Così, oggi, ho scelto di condividere con voi un dipinto che ha sempre esercitato su di me un grande fascino, fin da quando l'ho potuto ammirare per la prima volta sul testo di Storia dell'arte del liceo.
Si tratta di una delle creazioni più famose di Caspar David Friederich (1774 - 1840) intitolata "Il mare di ghiaccio" e conservata presso la Kunsthalle di Amburgo. Ma è nota anche come "Il naufragio della Speranza tra i ghiacci", con riferimento all'insuccesso di alcune spedizioni che negli anni tra il 1819 e il 1824 erano partite per il Polo Nord.
E' lo sfascio di un grande iceberg a campeggiare al centro dell'opera attirando la nostra attenzione, in mezzo a una sconfinata distesa di ghiaccio che sembra perdersi in un gelido nulla: schegge e lastroni simili a pezzi di muraglia tagliente sullo sfondo di una landa solitaria e inospitale.

Tuttavia, al di là del fatto in sè, il tema del dipinto si carica di significati simbolici che forse alludono anche alla compagine politica e culturale del tempo in cui il pittore è vissuto.
Nella rappresentazione della sconfitta dell'uomo ad opera degli elementi della natura, si esprime infatti il contrasto tipicamente romantico tra tensione verso l'assoluto e avversità del destino, insieme alla consapevolezza del limite e della fragilità umana.
Ma l'immagine può essere forse anche memoria di un evento luttuoso che aveva segnato la giovinezza dell'artista.
Nella sconnessa montagna di lastre sotto le quali si apre il mare, Friederich potrebbe aver proiettato il trauma subito a tredici anni, quando la superficie di ghiaccio sulla quale pattinava si era spezzata e un fratello - dopo avergli salvato la vita - era stato irrimediabilmente inghiottito dalle gelide acque sottostanti.
E tuttavia, non sono solo questi i dati e le suggestioni che il dipinto mi comunica. Non è solo il paesaggio in primo piano così irto di linee oblique e aguzze a colpire il mio sguardo, ma lo sconfinato spazio al di là di quelle.
Al di là dei segni del naufragio, nello sfondo di un cupo azzurrino in cui compaiono altri iceberg simili a pallidi fantasmi, c'è infatti un oltre misterioso. Forse il nulla, il deserto, il vuoto di esseri umani; forse l'ignoto con la sua carica di angoscioso sgomento, certo, ma anche con un respiro che apre a mondi sconosciuti.
E gli iceberg più lontani che si delineano appena come ombre leggere all'orizzonte, disegnano una geografia da esplorare, uno spazio che attrae e intimorisce ad un tempo, come tutto ciò di cui non si ha ancora esperienza.

E' una prospettiva di solitudine totale dalla quale l'animo si ritrae spaventato, e tuttavia non priva di un suo misterioso fascino e forse talora specchio di una situazione esistenziale.
Credo non ci sia musica più adatta di quella di Glass per esprimere l'inquietudine che segna la vita dell'uomo: note ansiose e tutt'altro che rassicuranti, quasi aprissero dentro di noi la percezione di universi sconosciuti, eppure ricche di una struggente, malinconica dolcezza.
E nonostante la sfasatura cronologica tra i due artisti, mi pare che il brano possa adattarsi anche al dipinto di Friederich che - pur inquadrandosi nel clima e nella sensibilità romantica d'inizio Ottocento - offre suggestioni che vanno ben al di là del suo tempo.
Spazi, quindi, che ci conducono verso l'ignoto, insieme a note che sono tensione e al tempo stesso carezza d'infinito.
Buon ascolto!