giovedì 30 novembre 2017

"Sa qui turo..."

Caravaggio: "Suonatore di liuto" (part.) - San Pietroburgo - Hermitage
Le mie scorribande su youtube proseguono.
Così, di musica in musica, è stato proprio navigando tra i brani correlati a quello della settimana scorsa che sono gioiosamente approdata al pezzo di oggi.
Ancora una volta, infatti, mi sono lasciata catturare dalla bravura degli strumentisti dell' "Arpeggiata" e, dopo la "Ciaccona del Paradiso et dell'Inferno", ho scovato il brano che sentirete.

Ma prima vale la pena dare qualche cenno in più su questo singolare ensemble.
Il gruppo è sorto nel 2000 a Parigi sotto la direzione dell'austriaca Cristina Pluhar e va alla riscoperta di musica antica - soprattutto europea ma anche di altri continenti - benchè talora non manchino digressioni addirittura verso il jazz. Non solo il repertorio, ma anche gli strumenti sono in parte moderni e in parte d'epoca (chitarra barocca, arciliuto, cornetto, violino barocco, salterio, ecc.) così che ne deriva un'originale e accattivante fusione di timbri e di ritmi.

Il brano di oggi può rientrare nel genere della musica etnica. 
Si tratta infatti un villancico, composizione musicale di origine popolare, inizialmente monodica e poi polifonica, nata nella penisola iberica nel periodo rinascimentale e successivamente esportata nelle colonie spagnole e portoghesi. Prima di argomento amoroso o comunque profano, si caratterizza in seguito - nel periodo della Controriforma - per il contenuto religioso.

Quello che ascolterete, trovato in un manoscritto anonimo del XVII sec. nel monastero di Santa Cruz a Coimbra, in Portogallo, può essere definito un canto popolare natalizio dei negritos di Guinea. La lingua è infatti un'imitazione di quella dei neri delle colonie, mista di afro-lusitano, portoghese e spagnolo. S'intitola "Sa qui turo" ed è tratto dal cd "Los impossibles" uscito nel 2006.
Eccovi la traduzione del testo:

"Tutti qui son gente nera / tutta gente di Guinea / he he he / tamburo, flauto e nacchere / e sonagli ai piedi /he he he./ Faremo una festa/ in onore del piccolo Manuè (Emanuele) / he he he! / Canta Baciao (Bastiano) / canta tu Thomé (Tommaso)/ canta tu/ canta tu, Flanciquia (Francesco) / canta Caterija (Caterina) / canta tu/ canta tu, Flunando (Fernando) /canta tu Resnando / canta tu. / Ascoltate ascoltate:/ tutti i neri sanno cantare / cantiamo e balliamo /cantiamo e balliamo / perchè siamo liberi / suoniamo e cantiamo / ci divertiamo e suoniamo/ suoniamo il tamburino, il flauto e i sonagli / diciamo viva / viva la nostra Signora e viva Zuzè (Giuseppe)."

Ma per tornare strettamente alla musica, se nel brano della scorsa settimana l'ensemble dell' "Arpeggiata" aveva come solista lo straordinario Philippe Jaroussky, questa volta accompagna i prestigiosi "King's Singers".
Belli da vedere e da ascoltare, appassionati e grintosi sia nella coesione che nell'intonatissima alternanza delle voci dal basso fino ai controtenori, ci offrono qui un esempio di mirabile polifonia. Ne deriva un'interpretazione di grande fascino che - insieme alla parte strumentale e in particolare alle percussioni - sottolinea e valorizza il ritmo coinvolgente del pezzo.

E ora che il calendario ci conduce verso l'Avvento, mi piace pubblicare questo brano che, nell'accogliere in festa Gesù Bambino - il menino Manuè - mette in gioco ed esorta a cantare ogni singola persona, chiamandola per nome.

Buon ascolto!

mercoledì 22 novembre 2017

"O che bel stare è stare in Paradiso..."

Domenichino (1581 - 1641) : "S.Cecilia col coro"
La ricorrenza della festa di Santa Cecilia, che qui ho più volte celebrato, mi ricorda che il tempo vola e questo mio angoletto di web da circa un mesetto - giorno più, giorno meno - ha compiuto la bellezza di sette anni!!!

Metto proprio tre punti esclamativi perchè, all'inizio della mia piccola avventura di blogger, mai avrei immaginato la sua durata e soprattutto l'immensa gioia che mi avrebbe regalato. 
Ma se oggi, a distanza di anni da quel primo post del 2010, mi ritrovo dentro ancora intatto l'entusiasmo della condivisione, devo dire GRAZIE agli amici lettori che, conosciuti o sconosciuti, esplicitamente o meno, commentando o in silenzioso ascolto dietro un computer, hanno gustato con me l'inesauribile splendore della Musica.

Tuttavia, parlare di entusiasmo intatto non è pienamente rispondente al vero perchè - com' è naturale per ogni cosa - lo scorrere del tempo cambia il nostro modo di essere insieme alle nostre percezioni. Così a volte, alla prova del quotidiano e confrontate con quelle altrui, le esperienze assumono connotati e spessore diversi, a somiglianza di un cammino in continuo mutarsi e divenire. 
Bene. Alla luce di tutto ciò, devo dire che il mio entusiasmo non è intatto per il semplice motivo che è raddoppiato e, se ieri muovevo i primi passi gioiosi ma un po' incerti, oggi il mio desiderio di condividere ha messo radici in una convinzione sempre più solida e serena.
Insomma, non mi sono ancora stancata e questo - oltre che a tutti voi - lo devo alla Musica che, con la sua infinita e multiforme Bellezza, mi ha regalato il piacere dell'ascolto sollecitando in me anche tanta voglia di imparare.

È alla luce di tali considerazioni che mi piace festeggiare ancora una volta Santa Cecilia dedicandole un brano che mi ha catturato, nonostante sia un po' diverso rispetto alle mie consuete scelte musicali.
Si tratta della celebre "Ciaccona di Paradiso et dell'Inferno" dalla raccolta intitolata "Canzonette spirituali e morali" (Milano, 1657), scritta e musicata da un Anonimo del XVII sec.
Il pezzo si dipana in una sorta di contrasto di accattivante teatralità tra il coro e il solista - qui interpretato dal famosissimo controtenore Philippe Jaroussky - accompagnati dall' "Arpeggiata", ensemble vocale e strumentale di musica antica diretto da Cristina Pluhar.
Eccovi il testo:

"O che bel stare è stare in Paradiso
dove si vive sempre in fest'e riso
vedendosi di Dio svelato il viso.
O che bel stare è stare in Paradiso!

Ohimè che orribil star qui nell'Inferno
ove si vive in pianto e foco eterno
senza veder mai Dio in sempiterno.
Ahi ahi che orribil star giù nell'Inferno!

Là non vi regna giel, vento, calore,
che il tempo è temperato a tutte l'hore,
pioggia non v'è, tempesta, nè baleno,
che il Ciel là sempre si vede sereno.

Il fuoco e 'l ghiaccio là, o che stupore,
le brine, le tempeste e il sommo ardore
stanno in un loco, tute l'intemperie
si radunan laggiù, o che miserie!

Havrai insomma là quanto vorrai,
e quanto non vorrai non haverai.
E questo è quanto, o Musa, posso dire,
però fa pausa il canto e fin l'ardire.

Quel ch'aborrisce qua là tutto havrai,
quel te diletta e piace mai havrai
e pieno d'ogni male tu sarai,
dispera tu d'uscirne mai, mai, mai!

O che bel stare è stare in Paradiso
dove si vive sempre in fest'e riso
vedendosi di Dio svelato il viso.
O che bel stare è stare in Paradiso!"

Nella successione di quartine di endecasillabi cantate alternativamente dal solista e da due strumentisti che fungono da coro, si descrive la vita dei beati e dei dannati con espressioni che hanno radici sia nella letteratura che in tanti dipinti medioevali sull'argomento. 
Assolutamente straordinaria la voce di Jaroussky - in voluto contrasto con quelle solo in apparenza disordinate dei due coristi - così come la simpatica ironia con cui viene interpretato il brano. 
Spero che Santa Cecilia - dal Paradiso appunto - approvi questa dedica un po' singolare e sorrida con noi.

Buona visione e buon ascolto!

giovedì 16 novembre 2017

Profumo di glicine

Delicato e intenso, il brano di oggi!
Me lo sto ascoltando da qualche giorno, da quando cioè ho pubblicato il "Rondò espressivo" di Carl Philipp Emanuel Bach, perchè era tra i pezzi correlati che youtube propone sempre a lato della video-clip principale. 
Così, non ho neppure avuto bisogno di mettermi alla ricerca come faccio di solito, almanaccando piacevolmente quale musica postare questa settimana, perchè mi sono trovata il brano già pronto, quasi mi fosse stato offerto su di un piatto d'argento!
Mi è bastato ascoltarlo per decidere subito che non solo l'avrei pubblicato, ma ne avrei anche cercato il testo, poi puntualmente trovato attingendo alla Biblioteca Musicale Petrucci (IMSLP - International Music Score Library Project), inesauribile fonte di spartiti di pubblico dominio. 
Così ora me lo sto suonicchiando e non vi dico la gioia.

Sì, è proprio quello di cui vedete le prime battute nel riquadro, colorato da me in quell'azzurro che tende un po' al glicine, perchè mi pare accordarsi dolcemente con l'atmosfera in cui le note ci conducono. 
E se ai colori si può assegnare un significato simbolico, mi piace pensare che questo esprima la delicatezza che ritrovo nel brano e, per una magica sinestesia, mi riporti anche il profumo del fiore.

Non è Bach questa volta, nè alcuno dei suoi familiari, ma il suo famosissimo contemporaneo Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759) con l' "Allemanda" dalla "Suite n.3 in re minore HWV 428".
Confesso che il pezzo mi ha preso perchè il suo incipit - giusto una battuta e mezza - ricorda molto da vicino quello dell'Allemanda della celebre "Partita n.2 in do minore BWV 826" composta da Bach qualche anno più tardi. Cambia solo la tonalità, ma l'andamento melodico delle prime otto note è identico. 
Poi le due composizioni prendono strade diverse, anche se entrambe segnate dal ritmo lento e dolce, tipico della danza.

Nato per clavicembalo, il pezzo di Haendel viene qui eseguito al pianoforte.
La domanda nasce spontanea per questo come per brani analoghi che ho già pubblicato, a cominciare da quello della settimana scorsa: è un'operazione corretta interpretare la musica barocca con strumenti che, all'epoca, non esistevano? È giusto suonare un pezzo scritto nel Settecento conferendogli connotazioni e sonorità quasi romantiche? 
So già quale sarebbe la risposta dei puristi che, certo, ha una sua ragion d'essere nell'obiettivo del recupero filologico di una partitura. 
Tuttavia, ho sempre trovato che la morbidezza e la duttilità del suono del pianoforte sappiano risvegliare anche le sfaccettature più segrete di un testo e, alla fine, ciò costituisca un valore aggiunto al suo splendore.
In ogni caso, anche al di là dello strumento usato e della struttura comunque rigorosa di questa "Allemanda", in essa si possono notare un'espressività e un colore che probabilmente derivano ad Haendel dal significativo contatto con lo stile di altri autori, conosciuti in particolare nell'arco dei suoi viaggi in Italia.

Lasciamoci quindi accarezzare da queste note che ci toccano con delicatezza, anche perchè la ripresa di ciascuna delle due parti del brano è giocata qui su di un'ottava più alta - almeno per la mano destra - cosa che conferisce alla melodia un tono intimo.
E se poi questo Haendel vi intriga, potete andare a risentirvi la "Suite n.1 in La maggiore HWV 426" che avevo postato tempo fa proprio qui, più varia e vivace nell'eterogeneità delle sue parti, ma ugualmente ricca di fascino.

Buon ascolto!

mercoledì 8 novembre 2017

Figli d'arte

T. E. Rosenthal: "J.S.Bach all'interno della sua famiglia"
Dopo il brano della volta scorsa tratto dal quel monumento bachiano che è "Il Clavicembalo ben temperato", oggi restiamo in famiglia. 
Quello che vi propongo è infatti un pezzo scritto da Carl Philipp Emanuel Bach (1714 - 1788), secondogenito del grande Johann Sebastian.

Sappiamo tutti che Bach ha avuto ben 20 figli - 7 dalla prima moglie Maria Barbara e 13 dalla seconda Anna Magdalena - parecchi dei quali morti al momento della nascita o ancora in tenera età come purtroppo accadeva un tempo. Alcuni tra coloro che sono sopravvissuti hanno proseguito sulla strada paterna dedicandosi alla musica: in particolare Johann Christian, Johann Christoph Friedrich, Wilhelm Friedemann, Johann Gottfried Bernhard e Carl Philipp Emanuel che - a questo proposito - è forse il più famoso.
Del resto, in un contesto culturale come quello della società tedesca del Settecento dove grande attenzione era dedicata all'educazione musicale a cominciare dalla famiglia, era naturale che i figli seguissero le orme dei padri. Erano destinati così a diventare organisti, clavicembalisti, compositori, insegnanti, o anche costruttori di strumenti proprio come se la musica fosse una sorta di artigianato da tramandare di generazione in generazione.

Ma nella vita privata che tipo di persona e soprattutto che genitore era Johann Sebastian Bach?
Le varie biografie ci parlano di un uomo laboriosissimo e concreto, padre attento e affettuoso, ma anche severo ed esigente. Non stento a crederlo e - chissà perchè! - me lo immagino come una sorta di Immanuel Kant della musica, metodico e puntuale tanto che i contemporanei, al suo passaggio, avrebbero potuto regolare gli orologi. 
Mi piace pensare tuttavia che con i figli, oltre al rigoroso insegnamento delle nozioni di armonia musicale, abbia condiviso anche il fuoco della propria passione, quella che - a vent'anni - lo aveva portato a percorrere a piedi 400 chilometri (!) da Arnstadt fino a Lubecca, per ascoltare Buxtehude e cogliere i segreti della sua eccellenza organistica.

Ma torniamo a Carl Philipp Emanuel che, dopo essere stato allievo del padre, divenne nel tempo clavicembalista, organista e compositore apprezzato dai contemporanei primo fra i quali Mozart.
Fra le sue molteplici creazioni - concerti, sonate, sinfonie e un numero considerevole di cantate sacre - ho scelto il "Rondò espressivo" dalla "Sonata in si minore H 245" perchè ci regala tratti di sorprendente modernità che lo collocano già oltre il periodo barocco.  
Ciò è sottolineato anche dalla particolare interpretazione al pianoforte che fa risplendere il riverbero di ogni singola nota, e non mi meraviglierei se la suggestione di questo brano fosse rimasta nel cuore a tanti musicisti cronologicamente più vicini a noi. 
Al di là del rigore dell'impianto armonico di stampo paterno, infatti, il compositore ci offre qui spunti melodici che anticipano da un lato l'equilibrio del Classicismo e dall'altro i colori e le emozioni del Romanticismo musicale.
Ne deriva una melodia incantevole ed essenziale, segnata all'inizio dalla pacatezza del tono minore e verso la fine gradatamente più accesa, ma sempre dolce e misuratissima: affascinanti note di un mirabile figlio d'arte.

Buon ascolto!