venerdì 8 agosto 2025

La voce del torrente

Tutte le mattine o quasi, quando il tempo lo consente, dall'alto del mio nido montano scendo a bere il caffè in un angoletto isolato fuori dal paese, in fondo ai prati, in mezzo all'abetaia. 
È un piccolo lusso che mi concedo da diverso tempo, da quando l'ho scoperto anni fa, al ritorno da una passeggiata. Scoperto non significa che non lo conoscessi e non ci fossi mai stata. Al contrario! Ma non mi era mai capitato di andarci a fine stagione, verso il tramonto, nell'ora in cui il giardino della baita, spesso brulicante di turisti, si spopola lasciando spazio a una solitudine incantata. 

Ne avevo percepito il fascino in un tardo pomeriggio di agosto, tornando da un'escursione attraverso una bellissima pedonale che, purtroppo, l'alluvione dello scorso anno si è portata via. Avevo sete e mi ero fermata a bere qualcosa nello spazio esterno alla baita, a quell'ora totalmente vuoto e ormai in ombra. Era stato allora che, seduta in perfetta solitudine in un angolo raccolto e riparato dal vento, col fragore del torrente che scorre proprio lì accanto, ero stata presa da quell'atmosfera. 
Era una sensazione del tutto particolare e totalmente mia. In realtà, qui intorno ci
sono diversi altri luoghi più aperti di questo e molto più panoramici che pure amo ed apprezzo. Ma lì qualcosa aveva fatto la differenza: insieme alla solitudine, era stato il suono del torrente nel silenzio circostante a entrarmi nell'anima con un senso di assoluta distensione, tanto che mi ero detta: io qui voglio venire tutte le mattine a iniziare la giornata!

La stagione ormai declinava ed ero prossima al rientro, ma così ho fatto negli anni successivi e, quando mi è possibile, ancora oggi scendo dal mio nido prima delle 8.30 per arrivare lì quando nel giardinetto tra gli abeti non c'è nessuno. Il mio primo, e unico, caffè della giornata diventa così un momento di impagabile tranquillità nel quale lasciar vagare la mente con calma, un po' come quando sono in treno e mi faccio portar via dal panorama fuori dal finestrino. Solo che mentre là la mente si appaga di ciò che vede a volte in mezzo al rumore o alla confusione, qui domina il silenzio e le sensazioni sono diverse: il refolo del vento, il sole che va facendosi gradatamente più caldo sulla pelle, ma soprattutto il fragore del torrente che diventa colonna sonora del paesaggio che ho intorno. 

Comincio ad avvertirlo mentre ancora sto attraversando i prati come un rumore di sottofondo sordo e lontano. Poi, superata una piccola ondulazione del terreno arrivo in vista del ponte e, mentre scendo, il suono dell'acqua inizia a farsi sempre più distinto e scrosciante. 
A volte, mi viene in mente Renzo ne "I promessi sposi", quando fugge da Milano
verso l'Adda pensando tra sè che il fiume ha buona voce e ne riconoscerà subito lo scorrere. Certo, nel romanzo la scena si svolge di notte - cosa non trascurabile! - mentre qui è giorno, ma la percezione è quella e non posso non ricordare la celebre gradazione usata dal Manzoni per descrivere le fasi in cui il giovane ode, prima più generico e poi sempre più chiaro, il suono del corso d'acqua: un rumore, un mormorìo, un mormorìo d'acqua corrente.  

È esattamente questo l'effetto che avverto anch'io finchè, man mano che mi avvicino, il lieve mormorio si fa vero e proprio fragore, naturalmente in rapporto alla stagione, al tempo e alla portata del torrente. Ci sono giorni in cui, dopo un temporale, l'acqua è limacciosa, o altri in cui lo scioglimento dei ghiacciai convoglia a valle una piena di detriti che la rendono più scura. Ma di solito è trasparente e scivola cristallina sulle rupi che ne costellano il fondo, mentre il suo scroscio diventa familiare come i suoni che fanno parte della nostra vita al punto che tutto, anche il paesaggio, in qualche modo si umanizza. Il Manzoni parla infatti di voce dell'Adda.

E per celebrare la voce del mio torrente, ho scelto un brano in apparenza lontano da questo argomento. Non è uno dei vari giochi d'acqua scritti da diversi compositori e neppure si riferisce a un fiume. Ma nemmeno mi sono lasciata tentare dal bel pezzo di Sibelius per piano solo intitolato "Le Sapin", che sarebbe stato anche adatto perchè il mio baretto immerso nel verde si chiama proprio "La Sapinière" : l'abetaia.
Ho dato invece la preferenza all' "Impromptu in Si bemolle minore op.12 n.2" di  Alexander Skrjabin (1872 - 1915) che ho scelto per un certo suo andamento discontinuo che mi pare possa riflettere lo scorrere dell'acqua in un alveo talora costellato di sassi, rupi di dimensioni diverse e dislivelli da superare. Se infatti, nelle battute iniziali, più regolare è l'andamento degli accordi della mano sinistra, più viva e differenziata è invece la melodia che ci presenta la destra. Siamo nel tempo di 4/4 certo, ma il susseguirsi delle terzine - e qui spero di non far inorridire gli esperti! - ce lo fa somigliare quasi a un 
12/8. 
È questo il nodo della discontinuità che avverto e che ha motivato la mia scelta,
 oltre naturalmente al fascino del pezzo. Infatti, attraverso passaggi che talora possono ricordare Chopin, dopo un esordio più lento la musica va subito animandosi, riprendendo il tema con vitalità irrequieta simile all'andamento impetuoso delle acque di un torrente.

Buon ascolto! 

(La foto è mia)