmosfera.
Un po' come per il quadro di Emanuel de Witte postato qui il mese scorso - "Interno con donna alla spinetta" - che ha ispirato a Gaelle Josse il libro che citavo, così può accadere per ogni opera d'arte che ci trovi davvero ricettivi: un universo intero si apre davanti a noi e ci invita a farlo nostro, a immaginare la vita che gli sta dentro e dietro.
Anche a sognare.


Per questo, oggi mi piace pubblicare un dipinto di Henri Fantin-Latour (1836 - 1904), pittore francese che ha fatto dei fiori e delle nature morte in genere l'oggetto prevalente anche se non esclusivo delle sue rappresentazioni.
Il quadro, intitolato appunto "Natura morta" e conservato alla National Gallery of Art di Washington, è uno dei dipinti a mio avviso più affascinanti di questo tema.
Nonostante viva negli stessi anni degli Impressionisti, Fantin-Latour ha un disegno netto e pulito ben diverso dalla loro pennellata rapida e vibrante; e non privilegia la pittura
"en plein air", bensì la suggestione degli interni, soffermandosi ad indagare la vita segreta degli oggetti e della natura."Morta", certo, perchè fiori e frutta sono ormai staccati dalla pianta e destinati ad avvizzire; e tuttavia profondamente viva per quella capacità che possiedono talora le cose di essere segni concreti di una storia.
Non mi pare infatti che a prevalere qui sia il senso della
"vanitas", com'è per esempio nei pittori del Seicento che hanno trattato lo stesso tema. Se vogliamo, vi può far riferimento quella buccia di mandarino ormai secca sotto gli spicchi, che può ricordare certe rigogliose rappresentazioni di fiori che ne avevano sempre due o tre già appassiti, segno della caducità di ogni bellezza.

Tuttavia, al di là di questo, mi sembra che della tradizione passata Fantin-Latour abbia colto soprattutto la precisione, il minuzioso realismo che rende questi dipinti veri e propri pezzi di bravura nel raffigurare con maestria materiali diversi: dalla carta alla porcellana, dal legno al vetro o al vimini, in una fusione sapiente di semplicità e
raffinatezza, lezione che i Fiamminghi, per esempio, conoscevano bene.
Basta guardare, da un lato, il cesto di frutta dai colori vivaci che contrastano con la tinta fredda dello sfondo; e dall'altro, la delicatezza quasi trasparente di quella tazzina chiara dall'orlo dorato, l'eleganza classica del vaso scuro, i fogli del libro gualciti dall'uso o i riflessi degli oggetti sul tavolino di lucido legno di una splendida calda tonalità.

Ma sono tutti particolari che restituiscono anche vita e luce alla rappresentazione
- quante cose possono raccontare quella tazza e quel libro! - insieme a una corposità e a una percezione dei volumi già nuova rispetto al passato.
Interessante, a questo riguardo, anche la disposizione obliqua del ripiano e a sua volta quella del piccolo vassoio pure di lucido legno, quasi un taglio fotografico che ci consente di entrare nel dipinto, lasciandoci immaginare la stanza circostante con la sua pacata atmosfera.
Così, più che l'assenza di una figura protagonista che forse si è appena allontanata, gli oggetti ce ne comunicano la presenza per quella loro magìa capace di caricarsi dello spessore del vissuto e di regalarcelo silenziosamente.

E ci accompagna nella contemplazione di quest'immagine, un brano di Robert Schumann (1810 - 1856), "Arabesque in Do maggiore Op.18", famoso pezzo per pianoforte che alterna un ritmo di dolce scorrevolezza a tratti di grande intensità. Si tratta di una morbida e delicata melodia, ricca di luminose aperture e toni talora più malinconici, che ricorda il variare di stati d'animo colti nelle loro diverse sfumature, insieme a uno sguardo che riposa pacatamente sulle cose cogliendone suggestioni e risonanze interiori.

Buon ascolto!

12 commenti:

Ambra ha detto...

Profonda e acuta la tua analisi del dipinto, una natura viva più che una natura morta. Una rappresentazione così minutamente realistica da dare il senso della stanza in cui il tavolo è collocato e di chi ha appena appoggiato il libro sul tavolo e assaggiato il mandarino. Un protagonista assente, ma presente - come dici tu.

Caterina ha detto...

Ciao cara, é bello leggere di nuovo i tuoi pensieri interessanti guardando il dipinto ed ascoltando il brano di Schumann. É veramente un banchetto gioioso dei sensi!
Un abbraccione

Annamaria ha detto...

Sì Ambra, è proprio una rappresentazione minutamente realistica, come dici, e nello stesso tempo non fredda, ma ricca di fascino e di quel calore di cui si caricano spesso gli oggetti tra i quali viviamo.
Grazie!

Annamaria ha detto...

Bentornata qui, Caterina! Sono felice che musica e immagini ti regalino gioia! Bello, vero, Schumann?
Un abbraccio e a presto!

Sandra M. ha detto...

Anche con i dipinti catturi l'attenzione! Bentornata Annamaria.

Annamaria ha detto...

Bentornata a te, Sandra! E grazie!

Leonardo ha detto...

Adoro Schumann, è stato il precursore del romantici di quell'epoca...Quanto ad Horowitz, è stato una stella di prima grandezza nell'universo pianistico.
Grazie per la musica Annamaria, molto bel associata al quadro che hai proposto!
Buona giornata.

Anonimo ha detto...

Ammiro sempre la tua capacità di coniugare varie forme d'arte in armonia con il tuo pensiero del momento.Amo tantissimo Schumann e trovo che l'accostamento della natura morta (che in genere mi dà un po' di tristezza) sia veramente armonico. Poi, quel mandarino aperto, nel dipinto, offre un'idea di una presenza viva che si gusta l'attimo.
Grazie, cara Annamaria.
egle

Annamaria ha detto...

Grazie, Sirio! Questo è il primo Schumann che metto nel blog, ma penso che ne seguiranno altri.
Complimenti per i tuoi post, sempre ricchi di notizie interessanti e buona musica!

Annamaria ha detto...

E' vero, Egle, questa natura morta non mette tristezza, sia per i colori che per la corposità degli oggetti raffigurati.
Poi dà proprio l'idea di una presenza che si è appena allontanata. E direi che è una presenza femminile: c'è una grazia in quel tavolino e in quella tazza di porcellana... e poi il libro! Quante donne, proprio nella pittura dell'Ottocento, vengono raffigurate con un libro in mano o intente alla lettura!
Grazie del tuo commento e a presto!

Unknown ha detto...

bellisimo, beethoven è il mio preferito, un colosso, ed è vero quel che dici, che la musica , ma tutta l'arte ci immerge nell'eterno

Annamaria ha detto...

Grazie Luca!
Il tuo commento forse per sbaglio è finito qui dove c'è Schumann, ma è chiaro che ti riferivi a un altro post.
Sì, la musica, come tutta l'arte, ci immerge nell'eternità!!!