venerdì 31 ottobre 2025

Cannoli siciliani

Penso che tanti, all'interno delle repliche de "Il Commissario Montalbano", abbiano visto la puntata del 22 ottobre scorso, apprezzando una delle scene più toccanti e memorabili della narrazione.
Seguo fin dai suoi esordi questa serie che adoro
e della quale ho già parlato anni fa, esattamente qui. Ma, nonostante ricordi quasi a memoria episodi e personaggi con gli atteggiamenti e le espressioni che li caratterizzano, non mi perdo mai una puntata per la gioia di immergermi di nuovo in una meravigliosa cornice ambientale e in un'atmosfera che, se talora presenta vicende molto crude, fa tuttavia affiorare nei protagonisti tratti di una molteplice ricchezza umana.

Nella puntata cui faccio riferimento si rende omaggio alla figura del medico legale dottor Pasquano, venuto a mancare nella serie per la morte dell'attore che lo impersonava, Marcello Perracchio. Ne è derivata una sequenza in cui finzione scenica e vita reale si sovrappongono nell'intuizione decisamente centrata di commemorare l'attore scomparso ricordando il suo personaggio all'interno del telefilm. E in che modo?
Qui sta il bello: celebrando la passione che il dottore aveva per la buona tavola e in particolare per i cannoli siciliani. Tutti
abbiamo in mente le sue piccole colazioni a base di torte e ciambelle varie, come pure gli episodi in cui Montalbano non resisteva alla tentazione di rubargli un cannolo, o i loro battibecchi fatti di enfasi teatrale, ma in realtà di stima reciproca.

Così, l'dea di Luca Zingaretti e del regista Alberto Sironi è stata quella di onorare l'attore attraverso il suo personaggio, creando una sequenza nella quale, dopo il funerale, i protagonisti riuniti in commissariato mangiano proprio dei cannoli. Un ricordo misurato, privo di formalismi o di retorica e, se avete visto la puntata, non vi sarà sfuggita la serietà degna di un vero rituale con cui Montalbano porge il vassoio di cannoli ai suoi colleghi che li gustano in assoluto silenzio. Splendido!

Ma al di là della vicenda narrata nella fiction e della morte dell'attore, questo modo di ricordarlo mi ha colpito perchè è in realtà un celebrare la vita. 
È infatti un affondare le mani nell'humus dell'esistenza della persona scomparsa facendola rivivere in noi attraverso i sensi, anzi proprio a cominciare dai sensi! 
Senza nulla togliere al valore di una preghiera o di un fiore, nel ricordare Pasquano per la voluttà con cui gustava i cannoli, colgo qualcosa di profondamente umano e tangibile, quasi a significare che anche la realtà corporea è riscattata nell'ambito di un legame affettivo che la morte non spezza. Bellissimo e centrato poi questo riferimento al gusto per la sapienza in esso custodita: sàpere significa appunto avere sapore. 
Allora commemorare il morto inoltrandosi nel suo piacere di assaporare il cibo, è
valorizzarne l'umanità anche nelle sfaccettature più quotidiane, in un gesto di vicinanza ricco di una sua toccante sacralità.

Così, mi piace commentare questa scena con un brano di Franco Piersanti, autore della colonna sonora della serie. Si tratta di "Tenderness", un'intensa melodia dove malinconia e dolcezza si fondono in uno sguardo che sembra accarezzare cose e persone, vicende e paesaggi: un afflato di ricordi pervaso qua e là da un lieve ritmo di tango insieme a luminose aperture. 
E come altri pezzi del compositore, anche questo va a scandagliare la molteplice
anima siciliana narrata da Camilleri, fatta di una riservatezza talora scontrosa, ma insieme di passione per la vita in tutte le sue sfaccettature, cannoli compresi. 

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web) 

 
 

venerdì 24 ottobre 2025

Evviva CLAss_Liguriacanta!!!

L'articoletto di oggi è dedicato al gruppo di coristi che in settembre, ma a dire il vero anche nei mesi precedenti, mi ha consentito di fare una delle esperienze musicali più intense che avessi mai vissuto.  

Si tratta dell'Associazione dei cori liguri CLAss_Liguriacanta che festeggia i 5 anni dalla sua nascita e che, dal 19 al 21 settembre scorso, ha organizzato a Bocca di Magra un campus di studio sul Requiem di Mozart, conclusosi poi con l'esecuzione finale nella cattedrale di Sarzana.

Amo da sempre le iniziative che riguardano la polifonia. Dal coro parrocchiale al quale sono grata per avermi iniziato a questo genere di musica, fino al "Coro degli Stonati" dell'Orchestra Sinfonica di Milano - si chiama così...ma è uno splendido progetto di educazione vocale guidato dalla mitica Maestra Maria Teresa Tramontin - negli ultimi anni ho avuto modo di avvicinarmi ad esperienze anche impegnative. L'ultima è questa di cui parlo.

Ho avuto notizia ai primi di luglio del campus organizzato dall'Associazione ligure, ma la partecipazione presupponeva una conoscenza sicura delle varie parti del Requiem di Mozart. In passato, lo avevo ascoltato spesso e con la mia corale di parrocchia anni fa ci eravamo cimentati nel "Lacrimosa", ma qui la proposta era molto più ampia. Che fare?...
Spinta dall'entusiamo delle mie attuali compagne di coro - un manipoletto di sedici 
coraggiose che avevano aderito subito all'iniziativa - e col supporto dell'Associazione che ci ha fornito spartiti, tutorial ed email di gioioso incoraggiamento, mi sono iscritta anch'io! Evvai!!!
Di conseguenza, ho passato l'estate studiando, intenta ad orientarmi tra gli incastri delle potenti 
fughe e immersa nella meraviglia del testo mozartiano. La difficoltà più grossa però è stata il tentativo di appartarmi ogni volta in qualche angoletto di casa per cantare più liberamente, ora appollaiandomi in mansarda, ora chiudendomi a doppia mandata nel ripostiglio😒. Ma per la gioia di mio marito e dei vicini...non sempre ci sono riuscita😄.

La tre giorni di prove è stata impegnativa ma al tempo stesso entusiasmante per la guida del Maestro Matteo Valbusa che ha saputo unire una capacità comunicativa ricca di leggerezza ad altrettanta profondità di contenuti. 
Ci ha infatti illustrato alcune tecniche vocali, ma soprattutto ci ha consentito di
 cogliere le connessioni tra significato spirituale del testo del Requiem e dinamiche musicali della composizione mozartiana. I coristi presenti, circa un centinaio e non solo liguri, erano molto bravi ma il nostro gruppetto è stato all'altezza della situazione. Nonostante non avessimo mai cantato insieme, ci siamo armonizzati senza problemi in un clima di cordialità che i responsabili dell'Associazione hanno favorito con il loro spirito di accoglienza. 
Poi Mozart ha fatto il resto: così il momento dell'esecuzione conclusiva, nonostante la tensione
dell'impegno e qualche limite, è stato quel vìvere la musica dal suo interno che ha lasciato in tutti un'immensa gioia insieme al desiderio di coltivare ancora lo splendore del canto corale. 

Ora lo so, qualcuno vorrà sentire almeno uno stralcio dell'esibizione, ma non posso accontentarlo perchè il video non è disponibile su youtube. "E che fai? - mi direte - Prima ci ingolosisci e poi ci lasci a bocca asciutta?" 
Niente affatto! Siccome questo è un post che vuole esprimere gratitudine e che
 intende festeggiare i cinque anni di vita di CLAss_Liguriacanta, mi piace rendere omaggio al gruppo pubblicando una delle più belle performances dei suoi inizi. 
Si tratta di una registrazione fatta nel 2020 in piena pandemia, dove i coristi
cantano un brano di Joseph Rheinberger (1839 - 1901) : il celebre mottetto a sei voci miste intitolato "Abendlied", canto della sera. È un pezzo del quale avevo già parlato undici anni fa esattamente qui, ma lo ripubblico volentieri perchè ancora oggi riascoltarlo mi suscita profonda commozione. Lascio poi alla sensibilità di ciascuno il compito di cogliere tratti e sfumature di questa particolare interpretazione attraverso i volti, l'intensità e la passione dei singoli coristi.
Penso che non occorrano altre parole se non quelle che compaiono in apertura del video: "Quando la vita separa, la musica unisce"
e mi piace sottolinearle perchè hanno un valore che va ben oltre il periodo del Covid.

Buona visione e buon ascolto! 

(La foto è presa dalla pagina Facebook di CLAss_Liguriacanta e ci siamo anche noi!)

 


giovedì 16 ottobre 2025

Se lo sguardo è femminile -10



Sono stata a lungo incerta nella scelta del dipinto da pubblicare a proposito della pittrice di questo mese che è Artemisia Gentileschi (1593 - 1653). 
Si tratta di una delle più notevoli figure della prima metà del Seicento che, nella su
a produzione, si è misurata su soggetti sacri e profani, andando al di là dei temi rappresentati da altre artiste. 
La sua fama di pittrice è stata oscurata per un certo periodo dal fatto di essere f
iglia di Orazio Gentileschi - il che talora ha creato problemi di attribuzione delle sue opere - ma soprattutto dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi e dal processo seguito alla denunzia di Artemisia. Infatti, se è stata giustamente ricordata per la sua coraggiosa ribellione, in passato tale vicenda ha lasciato in secondo piano il suo talento artistico. 

Gli studiosi che invece ne hanno rivalutato di recente la memoria come pittrice, hanno sottolineato caratteri stilistici che dimostrano la conoscenza delle opere di Michelangelo Buonarroti e del Caravaggio, ma che - a mio modesto avviso - vanno anche al di là dei canoni dell'epoca in cui Artemisia vive. Per questo sono stata incerta nella scelta, perchè i suoi dipinti riflettono un afflato artistico decisamente poliedrico.

In un primo tempo avevo deciso di pubblicare "Susanna e i vecchioni" - che trovate qui a lato - nella versione forse più famosa del 1610 conservata presso il castello di Weißenstein, in Baviera.
L'opera rivela infatti la disinvoltura dell'autrice
nell'ambientare le figure nello spazio ed è evidente il duplice richiamo michelangiolesco nella torsione del corpo della donna che ricorda il modulo della figura serpentinata e insieme nel gesto delle mani che può richiamare il personaggio di Adamo nella Cacciata dal Paradiso all'interno del Giudizio universale.

Poi, sempre tra i dipinti che vedono protagoniste le donne, mi aveva suggestionato anche "Giuditta decapita Oloferne", conservato al Museo di Capodimonte, per il suo chiaro riferimento all'opera analoga che il Caravaggio aveva realizzato circa dieci anni prima. 

Elementi comuni sono tinte come il rosso scuro e il forte contrasto luministico che rende ancor più drammatica la scena. Qui, lo sguardo di Artemisia è preciso e sicuro, quasi analitico, uno sguardo che non arretra neppure nel dipingere i dettagli più macabri come gli schizzi di sangue sul cuscino. 
Dunque, se è senza dubbio notevole l'abilità della pittrice, sul piano stilistico mi sembra di vedere caratteri 
già conosciuti. Per questo, la mia scelta si è orientata poi sull'opera riportata in grande, intitolata "Autoritratto come allegoria della pittura" e conservata a Londra presso la Royal Collection di Kensington Palace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui davvero mi pare che l'artista ci dica qualcosa di nuovo che va al di là della rielaborazione di ciò che ha acquisito nel tempo. 
Quali aspetti mi colpiscono nel dipinto? La modernità del tratto insieme alla
 capacità di far coesistere tale modernità con un'estrema precisione di dettagli; ma soprattutto l'identificazione di Artemisia con la pittura, cosa che anima la composizione a cominciare dall'impostazione prospettica. 
La protagonista infatti attraversa il quadro diagonalmente rivolta alla tela che
dipinge, mentre la luce che piove dall'alto batte sulla sua fronte e illumina il viso concentrato sull'opera che sta realizzando.

Un autoritratto singolare, se lo confrontiamo con i tanti esempi del passato dal Quattrocento al Cinquecento, ma possiamo arrivare anche a Rembrandt trovando sempre un' iconografia tutto sommato tradizionale. 
Che le persone ritratte guardino lo spettatore o si volgano altrove verso qualcosa 
che sta fuori dalla tela o che ne emerga il loro carattere, sono certo dati significativi; ma i vari soggetti sono sempre fermi e centro della composizione resta il loro viso, mentre qui la pittrice è in movimento, ripresa nel suo gesto creativo, tutta assorta a riportare sulla tela il frutto della propria ispirazione. Anche il fondo scuro privo di ornamenti, se da un lato riconduce a tanta pittura del Seicento, dall'altro offre un'essenzialità inedita. 
Un' iconografia nuova dunque, e sul piano tecnico tutt'altro che facile da realizzare
 data la posizione obliqua in cui Artemisia si raffigura.

Colgo inoltre una grande sicurezza nel suo tratto pittorico ora preciso e dettagliato come nel pendaglio al collo e nella ruche che orla il vestito, ora più veloce e sintetico, moderno al punto che la rappresentazione dei capelli potrebbe essere attribuita a un artista di epoca successiva. 
Non solo.

La poliedricità della pittrice mi pare evidente
anche nella raffigurazione dell'abito le cui pieghe sulla manica hanno un verde cangiante dai riflessi metallici quasi fosse un'armatura.

Ne emerge l'immagine di una donna forte e decisa, ribelle e tesa non tanto ad esibire se stessa nella propria avvenenza, quanto a far intuire l'ardore della sua vocazione artistica. Un'immagine che mi ha messo in cuore subito - stavolta senza incertezze - la musica di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827), compositore tormentato, autore di brani dai forti chiaroscuri come i dipinti di Artemisia che riportano - oscuro e sotterraneo ma non tanto - il segno del dramma dell'antica violenza. 

Per questo ho scelto il primo movimento della "Sonata per pianoforte in Re minore n.17 op.31" intitolata "La tempesta". 
L' incipit del brano è pervaso da un senso di attesa e si allarga su di un arpeggio che sembra venire da profondità lontane
È interrotto poi da passaggi improvvisi e concitati finchè si apre il primo tema: una melodia impetuosa e ascendente che va riecheggiando piano in una sorta di bellissìma risposta, e che sale poi di tonalità in un clima sempre più vibrante e drammatico. Segue un secondo tema più sereno e tutto va ripetendosi altre volte nel corso del pezzo. 
Una tempesta ricca di contrasti, dunque, che prima si annunzia sommessa e lontana e poi 
esplode impetuosa. Ma ogni volta che le note rallentano o vanno sulle ottave più basse, la musica diventa una sostanza magmatica simile a un fuoco sotterraneo o a quel fondo scuro e un po' rossastro del quadro di Artemisia.
Una tempesta che, nella vita di Beethoven, è stata la crescente
sordità, condizione che tuttavia non gli ha impedito di dare alla luce musiche sublimi. Allo stesso modo, il dramma della violenza subita che ha attraversato l'esistenza della pittrice, non ne ha represso la coraggiosa ribellione e la capacità di mobilitare le proprie energie. 
Energie che ha incanalato ancor più intensamente nella creazione artistica,
alimentando quel fuoco che, se nel dipinto resta forse un po' sottinteso, le note di Beethoven, nel potere universale della musica, ci aiutano a cogliere.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web) 

 

mercoledì 8 ottobre 2025

Quando il tramonto si specchia nei canali

Il post di oggi è merito della mia amica Elisa e della splendida foto che ha scattato per la quale la ringrazio di cuore. 
A dire il vero, quando parecchio tempo fa me l'aveva inviata, mi era venuta
 subito l'idea di pubblicarla qui, ma siccome sono una che - come si suol dire - carbura lento, l'ho tenuta da conto fino ad ora in attesa del momento giusto. 
Allora eccola finalmente, riportata per ultima
nella sua interezza, mentre nelle prime due ho ritagliato i particolari che mi parevano più adatti a rivelare l'incanto del paesaggio insieme alla bellezza dell'inquadratura. 

L'immagine ritrae la nostra campagna padana al tramonto di una giornata autunnale ed è ricca di quel fascino che sarebbe piaciuto a Monet che più volte ha dipinto filari di pioppi con le chiome percorse dai fremiti del vento mentre si specchiano nell'acqua. 
Qui non sembra ci sia vento, forse solo la lieve
 brezza della sera dopo una giornata serena sulla nostra pianura, in una visuale che dà respiro lasciando un gran senso di pace. Non pare autunno inoltrato: le rive del canale sono ancora verdi, anche se il fogliame degli alberi ha già quella tinta tra il ruggine e il dorato tipica della stagione. 
Mi piace questo colore acceso che spicca sullo 
sfondo del cielo in cui l'azzurro va schiarendosi e tingendosi di rosa. La foto ha colto proprio la magìa del momento in cui il sole è già tramontato, ma il riverbero della sua luce dà luogo a sfumature che si fanno più intense all'orizzonte. 

Tuttavia, a mio avviso, ciò che oltre ai colori rende affascinante il paesaggio colto in questo scatto è la prospettiva che corre verso il fondo, segnata dal filare di tronchi e insieme dal loro riflesso nella roggia. È l'acqua infatti che fa da specchio agli alberi e al cielo moltiplicandone la luce e la sua gradazione rosata. 
Bella l'immagine di questa natura
serena che attende il silenzio della notte in una solitudine che è raccoglimento. Ma altrettanto bello sognare di percorrere a passi lenti le carraie che solcano i prati e fiancheggiano i canali, lo sguardo al filare di pioppi o all'orizzonte, nell'oro del tramonto che va spegnendosi piano.

È stata proprio la sensazione di ampio e pacato respiro che la foto mi comunica a suggerirmi il brano da associarle, e lo ripropongo volentieri nonostante l'abbia già pubblicato anni fa.

Si tratta del "Largo" del "Concerto per clavicembalo e orchestra n.5 in fa minore BWV 1056" di Johann Sebastian Bach, in seguito arrangiato per pianoforte solo col titolo di "Arioso" e qui nella trascrizione di Alfred Cortot. 
Sono diversi i motivi per cui, oltre al suo
splendore, ho scelto di nuovo questo pezzo. 
Un po' per la suggestione del termine
"Arioso" che mi restituisce la percezione della vastità della campagna percorsa forse da una brezza leggera. Poi per la speranza di far cosa gradita all'amica Elisa che ama la musica di Bach almeno quanto me. 

Ma - come direbbero gli inglesi - last but not least per la pregevole interpretazione del Maestro Giuseppe Merli che dal brano fa emergere ogni sfumatura. Infatti, sul rigore ritmico del pezzo espresso dalle quartine della mano sinistra, aggiunge una rara nitidezza di tocco nel tema della destra. Qui, se in certi passaggi fa fiorire più viva la melodia quasi le note fossero le battute di un discorso, in altri sottolinea invece il pacato rallentare della musica facendone emergere tutta la dolcezza e al tempo stesso lo spessore.
Ne deriva un'esecuzione ricca di intensità meditativa, a somiglianza di un cammino a
 passo lento attraverso la campagna autunnale, nell'ora del tramonto.

Buon ascolto!