Per un particolare fenomeno di rifrazione della luce, infatti, il cielo a volte si colora di tinte vivissime quasi fosse infuocato, offrendoci uno degli spettacoli più grandiosi che la natura ci possa regalare.
Ed è proprio di un tramonto che oggi desidero parlare, attraverso una delle più affascinanti creazioni di Claude Monet (1840 - 1926) intitolata "San Giorgio Maggiore al crepuscolo", olio su tela realizzato dall'artista nel 1908 durante un soggiorno a Venezia e conservato al National Museum of Wales di Cardiff.
Si tratta di un'opera di straordinario splendore che figura - fra l'altro - tra i capolavori esposti alla mostra "Verso Monet" apertasi a Verona lo scorso 26 ottobre e dedicata alla rappresentazione del paesaggio dal Seicento in poi.
Il dipinto ci presenta una gemmazione di colori che sembra nascere dalla linea sfumata dell'orizzonte, dal tramonto che rifrange la sua luce in ogni direzione, illuminando la laguna e l'isola di San Giorgio.
E' un fuoco che via via si schiarisce andando a confondersi col blu del cielo, mentre il riflesso dell'acqua ne irradia e moltiplica l'effetto avvicinandolo progressivamente al nostro sguardo. Un incendio di breve durata, come ogni tramonto, nel quale però l'artista ha colto l'istante di massimo splendore tanto che, più ci si addentra, più si ha l'impressione di venirne abbagliati e pervasi fino a scoprire di essere fatti solo di colore.

Avevo sentito parlare di località famose per i tramonti viola, ma farne esperienza era stato sorprendente. A un tratto, cielo, mare, costa, tutto per pochi attimi si era tinto di quella luce al punto che mi pareva di esservi immersa, di respirarla.
Ed è la stessa sensazione - almeno così a me sembra - che offre il dipinto di Monet, nonostante qui i colori siano più vari e più accesi.
Ma la maestria del pittore ci parla anche attraverso altri particolari come quel campanile che la laguna riflette e, col suo dondolìo, spezza in dolci armoniosi frammenti, segno della raffinatissima abilità con cui Monet ha sempre rappresentato l'acqua, evidente in questa come in numerose altre opere.
Così pure, se la basilica di San Giorgio si staglia scura con contorni non nitidi e tuttavia ancora ben riconoscibili, nella parte destra del quadro invece l'ombra di alcune cupole emerge da un indistinto magma di colori, effetto che per certi versi ci rimanda a Turner, ma per altri prelude già all'astrattismo.
Ed è la pennellata larga, densa, quasi materica ad accentuare questa sensazione, insieme al colore inframmezzato da piccoli tocchi di bianco - tecnica usata anche dai divisionisti - perchè tutto si risolva in vibrazioni luminose.
Ma viene anche da pensare che nessun soggetto pittorico meglio di Venezia - col fascino della sua precarietà, col suo essere già per se stessa un miracolo di luce sospeso sull'acqua - possa adattarsi ad una rappresentazione impressionistica volta proprio a cogliere l'irrepetibile percezione di un attimo.

Non conosciamo in realtà fino a che punto il problema abbia influenzato davvero la sua visione. Recenti studi degli scienziati dell'università di Stanford ritengono che il suo impressionismo derivi proprio dalla visione sfocata dovuta al suo difetto di vista, mentre altri studiosi smentiscono categoricamente questa ipotesi.
Ma se anche fosse, sarebbe mirabile l'effetto che la malattia avrebbe creato modificando la capacità visiva. E mi fa pensare a quanto le nostre fragilità, lungi dall'essere limiti tassativi e invalicabili, mutando la nostra percezione possano aprirla a nuovi spessori, nuove sensibilità, mostrando talora quel rovescio della tela rivelatore di più profonde e affascinanti trame.
Così, mi sembra bello affiancare a questo dipinto l'ascolto di un brano altrettanto denso di sfumature e di grande suggestione: il quarto movimento, "Larghetto", dalla "Serenata per archi in Mi maggiore op.22" di Antonin Dvorak (1841 - 1904).
Si tratta di un pezzo che amo molto per la sua capacità di evocare un'atmosfera di nostalgica malinconia come può essere quella del crepuscolo, e al tempo stesso per le sue intense e luminose aperture soprattutto là dove prevalgono le tonalità maggiori.
Appassionato ed intimo il canto degli archi, e così pure dolcemente ritmata e sognante la melodia che ci accompagna.
E mi pare che le note ci aiutino ad addentrarci sia nella luce sfolgorante del dipinto, che in quegli sfumati dove la linea indistinta dell'orizzonte ci riporta al mistero e al fascino di Venezia come di ogni cosa creata.
Buon ascolto!