Non fosse così, non avremmo una ricchezza alle nostre spalle, una storia, un patrimonio di autori che ancora ci parlano.
E ciò accade per ogni forma d'arte.
Se una poesia, un romanzo, un dipinto del passato ancora oggi dialogano con noi, è perchè tanti artisti - pur profondamente immersi nella loro epoca - l'hanno superata consegnandosi all'eternità per aver raggiunto per così dire il nucleo caldo del cuore di ogni uomo abitato da istanze ed emozioni di sempre.
Tuttavia, al di là della fruizione dal parte del pubblico sempre per molti versi significativa, la musica, così come un testo di teatro - e al contrario dell'arte figurativa che nel tempo resta sostanzialmente invariata - ci arriva mediata dall'interpretazione di chi la esegue e la rende viva oggi, attraverso il filtro della propria sensibilità. Si pone quindi con varie sfaccettature il problema del rapporto tra autore ed esecutore che - come accennavo già in passato - si gioca soprattutto all'interno della necessità o meno di restare rigorosamente fedeli al testo originale.
Si tratta di questioni che generano spesso dibattiti, sia quando in sede teatrale un'opera antica viene rivisitata e attualizzata da una regìa particolarmente innovativa, sia quando - in campo strettamente musicale - di una partitura barocca per esempio, si discute se sia più corretto un recupero filologico che si serva anche di copie di strumenti d'epoca o una lettura decisamente più moderna.
Sono entrambe prospettive affascinanti, anche se personalmente sono sempre attirata dalla capacità di alcuni interpreti di rendere il brano più vicino alla nostra sensibilità.
Per questo, dopo aver dedicato il post della volta scorsa a un'incantevole Suite di Haendel suonata da Keith Jarrett, oggi voglio condividere qui un famosissimo quanto splendido brano del napoletano Domenico Scarlatti (1685 - 1757): la "Sonata in si minore K.27 L.449" interpretata della brava Sara Daneshpour.
Spero che i puristi mi perdoneranno se al clavicembalo ho preferito ancora una volta il pianoforte senza tuttavia scegliere una performance tecnicamente perfetta come, per esempio, quella di Arturo Benedetti Michelangeli.
Ma m'incanta veramente la morbidezza di questa esecuzione tutta al femminile che fa parlare le note anche se, forse, un po' al di là di quelle che erano le intenzioni di Scarlatti.
Certo, trasformare un autore barocco in romantico non è un'operazione improntata a rigore filologico. Tuttavia cogliere aspetti e sfumature che lo rendano più vicino alla nostra sensibilità non mi sembra tanto un tradimento interpretativo - come talora alcuni sostengono - quanto l'affascinante scoperta di ogni ricchezza nascosta nel brano, una sorta di valore aggiunto che ne sviscera la bellezza facendolo rivivere nel cuore di chi ascolta.
Qui, infatti, la morbidezza di alcuni passaggi più lenti, piccole quasi impercettibili pause, il sapore delle dissonanze addolcito dal pianoforte e la voce profonda dei bassi accentuata dal pedale, togliendo al pezzo il timbro un po' secco tipico del clavicembalo, vanno a sviluppare quegli aspetti di modernità insiti già in nuce nel brano come in altre creazioni di questo straordinario compositore contemporaneo di Bach.
Un solo rilievo negativo: all'inizio, alcune note alte sono talmente sfumate da perdersi e, al contrario, altre sono a mio avviso eccessivamente marcate. Tuttavia, nel prosieguo, la melodia si fa sempre più modulata e ricca di fascino: un insieme di vivacità e scorrevolezza, intensità e soffuso appassionato lirismo.
Buon ascolto!
6 commenti:
E' meraviglioso!! Fa star bene con se stessi ed il mondo!!Un caro saluto.
Riri, hai detto le parole giuste: questo brano fa star bene con se stessi e il mondo!
Grazie di cuore!!!
Non posso che riprendere le parole di riri e le tue a conferma.
Grazie Ambra! E' una gioia per me poter condividere questa musica che ricuce interiormente, rasserena, risana...Un abbraccione!
Nemmeno a me sembra un tradimento. E questa interprete fa sognare.
Oh, grazie Sandra!!!
Possiamo sognare insieme!!!
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