giovedì 17 maggio 2012

Splendore di un "Padre nostro"

La musica, nel tempo, è sempre stata espressione delle passioni e dei sentimenti di singoli individui, ma anche della vita di un popolo, di una società, di un gruppo, di gente insomma che in certe note o nelle parole che le accompagnano si è riconosciuta e identificata.

Così è stato per gli inni nazionali e i canti patriottici, ma anche per quelli popolari, tradizionali e religiosi che hanno animato intere comunità.
Comunque siano nate e dovunque abbiano tratto origine, tante composizioni hanno manifestato il carattere di un popolo ricordando la sua storia, celebrando la sua epopea, esprimendone la sofferenza o innalzandone la preghiera.

In quest'ultimo campo in particolare, la musica sacra ha sempre rappresentato un preziosissimo patrimonio non solo religioso, ma anche culturale, ricco di molteplici sviluppi e differenti caratteri legati alle peculiarità del culti locali.
Interessante, a questo riguardo, è la tradizione religiosa ortodossa che si distingue per un repertorio musicale di grande ricchezza e spessore.

Si tratta di canti liturgici densi di profonda carica emozionale e immediatamente riconoscibili
per il ritmo lento e solenne, che ci fa intuire il sapore di una storia e ci comunica i tratti della profondissima spiritualità che sta loro alle spalle.

Quello che oggi propongo all'ascolto è un pezzo molto famoso, forse uno dei più conosciuti in questo ambito.
Si tratta di
"Otche Nash", versione in antico slavo ecclesiastico del "Padre nostro", musicata dal compositore russo Nikolaj Kedrov Sr. (1871-1940), raffinato conoscitore della tradizione del canto liturgico ortodosso.

E' una melodia che - pur nella semplicissima scrittura musicale - sale progressivamente nell'armonica fusione delle quattro voci e va facendosi sempre più intensa in uno splendore polifonico che raggiunge vette altissime.
Il brano, infatti, è di una suggestione che mette i brividi e prende subito, a cominciare dal grandioso accordo che - nel finale della seconda battuta - si allarga proprio sull'ultima sillaba della parola "nebeseh" (cieli) a significarne l'ampiezza. Si tratta di un accordo aperto - come pure i successivi - quasi al limite della dissonanza, e proprio questa sua apertura ci aiuta a cogliere il senso d'infinito che la parola nebeseh rivela.

Al di là della potenza dei bassi, colpisce anche la grande coesione del coro in cui ogni singola voce è inserita in un'armonia più vasta, in una dimensione di sintonia con gli altri e più ampiamente con tutta la creazione: una forma che non ha valore puramente estetico, ma assume il ruolo di vera e propria scuola spirituale. E in quest'ottica, quale preghiera migliore del Padre nostro può essere affidata all'espressione di un coro unanime, invece che ad una voce solista?

Un canto, dunque, che coinvolge in modo viscerale,
com'è tipico di tanti inni della tradizione ortodossa in cui il popolo effonde il proprio cuore, melodie soffuse di malinconia e tuttavia aperte a vigorosi toni di fede e di speranza.

E scrivendo - forse più ancora che per ogni altra musica - mi rendo conto che non bastano le parole, ma occorre lasciarsi attraversare da queste note fino a vibrare in sintonia con esse verso quell'attitudine contemplativa e quel silenzio interiore a cui ci aprono.

Buon ascolto!
(Nel riquadro in alto, icona con San Romano il Melode)

6 commenti:

Ambra ha detto...

Canto e musica grandiosi! Portano in una dimensione dove tutto tace tranne il benefico fluire delle voci dentro il tuo spirito.

Annamaria ha detto...

Sì, Ambra, grandioso e sublime!
Grazie della tua condivisione!

Anonimo ha detto...

grazie.
l'ho gustata. e la farò sentire
ad una ragazza Ukraina-ortodossa.
ciao
luisa

Annamaria ha detto...

Grazie a te Luisa!
Penso che la ragazza di cui parli, ascoltando questo brano, si sentirà....a casa!
A presto!

Sandra M. ha detto...

Condivido ciò che dici a proposito della carica emozionale della musica sacra che, pur non essendo credente, apprezzo ...ovviamente. Ci sono spesso concerti qui, in Duomo e non solo e , se posso, non me li perdo.
Conosco poco il mondo ortodosso; ho avuto, però , una breve e significativa immersione qualche anno fa durante un viaggio in camper in Russia...Mosca, Sanpietroburgo,...I cori, le voci, soprattutto mi sono rimasti impressi: Ritrovo le stesse emozioni qui.

Annamaria ha detto...

Sì, Sandra, i canti del mondo ortodosso hanno un timbro inconfondibile e lasciano dentro profonda emozione.
Chissà che bello dev'essere stato per te sentirli dal vivo!