domenica 13 aprile 2025

Quasi una ninna nanna

L'ascolto di César Franck, la scorsa settimana, oltre alla bellezza dei suoi brani mi ha riservato anche una piacevole sorpresa.
Avete presente quando, magari da anni, una musica vi gira in testa, non sapete che
cos'è e a tratti vi struggete di curiosità?
Ebbene, stavolta il tormentone veniva da lontano,
dall'epoca preistorica in cui facevo parte della schola cantorum della mia parrocchia. Ma qui occorre fare un bel salto indietro nel tempo.

Credo di aver già detto in passato quanto da bambina - sugli otto, dieci anni o giù di lì - amassi cantare nel coro della mia chiesa soprattutto quando, nelle Messe solenni, lo si faceva dalla balconata dell'organo seguendo la funzione da quel singolare punto di vista. A quell'età, per me e le mie compagne la cosa era fonte di divertimento anche se, praticamente appollaiate in poco spazio, dovevamo stare attente a non far scricchiolare troppo l'impiantito di legno sotto i nostri piedi. L'organo era proprio quello che vedete nella foto: il coro maschile stava a sinistra e quello femminile a destra del maestro, un giovane musicista di belle speranze che avrebbe poi fatto carriera.

Oltre ad alcuni inni a due voci, ci aveva insegnato un Kyrie, un Gloria e un Magnificat, ma non chiedetemi di chi perchè non l'ho mai saputo, forse di un autore dell'Ottocento. Però giuro che, nonostante l'epoca preistorica, la musica me la ricordo ancora tanto che ve la potrei canticchiare, anche se forse non è il caso. Il Kyrie era una melodia solenne e pacata che esordiva in tonalità maggiore, poi il Christe in minore e infine il Kyrie uguale a prima, come nella maggioranza dei casi.
Il Gloria invece era più animato, almeno all'inizio, ma quello che amavo di più era
il Magnificat nientemeno che a quattro voci: qui ce la mettevamo tutta per dare il meglio nei vari incastri vocali, nonostante qualche svarione in quel latino col quale nessuno, per il momento, aveva ancora dimestichezza. Dopo l'introduzione, interveniva la solista, splendida soprano poco più che ventenne della quale - a nostro dire - il maestro era innamorato. Insomma, eravamo bambine ma, oltre alla voce, avevamo anche la vista lunga.

La cosa più suggestiva, però, era senza dubbio il suono del vecchio organo dal quale ci sentivamo letteralmente attraversati soprattutto quando il maestro inseriva i registri più pieni. Un suono che, anche in seguito, mi ha sempre catturato tanto che mi ci perdevo dietro irrimediabilmente nel bel mezzo delle funzioni. È stato proprio durante queste celebrazioni che avevo sentito più volte quel brano sconosciuto fonte del mio tormentone, ritrovato poi giorni fa tra le musiche di César Franck (1822 - 1890).

Si tratta del movimento iniziale del "Preludio, Fuga e Variazioni op.18", pezzo d'impianto bachiano come quello della volta scorsa, del quale vi riporto sia la versione originale per organo che la suggestiva trascrizione per pianoforte.
È una composizione dall'andamento malinconico che, in qualche passaggio, può ricordare il
ritmo di una ninna nanna o di una dolce pastorale, per il suo bellissimo tempo ternario di 9/8 e il suo ritornare spesso sul tema iniziale ripreso poi anche nelle variazioni.
Ma la mia gioia non è stata solo il poter dare finalmente un nome alla melodia
depositata nella mia memoria, ma godere insieme dello splendore della trascrizione per pianoforte che, a mio avviso, ne valorizza il fascino. Qui la brava interprete sottolinea infatti le varie dinamiche, esaltando i contrasti tra i passaggi più incisivi in cui la musica si anima ed altri nei quali va invece a smorzarsi piano, con struggente dolcezza.
E sono grata a César Franck per avermi fatto tornare bambina o poco più.

Buon ascolto!

(La foto - che raffigura l'organo della Chiesa di San Lorenzo a Lodi - è presa dal web) 

 

domenica 6 aprile 2025

Il vento inquieto della primavera

Sono in treno, come spesso mi capita.
Chi mi legge qui sa bene che viaggiare in
treno mi piace e non solo perchè faccio dello scompartimento una casa e ci lavoro con calma. Negli anni dell'università riordinavo gli appunti delle lezioni; ora a volte rivedo qualche articolo che ho in cantiere nel blog. Ma più spesso osservo la campagna che scorre dal finestrino, magari ascoltando musica.

Sono proprio questi momenti passati senza far nulla in una sorta di attitudine contemplativa, lasciando vagare lo sguardo e i pensieri, a rigenerarmi interiormente. Tempi morti? In un certo senso sì, ma in realtà ricchi di una vita che - lasciate in un canto le pre-occupazioni più urgenti e complice il paesaggio - riaffiora libera e sorridente restituendomi a me stessa.

Nei giorni scorsi, mi è capitato invece di tornare a casa col pullman sostitutivo del treno, verso l'ora di pranzo. Era tanto che non prendevo l'autobus, lo facevo anni fa alla sera e quella mezz'ora o poco più di viaggio nella tana calda del mezzo, soprattutto d'inverno, era rilassante. Sapevo a memoria ogni curva della strada che attraversava paesi e campagne: qui il negozio di casalinghi, poi la farmacia, poi la piazza della chiesa, e dalle finestre illuminate nel buio serale intuivo la vita che vi si svolgeva dietro. 

L'altra mattina invece era primavera, con un cielo di nuvole ariose che svegliava il verde dei prati, disegnando nella pianura prospettive lontane e lasciando intravvedere alberi e cascinali. Più vicino, qualche arbusto già fiorito, qua e là cespi di forsizie nei giardini in un panorama pacato e riposante, simile a quello del dipinto di Van Gogh che vedete nel riquadro, intitolato "Paesaggio sotto un cielo nuvoloso".
Così, ho lasciato che il suo splendore m'invadesse senza opporre resistenza nè
spezzarne la suggestione. Sentivo la vita che riaffiorava come una linfa che rigenera i rami stecchiti dal freddo invernale e, man mano che l'autobus procedeva, mi pareva che qualcosa rifiorisse leggero anche in me, insieme al giallo dei fiori sul prato e al lieve refolo del vento inquieto.
Proprio quel vento inquieto, infatti, mi pareva segno della primavera con i suoi
sprazzi di luce ma anche la sua nuvolaglia, la carezza del sole e talora qualche scorcio plumbeo in lontananza: un vento che, dopo il lungo sonno invernale, smuoveva la campagna ridandole vita.

Sarà forse per questa inquietudine che sono stata affascinata dal brano che condivido oggi, dando il benvenuto nel blog a un autore nuovo.
Si tratta di César Franck (1822 - 1890) del quale tutti conosciamo, per averlo
magari anche cantato, il celebre "Panis angelicus", inno che il compositore ha scritto musicando la penultima strofa di un testo di san Tommaso per la festa del Corpus Domini. Bene. Da qui però non ero mai andata oltre nella conoscenza del musicista: così, sono rimasta gioiosamente sorpresa quando ho scoperto altri suoi brani.

Quello che vi propongo oggi è il movimento iniziale del "Preludio, corale e fuga op.21" per pianoforte solo, pezzo accattivante nel quale suggestioni romantiche si fondono a evidenti reminiscenze bachiane. I critici affermano che la passione di Franck per Bach si esprime nella struttura del brano che, oltre al preludio, comprende un corale e una fuga. Vero!
Ma a mio modesto avviso, anche il preludio stesso, nel suo andamento subito acceso,
simile a un fuoco che cova sotto la cenere per farsi poi sempre più dirompente, presenta svariati riferimenti al passato a cominciare da Bach.
Io ci sento riecheggiare alcuni passaggi del "Preludio n.21 in Si bemolle maggiore
BWV 866" dal I libro del Clavicembalo ben temperato, e al tempo stesso, sia pure con un ritmo diverso, il "Preludio in do minore BWV 999" che chissà quanti di noi hanno suonato da principianti.
Ma allontanandoci da Bach verso richiami romantici, qualche punto del brano mi ricorda
alcune animate riprese orchestrali del "Concerto in la minore op.54" di Schumann, come pure un certo virtuosismo di Liszt.

Mi pare quindi che lo splendore del pezzo di Franck stia nell'appassionante inquietudine che tutto lo percorre e che continuamente riaffiora, ora in passaggi lievi, ora in un moto vibrante e rapinoso, a volte con arpeggi di rigore bachiano, altrove con potenti note scandite che, forse, potrebbero aver ispirato Rachmaninov.
Un'inquietudine che sembra nascere da lontano, dal cuore della tonalità minore, e
che va progressivamente a scavare nell'anima di chi ascolta suscitando nuovi germogli di vita, a somiglianza del vento sui prati della mia campagna.

Buon ascolto! 

(La foto è presa dal web)