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È opera del viterbese Giovanni Francesco Romanelli (1610 - 1662) il dipinto che vedete - conservato a Roma presso i Musei Capitolini - e che rappresenta "Santa Cecilia".
Le date ci dicono che siamo in piena epoca barocca ma, se anche non lo sapessimo, ce lo suggerirebbero vari elementi: dalla raffinatezza ariosa del panneggio e del copricapo agli alberi e al cielo dello sfondo; dalla morbidezza dell'incarnato - osservate la grazia della mano sinistra! - fino all'elegante inquadratura che riprende la Santa in una torsione ormai lontana dagli schemi della ritrattistica del passato.
In effetti l'autore, formatosi alla scuola di vari rappresentanti dello stile barocco tra cui Domenichino e Pietro da Cortona, si colloca tra gli esponenti più in vista della pittura dell'epoca sia a Roma che in Francia. La sua fama gli aveva meritato inoltre il soprannome di "Raffaellino" probabilmente per la dolcezza del suo tratto che potrebbe ricordare lo stile del famoso urbinate.
E in che modo Romanelli raffigura qui la Santa protettrice della musica e dei musicisti? La dipinge accanto a un violino, seguendo una tradizione che attraversa il tempo e che la vede accanto a uno strumento, molto spesso un organo, talora un violoncello oppure un liuto.
Tuttavia, quello che mi colpisce nell'immagine è lo sguardo di Cecilia rivolto altrove. Ha in mano un rotolo che probabilmente è uno spartito, tocca il violino quasi avesse appena finito di suonare e dovesse riporlo, ma il suo sguardo è assorto, fisso in un punto indefinito forse a ripercorrere nel cuore la musica suonata e le emozioni che essa vi ha suscitato.
O forse da quel punto indefinito la Santa sta guardando in se stessa attingendo alla misteriosa fonte dell'ispirazione. La sua è infatti l'espressione di chi medita, ma nei suoi occhi possiamo scorgere anche un lampo di meraviglia, un lieve sorriso venato di commozione, una luce di stupore come di fronte a una realtà superiore da cui è presa e rapita. È proprio quella realtà l'oggetto cui volgersi, la sorgente primaria alla quale attingere mentre il violino e lo spartito sono i mezzi attraverso i quali la luce della musica prenderà poi forma.
Con quale melodia allora renderle omaggio nel giorno della sua festa? Con un brano di un autore nuovo per questo blog. Si tratta di John Eccles (1668 - 1735), compositore inglese famoso per aver scritto molte musiche di scena oltre a un' "Ode per il giorno di Santa Cecilia"...che tuttavia - la Santa mi perdonerà! - non pubblico. Non perchè non sia bella, ma perchè mi affascina maggiormente il pezzo che invece ho scelto.
Si tratta di un' Aria - quinto movimento dalla Suite "The Mad Lover", l'amante pazzo - in cui Eccles ha musicato la tragicommedia di John Fletcher, centrata sull'uso dei suoni e delle immagini nel curare certe forme di follia o di depressione. Lunga è a questo proposito la tradizione che vede la musica come una vera e propria cura della psiche: dal giovane Davide che nella narrazione biblica suonava l'arpa per placare lo spirito cattivo di Re Saul, al mito di Orfeo, fino alle acquisizioni più moderne della musicoterapia. Ma potremmo anche ricordare le Variazioni Goldberg che - se è vero ciò che i testi affermano - Bach avrebbe scritto per distrarre il conte Von Keyserling dall' insonnia. Del resto, di tale potere dei suoni tutti avremo fatto esperienza almeno una volta nel corso della nostra vita, per questo un brano simile mi sembra l'omaggio più centrato che si possa fare alla Santa.
Della quinta Aria della Suite vi riporto dunque due versioni: quella originale e una molto più recente per pianoforte solo che - vi confesso - è la mia preferita. Si tratta di una trascrizione semplice sul piano tecnico, ma tutta affidata alla capacità interpretativa di chi la esegue. Ne emerge un ritmo che dalla calma iniziale va crescendo di intensità fino ad animarsi in un vortice sempre più veloce mentre la melodia si ripete in varie sfumature diverse.
Ed è forse il ruolo di tale ripetizione quello che talora agisce su di noi con una sorta di funzione terapeutica, perchè ci consente di entrare più vivamente all'interno della musica e diventare una sola cosa con i suoni facendo nostra la loro vibrazione.
Buon ascolto!
(La foto è presa dal web)
2 commenti:
Non conoscevo nulla, cara Annamaria: né il quadro, né il pittore, né la musica e il suo autore. Ma grazie alla tua capacità di aprire dei mondi visivi (e sonori) mi sono immersa in un quadro che a prima vista non avrei probabilmente degnato che di uno sguardo fuggevole e poco interessato. Invece quanto diventa significativo seguendo la tua guida e soffermandosi gradualmente sui vari elementi, uno più interessante e piacevole ad osservarsi dell'altro... dall'incarnato di Cecilia al suo vestiario, dalla sua posizione/inquadratura agli oggetti riprodotti, fino all'ambiente naturale che fa da sfondo.
Per arrivare infine ad una sorta di metafisica, quando rilevi e provi ad analizzare i sentimenti che verosimilmente muovono l'interiorità della protagonista di questa tela... tela che è come se da quasi indifferente grazie al tuo commento fosse diventata, ai miei occhi, viva e pulsante.
Per non parlare della musica: una di quelle per staccarsi dalle quali occorre un atto quasi di forza... (e nel mio gradimento le due versioni pari sono ;-))
Poi dopo un po', a proposito di musica e santa Cecilia, mi è tornato in mente un ricordo bellissimo e struggente che risale agli anni ormai lontani in cui ho vissuto ad Aosta.
Dove durante la notte di santa Cecilia la banda cittadina compie un lungo percorso, fermandosi a suonare in vari punti della città, fino credo alla periferia. Ed io per qualche anno ho abitato proprio in uno dei punti in cui si fermavano a suonare: tutt'altro che infastidita, anzi felice di quella sveglia in piena oscurità, mi affacciavo alla finestra per godermi la dolcezza di quella musica. Si trattava ogni anno dello stesso brano, che ho sempre trovato incantevole e toccante, anche se purtroppo non ho mai saputo di cosa esattamente si trattasse. Comunque ho sempre rimpianto di non sentirlo più.
Ciao, un abbraccio!
Molto bello il tuo ricordo aostano. Non so nulla della consuetudine di cui parli e del resto è raro che andiamo in montagna in novembre. Ma mi sarei alzata anch'io in piena notte ad ascoltare la musica della banda.
Quanto al dipinto di Romanelli non lo conoscevo neppure io e mi sono limitata ad osservarlo lasciandolo parlare...Capita spesso che opere che a una prima occhiata sembrano non dire niente poi si rivelino interessanti.
A proposito del brano di Eccles, concordo con te quando dici che per staccarsi dalla musica occorre un atto di forza: proprio vero! E' quella ripetizione sempre più accesa che ci prende coinvolgendoci nel suo ritmo e, a mio modesto avviso, anche questo coinvolgimento svolge una funzione terapeutica.
Grazie mille Siu e un abbraccio di buona serata!
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