Tra le opere delle artiste che nel corso del tempo hanno raffigurato altre donne, dopo averne pubblicate alcune ricche di gioiosa e ricercata eleganza, oggi ho scelto quelle di Käthe Schmidt Kollwitz (1867 - 1945), pittrice e scultrice tedesca che ci ha lasciato invece lavori decisamente crudi e drammatici, ma di schiacciante attualità.
In un arco di vita che comprende i due conflitti mondiali, la Kollwitz si è soffermata sul tema delle tragedie causate dalla guerra, focalizzando la sua attenzione sul lutto delle madri per la morte dei figli o sulla loro sofferenza. La maggior parte delle sue opere - sia che si tratti di litografie, xilografie o sculture - rappresenta infatti immagini angosciose di sopravvissuti logorati dalla fame e dall'orrore, insieme a madri strette in un abbraccio a difesa dei propri flgli o chiuse in un muto dolore di fronte alla loro morte.
C
'è molto di autobiografico in tali opere dato che la stessa Kollowitz aveva perso un figlio durante la prima guerra mondiale e del resto l'artista è sempre stata sensibile alle tante sofferenze del suo tempo.
Lo testimonia la celebre "Pietà" che vedete qui a lato, scultura in bronzo realizzata alla vigilia del secondo conflitto mondiale e conservata al Museo Kollwitz a Colonia, mentre una copia si trova alla Neue Wache di Berlino, monumento che commemora le vittime di guerra. Nel gruppo scultoreo, il legame viscerale col figlio morto è evidente nella posizione del suo corpo che sembra quasi rientrare nel grembo della madre tornando a far tutt'uno con lei.
Tuttavia, al di là del riferimento cronologico al lutto dell'autrice, il grido che riecheggia intensissimo dalle sue opere nella volontà di dar voce alla sofferenza, valica il tempo e riconduce alle tragedie che purtroppo si consumano ancora oggi in diverse parti del mondo.
Solido e tenace l'abbraccio che vedete a lato nella xilografia intitolata "Le madri" conservata alla Tate Modern Art Gallery di Londra. Qui, tante madri fanno dei propri corpi una cosa sola, un blocco solidale a proteggere i loro piccoli. E come in altre opere, il contrasto tra bianco e nero dovuto alla tecnica usata si rivela efficacissimo per rendere l'immagine più incisiva in un espressionismo che cogliamo soprattutto nella raffigurazione di occhi e mani.
Gli stessi caratteri, ma più sfumati e addolciti dall'uso di una tecnica diversa vediamo nella foto grande in alto, disegno preparatorio di una litografia che doveva far parte della serie di sei tavole sulla guerra. Nella madre in primo piano che avvolge col suo abbraccio due bimbi, la Kollwitz ha rappresentato se stessa e i suoi figli in un'espressione di indicibile amore. Anche le altre figure femminili hanno un atteggiamento protettivo e ancora una volta, oltre ai volti, ci parlano le mani, grandi e talora sproporzionate mentre difendono i bimbi o, con gesto eloquente, coprono la faccia davanti all'orrore.
Orrore che leggiamo anche nella xilografia qui a lato intitolata "I sopravvissuti".
Sembra l'immagine di un lager anche se la Kollwitz - invisa per le sue idee socialiste al regime hitleriano che le aveva tolto l'incarico di docente e le aveva impedito di esporre le sue opere - era riuscita a sfuggire alla deportazione. Sono visi scarni, figure di adulti senza più sguardo, bambini sui cui volti si legge la fame, e sempre in primo piano le mani di una madre serrate in un abbraccio protettivo.
E ad esprimere proprio la fame, efficacissima l'opera qui a lato intitolata "Brot!" (pane!), carboncino su carta conservato presso la Collezione Dorothy Braude Edinburg. Nella donna vista di schiena e curva su se stessa intuiamo il grido della disperazione, e così pure nel volto dei due piccoli dove pochi tratti appena accennati testimoniano il senso della tragedia e al tempo stesso la straordinaria potenza espressiva dell'artista nel rappresentarla.
Uno sguardo forte e deciso il suo, perseverante e coraggioso, nel costante inabissarsi nei meandri del dolore umano.
Uno sguardo che investe la sua arte, come lei stessa ebbe a dire più volte: "Io devo esprimere il dolore degli uomini, un dolore che non ha mai fine
e che ora è enorme. Questo è il mio compito, anche se non è facile assolverlo". E poi: "Non ho difficoltà ad ammettere che la mia arte ha uno scopo. Io voglio agire nella mia epoca, nella quale l'umanità è tanto priva di senno e bisognosa di aiuto". E ancora: "Il pacifismo non è un tranquillo stare a guardare, ma lavoro, duro lavoro".
Uno sguardo che desidero commentare con una musica che amo da tempo per il suo splendore e insieme per la toccante interpretazione del compianto Maestro Ezio Bosso. Si tratta della celebre "Melodia", parte centrale della "Danza degli spiriti beati" dall'opera "Orfeo e Euridice" di Christoph Willibald Gluck (1714 - 1787).
Al di là del riferimento del brano orchestrale alla composizione in cui è inserito, mi hanno sempre colpito le tante trascrizioni per vari strumenti - e in particolare questa per pianoforte solo - che ne fanno un pezzo indipendente dal contesto originario. È proprio il caso dell'interpretazione di Bosso che lo include in una delle stanze del suo percorso esistenziale illustrato in note nell'album "The 12th Room" del 2015.
Qui, insieme ad alcuni suoi inediti, rielabora pezzi di Bach, Chopin, Cage e, appunto, la "Melodia" di Gluck. È un'aria delicatissima ma lontana da ogni tentazione romantica o sentimentale. Bosso ne fa emergere infatti una dolcezza spoglia, rigorosa, essenziale, simile a quella dimensione in cui dolore e amore vivono intrecciati. Drammaticità, tenerezza struggente, insieme alla malinconia del re minore coesistono in queste note dal ritmo lento la cui intensità Bosso calibra con l'anima prima ancora che con le dita.
E mi fanno pensare all'amore tenace e disperato delle madri raffigurate dalla Kollwitz, spiriti beati nel vero senso della parola per il loro cuore indomabile.
Buon ascolto!
(Le foto sono prese dal web)

8 commenti:
Che sorpresa, Käthe Kollwitz! Uno dei miei "mostri sacri" da quando, ormai parecchi anni fa, conobbi le sue opere e la sua storia, a Berlino, prima alla Neue Wache e poi al museo a lei dedicato.
Non saprei davvero cosa aggiungere, cara Annamaria, a quanto da te così bene esposto ed analizzato.
Una personalità sia artistica che umana, quella di Kollwitz, che credo si possa definire davvero ineguagliata.
Inevitabilmente a proposito delle opere hai accennato più volte agli occhi, agli sguardi, e subito mi è affiorata l'immagine de "I bambini della Germania hanno fame", quattro bimbi che nell'immediatezza senza filtri e compromessi dell'infanzia sollevano le loro ciotole vuote reclamanti cibo con degli occhi spalancati e vivissimi che urlano... impossibili da dimenticare.
Per la musica, in prima battuta avrei pensato a qualcosa di duro, spigoloso e doloroso... Ma invece come un balsamo, un balsamo intriso anche di dolore, quel dolore che è universale nello spazio e nel tempo, ci sta a meraviglia il pezzo che hai scelto. Anche questo uno dei miei preferiti, e ti do pienamente ragione su quanto sia bella, in quanto appropriata e profonda nella sua asciutezza, l'interpretazione di Bosso.
Un grandissimo grazie, un abbraccio!
E buon lunedì.
Ci sarebbero state tante altre opere da citare, cara Siu, compresa quella cui fai riferimento, terribile nella sua tragicità, ma ho dovuto fare delle scelte. Ho visto anch'io anni fa la famosa "Pietà" alla Neue Wache, ma non il museo. Una personalità straordinaria quella della Kollowitz, sia sul piano artistico che umano e le tragedie che rappresenta non possono non ricondurre a tanta attualità...
Quanto alla musica, ti ringrazio di aver apprezzato la mia scelta: quel brano di Gluck interpretato da Ezio Bosso esprime un intreccio di dolore e dolcezza, e se da un lato fa emergere dalle note tratti di drammaticità, dall'altro ci regala un "balsamo" - come hai giustamente scritto - che si accorda all'amore profondo delle madri rappresentate e alle intenzioni dell'artista.
Grazie infinite della tua sintonia e un abbraccio di buona giornata!
Alla metà del '700 il contrappunto inizia a essere visto come qualcosa di demodé. Anni fa ascoltai alla radio questo aneddoto: il vecchio Handel ha occasione di ascoltare un'Opera del giovane Gluck ed esclama "questo qui di contrappunto ne sa meno del mio cuoco". Va detto però che - a parte le Ouvertures - anche nel teatro musicale dell'epoca di Handel di contrappunto non ce n'era molto, e Gluck si è dedicato sopratutto al teatro. Pare che anche i figli di Bach facessero osservare al padre che i tempi stavano cambiando, il contrappunto non era più così importante, salvo che nella musica sacra. Haydn e Mozart, tuttavia, il contrappunto non lo hanno mai dimenticato, concludendo alcuni Quartetti d'archi con delle fughe. L'ultima Sinfonia di Mozart, la K.551, ha uno stupendo Finale contrappuntistico. Pensiamo, infine, al "Minuetto a rovescio" della Sinfonia n.47 di Haydn, dove la 2^ sezione è la retrogradazione della 1^, nota per nota.
Sì, la Jupiter ha un finale stupendo. Grazie dell'aneddoto di Haendel su Gluck e delle altre informazioni sul contrappunto. Andrò a risentire invece il Minuetto a rovescio di Haydn che in questo momento mi sfugge. Buona giornata, Arrigo!
Cara Annamaria, sull'argomento donne pittrici mi farebbe piacere comunicarti alcuni riferimenti che, oltre ad avere per me una forte valenza personale, penso potrebbero interessarti.
Perciò, preferendo non occupare ulteriore spazio qui, mi chiedevo se forse puoi mandarmi un tuo indirizzo mail (visto che il mio ce l'hai).
Ti ringrazio per l'attenzione e ti auguro un buon week-end.
Ti ringrazio Annamaria, ho preso nota, toglilo pure. Scusami ma pensavo che il mio ti risultasse dall'invio dei commenti, purtroppo non sono esperta di blog.
Ti scriverò con calma,
ciao, buona serata.
Tutto ok. Grazie a te!
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