martedì 31 ottobre 2017

Leggere tra le righe

Jean Raoux (1677-1734): "Giovane donna che legge una lettera"


Brevissimo - solo un minuto e trentotto - il brano di oggi che chissà quanti di voi certo riconosceranno subito, magari per averlo anche suonato nei loro approcci alla musica di Bach.

Si tratta infatti del "Preludio in re minore n.6 BWV 851" dal I Libro del "Clavicembalo ben temperato", uno degli esercizi più tipici tratti da un'opera grandiosa, scritta dal compositore tedesco a scopo didattico.

Ne ho scelto, tra le tante, un'esecuzione veloce ma non velocissima. 
Essa ci dà modo infatti di apprezzare non solo il tema esposto dalla mano destra, ma anche il canto affidato alla sinistra che affiora e traspare qua e là come se - più che sul rigo musicale - lo si potesse leggere tra le righe, a somiglianza di ciò che accade nel linguaggio della parola scritta.

Leggere tra le righe - lo sappiamo bene - è scandagliare un testo indagando non tanto ciò che esso comunica in modo esplicito ed immediato, ma ciò che l'autore vi rivela talora senza neppure esserne consapevole. 
È andare al di là del puro significato letterale per scoprire dimensioni nascoste che possono trasparire dall'uso di alcuni termini o dalla loro frequenza e costituire la spia di uno stato d'animo o di una situazione. 
Oppure sta nel cogliere osservazioni magari fatte en passant, secondarie rispetto al messaggio principale e tuttavia rivelatrici di sfaccettature inedite della persona o del discorso. Piccoli dettagli tuttavia non trascurabili, che talora raccontano un'altra storia o semplicemente mostrano risvolti che, a tutta prima, possono sfuggire.
Leggere tra le righe è scoprire un non detto che affiora, a volte a insinuare un dubbio, come quando a voce si fa un'affermazione che i gesti in qualche modo contraddicono.
Ma altre volte il non detto può essere amore che palpita tra le parole e gioca timido a nascondino, simile a un raggio di sole che occhieggia tra gli alberi.

Piani e livelli di lettura diversi che vanno a fondersi, così come accade anche nella musica. 
Proprio a questo proposito, citare Bach è parlare di un mago nel creare architetture sovrapposte, nate certo da rigorosi calcoli matematici e da una straordinaria padronanza dell'armonia, ma anche dalla luminosissima creatività di un genio.
Senza arrivare al famoso "Canone inverso" dell' "Offerta musicale" dove - più che indurci a leggere tra le righe - il compositore ci presenta addirittura tre temi in uno (il primo che va da sinistra a destra, il secondo da destra a sinistra e infine entrambi sovrapposti), mi basta il Preludio di oggi.

Qui, dopo le prime due note introduttive in re minore, è possibile cogliere la melodia della mano sinistra. Essa non è sempre immediatamente evidente - e ciò dipende anche dalle varie esecuzioni - ma fa parte di quell'insieme di caratteri che tante composizioni musicali, e in particolare quelle bachiane, ci rivelano poco per volta, dopo ripetuti ascolti, aprendoci universi d'inesauribile splendore.
Scopriamo così che, sia pure con note scandite in un'alternanza di staccato e legato, essa ci restituisce un ritmo più tranquillo che smorza l'andamento acceso e un po' affannoso delle terzine della destra. 
Certo, la mano sinistra costituisce parte dell'impianto armonico di ogni brano, ma in Bach, pur dando sostegno al tema principale, ha spesso uno sviluppo autonomo del quale possiamo percepire il canto. Un canto sommesso in questo caso, quasi un sotterraneo rivolo d'acqua che appare e scompare, regalando al pezzo spessore e morbidezza, come uno spazio più pacato e pensoso che si apre sotto il movimento delle terzine.

E la pianista Kimiko Ishizaka, nella sua calibratissima interpretazione, ci consente di percepirne insieme ritmo e dolcezza, rigore e trasparenza, vivacità e malinconia fino al luminoso accordo finale, questa volta in re maggiore.

Buon ascolto!

 

martedì 24 ottobre 2017

Vertigini di bellezza


Non saprei dire bene - questa volta - se sia stata la musica a condurmi all'immagine o viceversa.
Certo, il fascino di un artista come Caspar David Friedrich (1774 - 1840), con la suggestione delle sue prospettive d'infinito su orizzonti brumosi e incerti, ha avuto il suo peso, e del resto ne avevo pubblicato un quadro solo qualche settimana fa.

Immagine richiama immagine ed è così che - sempre tra le opere del pittore tedesco - sono arrivata a quella di oggi, non meno famosa della precedente.

Si tratta del dipinto intitolato "Le bianche scogliere di Rugen", conservato presso il Museum Oskar Reinhart di Winterthur. 
La composizione mi attrae non solo per il fatto che su quelle scogliere mi sono affacciata proprio lo scorso anno, ma anche perchè quell' apertura al centro della rappresentazione che si spalanca sul mare, mi suggerisce una dimensione in cui ritrovare respiro e pienezza. 
In essa, infatti, la natura è protagonista rispetto alle figure umane che, non a caso, Friedrich - a somiglianza di altre sue creazioni - raffigura di spalle e che qui vediamo in tre posizioni diverse, ma sempre tese a scorgere qualcosa verso un vuoto che dà vertigine.

E non è nuovo l'artista neppure a certe prospettive sconfinate. 
Ricordiamo opere come "Il mare di ghiaccio" che, se volete, potete ritrovare qui, e poi - per citarne solo alcune tra le più celebri - "Viandante sul mare di nebbia" e "Monaco in riva al mare".  
Anche in tali rappresentazioni infatti, protagonisti sono spazi aperti di ampio respiro: il cielo, il mare, la nebbia, l'orizzonte, a volte più netti, altre più sfumati e indefiniti o colti talora in livide atmosfere di angosciante solitudine.

Più sereno invece questo dipinto, certo per le tinte chiare e il bianco di quelle splendide scogliere di gesso dai bordi aguzzi. 
Ma il segreto è anche nella pennellata talora più nitida e minuziosa - in certi angoli quasi una sorta di Divisionismo ante litteram - e altrove resa invece più indefinita da un impasto di colori che va a fondere, e confondere, il mare col cielo.

Al di là dei molteplici significati allegorici che sono stati attribuiti all'opera, ciò che mi colpisce - come scrivevo sopra - è la vasta apertura che campeggia al centro, un'immensità che attira in una vertigine di bellezza. Ed è quella piccola vela bianca più lontana, proprio in alto mare, a darci la misura del rapporto tra finito e infinito, portandoci via con sè in un arioso splendore, ma al tempo stesso nello sgomento di uno spazio sconfinato.

Suggestioni di un artista romantico come Friedrich cui mi piace associare un brano di Camille Saint-Saens (1835 - 1921), nonostante la cronologia ci conduca decisamente più avanti rispetto al pittore tedesco.
Quella che ho scelto è una composizione intitolata "La Muse et le Poète op.132", scritta inizialmente come trio per pianoforte, violino e violoncello, ma poi modificata dal musicista stesso che ha orchestrato la parte del pianoforte. 
Dopo una delicatissima introduzione, il violino esordisce con una melodia struggente, ora aperta alla gioia, ora soffusa di una malinconia sottolineata anche dalla profondità del violoncello. Una melodia che va poi facendosi più accesa ad inanellare un dialogo tra i due strumenti solisti e l'orchestra, quasi un idillio d'amore tra l'artista e la sua musa ispiratrice, prima lieve e poi sempre più intenso e ricco di passione.
E per quanto questo brano sia stato composto quasi un secolo dopo il dipinto di Friedrich, mi pare che le due opere si possano accostare sia per le suggestioni che le accomunano, sia per alcuni aspetti che in qualche modo s'incrociano. Se infatti da un lato Saint-Saens sembra guardare indietro regalandoci tratti ancora squisitamente romantici, dall'altro il pittore tedesco ci apre prospettive d'infinito che possono anticipare le inquietudini del primo Novecento.

Buon ascolto!
(La clip-audio riporta solo la prima parte della composizione. Qui potete trovare l'esecuzione integrale https://www.youtube.com/watch?v=pHLLskTqAqg )

martedì 17 ottobre 2017

Suonerie

L' argomento di oggi rischia di essere banale - lo so - ma come sempre sarà la musica a portarci oltre. 
Siete anche voi tra coloro che si sentono infastiditi dalle varie suonerie dei cellulari che talora squillano nei momenti e nei luoghi meno opportuni? 
Al cinema, a teatro, in chiesa, in una stanza di ospedale, durante una lezione o - peggio che mai - nel bel mezzo di un concerto???
E fossero almeno suonerie piacevoli!...
La cosa resterebbe comunque ingiustificabile, ma almeno l'orecchio - come si suol dire - avrebbe la sua parte.
Spesso invece si tratta di suoni sgarbati e se a volte - rare per la verità - ricalcano qualche brano di musica classica, lo fanno in modo stereotipato, restituendoci una melodia falsa e banalizzata. Insomma, da musica a musichetta...non so se mi spiego!

Certo, se vogliamo, la scelta non è molto ampia tra le proposte dei vari cellulari: io stessa, per salvarmi da rumori e versi inconsulti, ho optato per il minuetto, una suoneria dal sapore vagamente mozartiano che - nonostante annose e affannose ricerche sul web - non sono ancora riuscita a identificare con precisione. 
Ma ci sono anche quelle scaricabili! - mi direte. Lo so, ma una cosa per volta per favore, sono un po' lenta con la tecnologia.
In compenso, a mio marito che ha comprato uno smartphone mooolto più aggiornato del mio, ho imposto il vivacissimo terzo tempo del Secondo Concerto Brandeburghese - parliamo di Bach naturalmente - che era già tra le suonerie in dotazione. Così, ogni volta che lo chiamano, saltiamo per aria in qualunque angolo della casa ci troviamo. 
Però va bene cosi e del resto non c'è paragone. Ma volete mettere???...
Un conto è saltar per aria al richiamo di una cosa qualsiasi, altro è farlo a suon di tromba, oboe e flauto a becco come nell'esordio del pezzo bachiano!

Tuttavia, a proposito di cose qualsiasi...non è detto che lo siano proprio in tutti i casi. Recentemente, ho scoperto un particolare che molti di voi conosceranno già: è musica classica anche uno dei tormentoni più diffusi in fatto di suonerie.
Lo riconoscerete subito, inequivocabilmente, ascoltando il brano di Francisco Tarrega (1852 - 1909) che vi propongo oggi. Si tratta del "Gran Vals" per chitarra dove lo sentirete a soli dodici secondi dall'inizio.
E per gli addetti ai lavori, voilà, riporto anche le battute dello spartito!
 
\relative c''' {
        \key a \major
        \time 3/4
        e16 d fis,8 gis
        cis16 b d,8 e
        b'16 a cis,8 e
        a4. \bar "|."
}
 
Trovato?...Vi piace?...
Devo confessare che a me non dice molto neppure nella melodiosa morbidezza del pezzo in cui è nato, forse perchè sono ormai condizionata dalla quantità di volte in cui l'ho sentito da tanti e tanti cellulari. 
E perchè mai allora lo sto pubblicando???...
Perchè ora andremo oltre ed è esattamente qui che vi voglio portare.

Proprio in segno di protesta contro la malsana abitudine di lasciare il cellulare acceso nei momenti meno opportuni, qualcuno si è ribellato.
E' accaduto in varie occasioni che, di fronte all'improvviso esordire di una suoneria nel bel mezzo di un concerto di musica classica, il solista - invece di ignorare la cosa o, al contrario, di chiudere lì l'esibizione - si sia appropriato di quei suoni interpretandoli col proprio strumento e facendone una prova d'improvvisazione e di bravura. Una risposta sorprendente, ricca di fantasia ed eleganza, che "prende in contropiede" il colpevole in modo spiritoso e incisivo ad un tempo. 
A reagire così sono stati solisti di violino, di pianoforte, ma talora anche intere orchestre e ciò ha poi dato luogo a svariate e divertenti rielaborazioni della suoneria in questione.
Tra le altre, la più significativa mi sembra quella del pianista austriaco Christoph Berner, classe 1971, che proprio sulle sue note ha scritto una Fuga. Si tratta di un brano rigoroso, articolato e complesso, prima un po' bachiano e poi non più, che va veleggiando verso una totale libertà compositiva in cui Berner sbriglia la fantasia e si diverte - almeno così a me pare - coniugando il tema in mille modi e sviluppi diversi. 
Una fuga che mi intriga più ancora dell'originario valzer di Tarrega e che spero, nella sua vivacità, possa piacere anche a voi.

Buon ascolto!

mercoledì 11 ottobre 2017

Un violino per Ambra

(foto di Stefano Davanzo)
Una luminosissima melodia per ricordare l'amica blogger Ambra che da un anno ci ha lasciato, un pensiero pieno di gratitudine e la viva speranza di ritrovare - un giorno - il suo sorriso!

Niccolò Paganini (1782 - 1840) : "Adagio. Cantabile spianato" dal "Concerto per violino e orchestra n.3 in Mi maggiore".

domenica 8 ottobre 2017

Alba in stazione

Mattina presto in stazione.
Sono uscita di casa ch'era ancora buio e ora il primo barlume violetto dell'alba, all'orizzonte, annuncia una giornata nitida e tersa come poche.
Mi avvolgo stretta nella giacca, l'aria del mattino autunnale è già fredda. Nonostante ciò, amo da sempre questi momenti che mi vedono in viaggio e me ne restituiscono tutto il fascino e la bellezza attraverso tante piccole sensazioni. 
Ritrovo infatti la possibilità di covare i pensieri in solitudine o pregustare la gioia di un incontro, ma anche di indugiare guardandomi intorno e osservando ciò che, nella fretta di sempre, talora mi sfugge.

Aspetto il mio treno mentre, pian piano, fa giorno. Da un lato, bassa sull'orizzonte, una striscia di luce dai colori sempre più accesi prelude al sorgere del sole. Dall'altro, in un angolo ancora un po' scuro, la luna "pallida e senza raggio" - avrebbe detto il Manzoni - campeggia tra i fili della linea ferroviaria che le si stagliano intorno quasi ad inquadrarla. E mi pare un miracolo di bellezza che si affaccia sul nostro quotidiano, allargando il respiro e aprendolo a prospettive più ampie.
Il treno è quasi vuoto: fuori dal finestrino il paesaggio si fa sempre più nitido e il profilo scuro delle Prealpi lontane corre via veloce mentre - qua e là, nella mia pianura - stagna ancora una nebbiolina bassa sui campi. 
Ma presto si dirada e il panorama mi restituisce a sprazzi il cielo limpido che va specchiandosi nei canali mentre, all'orizzonte, finalmente sorge il sole.
Osservo il panorama in silenzio e - come spesso mi accade - lascio che la sua suggestione mi raggiunga svegliandomi dentro un sorriso che, a poco a poco, sale fino allo sguardo: sarà uno splendido autunno!

Ed è a questo punto che, come una sorta di colonna sonora, mi si apre in cuore il brano che oggi desidero condividere con voi.
Si tratta del terzo movimento, "Adagio", della "Sinfonia n.2 in mi minore op.27" di Sergej Rachmaninov (1873 - 1943): un pezzo che prende subito, lasciandoci, qua e là, la sensazione di averlo già sentito, quasi affiorasse dall'inconscio più ancora che dai tortuosi sentieri della memoria.

L'intera composizione è stata scritta da Rachmaninov dopo un periodo di inattività e di crisi a seguito delle critiche e delle feroci stroncature riservate dal pubblico alla sua Prima Sinfonia. Una musica che simboleggia quindi una rinascita, un passaggio dal buio alla luce, una vita che torna a scorrere, aprendosi come il respiro di chi si ritrova, finalmente, di fronte a grandi spazi e a nuove, luminose prospettive.
È certo l'ispirazione tardoromantica di Rachmaninov ad esprimersi in questo "Adagio", ricco - soprattutto alla fine - di grandiose aperture orchestrali d'intensa suggestione e immediato impatto emotivo che, talora, possono ricordare il "Concerto per pianoforte n.2 op.18".
Ma ne avvertiamo il fascino anche attraverso il delicatissimo canto del clarinetto che si snoda in un'aria non priva di qualche tratto malinconico, e tuttavia lontana dalla straniante solitudine di altre melodie del compositore russo. Quella che troviamo qui è infatti una malinconia intrisa di pacata, profonda dolcezza, come uno sguardo sulle cose che ci consente di coglierne più compiutamente lo spessore e l'incanto.
Una musica capace di dar voce ai pensieri, ai sogni, ai sentimenti inespressi, a quel silenzio assorto con cui contemplo il paesaggio dal treno e che queste note vanno a colmare d'inusitata pienezza.

Buon ascolto!

(La clip-audio riporta solo la prima parte dell'"Adagio". 
Trovate l'esecuzione integrale nel seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=QNRxHyZDU-Q )