
Ci vediamo più o meno due volte all'anno e di solito - a turno - giochiamo per così dire in casa: lei a Venezia, io a Milano. Il mese scorso invece abbiamo deciso di trovarci a Padova, su terreno neutro o quasi.
In realtà era la volta di Venezia, ma ho scelto io la città per aggiungere tempo - giusto una mezz'ora - al nostro fugace incontro tra un treno e l'altro.
Bene: Padova, dicevo, e viene subito in mente il fascino di Giotto agli Scrovegni o di Mantegna agli Eremitani. E naturalmente la basilica di Sant' Antonio, l'Orto botanico, il Prato della Valle fino alla spazialità ariosa di Santa Giustina.
Ma questa volta, al di là di tutto, è il nostro quieto dialogare che mi rimane dentro: un tranquillo procedere sotto i portici delle vie del centro o attraverso Piazza delle Erbe mentre, dall'alto, arcate e arcatelle del Palazzo della Ragione ci guardano.
Qualche pausa per visitare una chiesa, per incantarci ad ascoltare un quartetto d'archi che - all'angolo di una strada - ci delizia con ottima musica, o per scattare foto alle case che si riflettono nel Bacchiglione.

E' più che altro il senso di attesa che anima la mia giovane amica a colpirmi: l'università, la scelta della tesi, i progetti e le molteplici prospettive per il futuro, i dubbi insieme ai sogni e al desiderio di costruire.
Così pure, avverto viva in lei la percezione di quanto il passare del tempo - anche alla sua giovane età - restituisca alle esperienze umane e culturali un sapore più ricco e più pieno.
La sua fiducia è come una una perla preziosa che, mentre camminiamo discorrendo, passa progressivamente dalle sue mani alle mie, rasserenando la mia giornata e aprendo anche me a prospettive più luminose.
Me ne deriverà una sensazione di leggerezza e una grande distensione d'animo, tanto che riuscirò pure ad addormentarmi placidamente sul treno di ritorno a casa.
Così, per ricordare lo splendore di questa giornata, ho pensato a un brano di Ludwig van Beethoven che mi pare esprima proprio la serenità dell'attesa: il primo movimento, "Adagio molto - Allegro con brio", dalla "Sinfonia n.1 in Do maggiore op.21".
La prima sinfonia di Beethoven???
Sì, proprio quella, non celebrata al pari della Quinta o della Nona, della Terza o della Sesta, ma un'opera che ha tutto il fascino degli inizi non solo del progetto sinfonico dell'autore, ma un po' di tutta la sua produzione come testimonia il fatto che sia catalogata al numero 21.
Una creazione nella quale sono ancora presenti riferimenti al passato come l'adozione della struttura della forma-sonata, ma anche elementi che testimoniano già l'originalità stilistica del compositore.
Sono temi ricchi di fremiti quelli che si avvicendano in questo primo movimento, e ci regalano le emozioni di chi si avvia verso un percorso nuovo: dubbi e speranze, desideri ed entusiasmi, leggerezza di cuore e insieme perseveranza nel dare forma a un sogno.
Una musica che attende insomma, e la dedico in particolare alla giovanissima amica che - nonostante i tempi - non si sente deprivata del futuro, ma se lo sta costruendo, giorno per giorno.
Buon ascolto!