venerdì 21 giugno 2024

Specchi d'acqua - 6



 

Come ho già fatto tempo fa parlando del corso della Moldava, anche oggi la mia attenzione non si sofferma su di un dipinto, ma su di una serie di immagini che non esito a definire ugualmente opere d'arte, create insieme dalla natura e dall'uomo. Un mondo variegato e bellissimo che spazia dalle cascate più famose alle celebri fontane di Roma, fino ai giardini delle tante residenze storiche che costellano Italia e l'Europa in cui l'acqua crea splendidi giochi. Ma non intendo dilungarmi troppo e per ora mi limito a riportare solo qualche esempio presente nel nostro Paese.

Meravigliosa è la Cascata delle Marmore di cui vedete la foto qui in alto: un'opera artificiale tra le più alte del mondo e senza dubbio d'Europa, con suoi 165 m. di dislivello complessivo. Arrivando dalla Valnerina se ne sente il fragore da lontano, un rombo che va facendosi sempre più distinto finchè non vi si giunge sotto, al punto da essere raggiunti dagli spruzzi. Uno spettacolo di magnificenza e grandiosità.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, è anche sull'acqua che attraversa località più piccole - talora famose, altre meno - che mi piace fermare l'attenzione: a Isola del Liri, per esempio, di cui vedete qui sopra una foto.

Siamo nel Lazio e la cascata del fiume, al centro della città, suscita riflessi che cambiano col mutare della luce creando bacini in cui si specchiano gli edifici circostanti, o fremiti ribollenti sulla superficie delle acque più scure, come vedete ancora una volta qui sopra.

Un effetto simile, per quanto il salto sia più basso, si può ammirare anche a Stia, nel Casentino, dove la cascata del torrente Staggia scorre talora impetuosa proprio in mezzo alle case.
Allo stesso modo, si potrebbero ricordare tante altre località a cominciare da Rasiglia, attraversata da un dedalo di ruscelli e
considerata la piccola Venezia umbra; o Bagno Vignoni, in Toscana, dove la piazza principale è occupata da un lavatoio e una grande vasca da cui sgorga una sorgente termale.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ho fatto cenno anche a giochi d'acqua e fontane. Così, tra i tanti esempi da Roma, Caserta, Firenze, Bagnaia e non solo, oggi ho scelto Tivoli.
Qui, nei giardini di Villa Adriana e Villa d'Este, lo splendore della natura s'intreccia
ancora una volta al lavoro dell'uomo che, nell'ambito dell'architettura rinascimentale e più ancora barocca, ha fatto dell'acqua un elemento scenografico fondamentale.



Sono prospettive che si aprono a dilatare lo spazio e talora a creare illusioni: giochi e scherzi che mirano a sorprendere il visitatore, dove la fantasia - e talora la bizzarria delle trovate - ci parla dell'inventiva e dell'abilità tecnica dei vari artefici. Tali opere infatti sono frutto di molteplici doti: da un lato immaginazione e potenza creativa, dall'altro competenze non solo architettoniche e scultoree, ma attinenti alla fisica, all'idraulica e all'acustica. E non bisogna dimenticare che l'acqua ha un suono che viene spesso sfruttato per creare anche effetti musicali.




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così, proprio per passare alla musica, mi sembra d'obbligo offrirvi il brano che Franz Liszt (1811 - 1886) ha dedicato a questo argomento intitolandolo appunto "Giochi d'acqua a Villa d'Este".
Tratto dal terzo libro degli "Années de Pèlerinage" - suites per pianoforte nate a seguito di alcuni viaggi in Svizzera e in Italia - il pezzo è stato scritto nella seconda metà dell'Ottocento a Tivoli, dove il compositore aveva soggiornato a Villa d'Este, ospite del cardinale Von Hohenlohe.

Ascoltandolo, cogliamo una sorta di armonia imitativa che va riproducendo getti, zampilli insieme alle mille iridescenze dei giochi d'acqua delle fontane e dei giardini della villa: uno stile che sembra anticipare quello dei vari autori del Novecento che hanno ricreato in note tali suggestioni.
Tuttavia l'intenzione del compositore non era tanto quella di creare una musica
impressionistica - anche se, in realtà, lo ha fatto - ma di permeare il tema dell'acqua di un simbolismo religioso. Lo si può arguire dalla citazione del Vangelo di San Giovanni con cui Liszt commenta la battuta 144 della sua composizione, nel punto in cui la mobilità dell'acqua si placa:
"sed aqua, quam ego dabo eì, fiet in eo fons aquae salientis in vitam aeternam" (ma
l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una sorgente d’acqua che scaturisce per la vita eterna)

Al di là di tale citazione che senza dubbio carica il testo del senso di una ricerca spirituale e dove l'elemento fisico rimanda a una realtà metafisica, a me il brano piace molto anche per altri motivi.
Prima di tutto il modo in cui il tema da un lato, e l'insieme di trilli e arpeggi
dall'altro, si fondono e sovrappongono. Talora gli ornamenti si fanno tanto accesi e marcati da sovrastare il canto della melodia; altre volte essa affiora qua e là con tocchi di indicibile bellezza. È un movimento di acque prima scorrevoli e leggere, dove le note sembrano davvero liquide, e poi più impetuose.
Ma il brano mi colpisce anche perchè la luminosità di certi passaggi mi ricorda Christian
Sinding, inducendomi a pensare che, nel comporre il suo celebre "Mormorio di Primavera", il compositore norvegese avesse in mente questo pezzo. Un pezzo senza dubbio di straordinaria modernità che pone Liszt in anticipo sui tempi.

Buon ascolto! 

Le foto, tutte prese dal web, nell'ordine rappresentano:

1) Cascata delle Marmore   2) Isola del Liri   3) Isola del Liri, particolare   4) Stia   5) Rasiglia   6) Villa d'Este a Tivoli: Fontana del Nettuno e giardini   7) Villa d'Este a Tivoli: Fontana dell'Ovato   8) Villa d'Este a Tivoli: Fontana dei Draghi.

 



giovedì 13 giugno 2024

Patrimonio dell'umanità

Ho visto con gioia in tv il galà tenutosi il 7 giugno scorso all'Arena di Verona, per celebrare la grande opera italiana divenuta patrimonio dell'umanità.
Un riconoscimento che vuol rendere omaggio non
solo a tanti compositori e interpreti della lirica italiana, ma insieme a quella variegata macchina organizzativa fatta di scenografie, coreografie e molto altro che consente di allestire un'opera offrendo al pubblico un'esperienza di multiforme bellezza.

Ma che significa patrimonio dell'umanità? Non una semplice etichetta, un bollino che, da oggi in poi, abbia il potere di trasformare una cosa in un'altra, ma il giusto riconoscimento di una forma d'arte che già da secoli fa parte delle nostre radici culturali e nella quale troviamo significativi aspetti della nostra identità. Come scrivevo, un'esperienza di bellezza, e la bellezza - si sa - è un bene che va condiviso per quanto è lungo e largo il mondo.

Parlando di canto lirico italiano, penso a tanti dei nostri genitori e dei nostri nonni che, indipendentemente dal loro livello di cultura e pur non avendo studiato musica, ne apprezzavano tuttavia la ricchezza al punto che essa entrava a far parte della vita quotidiana. Conoscevano infatti le opere più in voga, ne sapevano a memoria le romanze più famose, la trama nella quale talora s'immedesimavano, i nomi dei personaggi e degli interpreti più celebri che citavano con naturalezza come fossero persone di famiglia. E se le rivalità tra la Callas e la Tebaldi - tanto per fare un esempio - potevano essere l'oggetto del gossip di allora, l'appuntamento serale con la lirica sul Terzo programma della radio era irrinunciabile.

I miei genitori non avevano l'abitudine di andare a teatro, ma ascoltavano l'opera proprio alla radio. Mio papà amava Puccini e a volte canticchiava a mezza voce certe romanze della Butterfly tra le vive proteste di mia mamma perchè, se pure lui le si rivolgeva dicendole "mogliettina olezzo di verbena", era però irrimediabilmente stonato!
A lei invece piaceva Verdi, soprattutto Il trovatore con la drammatica vicenda di
Azucena e Manrico; così certe romanze gliele ho sentite accennare che ero ancora bambina e non senza una percezione di vago sgomento.
Che poi alcune arie fossero per voce maschile e altre per voce femminile,
non faceva differenza: le cantavano comunque tutte con uguale passione! 

Insomma, il mondo della lirica era profondamente amato. Mia zia, che aveva passato la giovinezza in Sicilia, mi raccontava che, quando la soprano Toti Dal Monte si era recata a Messina, le migliori famiglie della città avevano fatto a gara per ospitarla in casa propria, perchè non dovesse alloggiare in albergo ma potesse godere di quell'accoglienza signorile e ricca di familiarità che una grande artista meritava.
Ecco...l'espressione patrimonio dell'umanità per me significa anche questo, perchè
non vi leggo soltanto la sottolineatura di un valore universale, ma insieme il potere dell'arte di renderci più umani e far bella la vita nelle sue mille sfaccettature. 

Così, oggi mi piace celebrare la lirica pubblicando un brano famosissimo che però non era tra quelli scelti per lo spettacolo all'Arena.
Tra le tante esibizioni del galà, ho particolarmente apprezzato la splendida voce e la presenza scenica del tenore peruviano Juan Diego Florez nella romanza
"Che gelida manina" da "La Bohème" di Giacomo Puccini.
Allora mi piace offrirvi l'altrettanto famosa aria che segue: "Mi chiamano Mimì", qui
cantata da una splendida Mirella Freni in un recital dove la soprano è diretta da Herbert von Karajan. Un'artista incantevole che ho ascoltato la prima volta alla Scala nel 1967, nel ruolo di Marguerite nel "Faust" di Gounod diretto da Georges Prêtre e che ho risentito poi in varie altre registrazioni.

La romanza de "La Bohème" è uno di quei brani che, per quanto li si ascolti, non finiscono mai di stupire. Vi s'intrecciano sogni, aspirazioni, sprazzi di quotidianità e un sentimento d'amore per la vita espresso in passaggi ora delicatissimi ora più vivi. "...Ma quando vien lo sgelo il primo sole è mio, il primo sole dell'aprile è mio..." : sono parole che non finirei mai di sentire tale è l'intensità, la passione e la speranza che esse disegnano attraverso la musica e la voce della Freni.
Una voce che commuove, mentre le note pucciniane raggiungono una
pienezza che ricolma l'anima!

 Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

mercoledì 5 giugno 2024

Fascino aggiunto a fascino

A costo di diventare noiosa, oggi torno ancora a Bach ed esattamente al brano della volta scorsa - l'Aria n.9 dalla "Cantata BWV 208" detta "La caccia" - per regalarvene altre due versioni dopo quella per voce soprano e l'altra per coro polifonico pubblicate giorni fa.
Si tratta infatti di un pezzo che - per quanto sia stato pubblicato dopo la morte del compositore - è stato
poi spesso eseguito e rielaborato per vari strumenti. Così, mi piace condividerlo nel fascino del pianoforte solo, in due interpretazioni diverse sia per l'approccio con cui i solisti accostano il testo, sia perchè la seconda ci offre un'interessante trascrizione a quattro mani. 

Se l' Aria nella sua soavità vi è piaciuta, sentirete subito quanto l'uso di uno strumento come il pianoforte qui ne accresca il garbo o comunque ne faccia affiorare aspetti nuovi, diversi dal timbro del flauto o da quello delle voci umane pure molto affascinanti. Insomma, parafrasando una celebre romanza pucciniana, si potrebbe parlare di bellezze diverse, tutte nascoste nella musica di Bach ma che, affidate ai vari strumenti e ai vari interpreti, svelano la loro recondita armonia. 

Il primo è Benjamin Hochman che ci offre un' esecuzione molto pacata.
La scrittura per pianoforte solo sintetizza in una le parti che, nella versione
originale, sono affidate a voci diverse - cantante solista, due flauti e basso continuo - e Hochman ci restituisce il brano con tocchi di morbidezza che ce lo fanno gustare senza strappi, in una continuità sonora lieve come una ninna nanna. Così pure, alcuni passaggi che, senza nulla togliere al rigore bachiano, sono appena più rallentati, esaltano lo splendore della melodia.

Diversa l'interpretazione successiva ad opera di Lang Lang e della moglie Gina Alice Redlinger. La trascrizione del brano per quattro mani - al contrario del precedente - ne mette in luce infatti la complessità e insieme ci consente di cogliere in modo più chiaro la struttura polifonica che sostiene il pezzo nella sua magnifica articolazione.
I due pianisti si alternano nell'esporre melodia e accompagnamento, intrecciando
ora grande energia, ora inarrivabile grazia.
Lo si vede dai gesti, dagli sguardi, dal garbo reciproco, dalla delicatezza e da
un'intesa che fa emergere il differente carattere dell'uno e dell'altra, come se dalla loro interpretazione affiorasse anche il sotterraneo universo del non detto. Quello che cogliamo è infatti un dialogo di anime attraverso le note: dal sorriso dolcissimo di lei che sottintende tuttavia grande forza e sicurezza, al gesto di lui ora passionale, ora più misurato, che sembra dirigerla con gentilezza e al tempo stesso rigorosa padronanza della musica.

E se anche non sapessimo che sono marito e moglie, dal loro suonare insieme si potrebbe facilmente intuire una non comune sintonia.

Buona visione e buon ascolto!

(La foto è presa dal web)