domenica 30 aprile 2017

Riposanti armonie

Mi è capitato spesso viaggiando per l'Italia - ma anche altrove - di pensare a quanto il luogo in cui abitiamo, con il paesaggio, i monumenti e soprattutto la natura che ci troviamo intorno, influenzi in maniera non indifferente il nostro stile di vita e in fondo anche il nostro modo di essere.

L' osservazione è tanto ovvia da rischiare la banalità e tuttavia profondamente vera. 
"Voglio una vita con davanti il mare"  recita una famosa frase su Twitter e - se permettete - io direi anche con la montagna. 
Non è certo la stessa cosa aprire la finestra al mattino e invece del parcheggio dell'ipermercato trovarsi davanti, che so, volete un esempio a caso?....il Gran Paradiso! 
O ancora vivere in uno di quegli splendidi borghi immersi tra dolci colline di ulivi, dove le vie sono inesorabilmente in salita - o se preferite in discesa - invece che nella mia pianura. Come non è la stessa cosa abitare a due passi dalla campagna o, al contrario, nel cuore di una metropoli dove "le case aggiunte a case e le strade che sboccano nelle strade" a volte paiono proprio togliere il respiro.

Con questo non intendo dire che la vita in una grande città non possa essere bella: anch'essa ha i suoi angoli ricchi di fascino e talora di poesia. Il discorso sarebbe lungo e articolato perchè ogni ambiente presenta aspetti positivi e negativi, vantaggi e limiti che non solo modificano l'esistenza dal punto di vista pratico, ma in qualche modo possono mutare anche la disposizione del cuore e il nostro approccio alla vita.
In ogni caso, tuttavia, ciò che spesso fa la differenza è la vicinanza della natura perchè è un elemento vitale sempre cercato talora anche inconsciamente.
A volte basta un albero, un rampicante sul muro, un'aiuola fiorita, meglio ancora un giardino o un parco a rasserenare l'animo e a risvegliare in esso la sua profonda sintonia con la bellezza. Immaginiamo quindi come tale sintonia si faccia più intensa per chi vive vicino a un limpido specchio d'acqua, a due passi da un bosco o in mezzo a una campagna ricca di alberi e magari di acacie fiorite, come in questa stagione.

Ed è stata la suggestione di tale bellezza ad ispirarmi la scelta musicale di oggi: un brano corale di Felix Mendelssonh Bartholdy (1809 - 1847) intitolato "Abschied vom Walde" (Addio alla foresta) terzo dei sei Lieder op.59 per voci miste a cappella. 
Il pezzo, composto sui versi del poeta Joseph von Eichendorff, ci trasporta in un romantico e riposante clima di calma contemplativa. Il testo è proprio un inno alla sacralità della natura contrapposta alla città vivace e colorata ma dai valori effimeri, nella quale può sopravvivere solo un cuore che porta in sè la giovinezza e l'armonia della natura stessa.
Pregevole l' interpretazione del Coro delle Università di Monaco che, oltre a un grande equilibrio tra le voci, sa regalarci anche sfumature di notevole morbidezza. 
Confesso che di solito preferisco organici meno numerosi - i King Singers o gli splendidi Vocal Consort Berlin per fare qualche esempio - perché i gruppi più ampi, se guadagnano in potenza, non sempre consentono di cogliere anche i minimi dettagli del testo musicale. 
In questo caso invece, nonostante siano numerosissimi, i coristi riescono ad offrirci un'interpretazione a mio avviso perfetta, soprattutto nei finali dove la fusione delle voci ha un effetto di particolare, carezzevole soavità.

Buon ascolto!

sabato 22 aprile 2017

Ainsi soit-il !

Siamo nell'Ottava di Pasqua, così oggi vi regalo un pezzo che - sia nella musica che nel testo - riflette proprio la luminosità della gioia pasquale come un fuoco che, una volta acceso, è destinato a durare e a splendere.

Si tratta del vivacissimo "Et resurrexit" dal "Credo" della "Missa cellensis n.3 in Do maggiore, Hob XXII:5", conosciuta come "Missa Sanctae Caeciliae" di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809). 
Il brano si caratterizza per la sua leggerezza, la gioiosa concitazione e un crescente slancio che va a culminare nella splendida e grandiosa fuga conclusiva.
Tuttavia, ad attirarmi in esso non è solo la musica in senso stretto.  
Certo, Haydn è uno dei miei compositori preferiti, ma ad affascinarmi è anche il prestigiosissimo ensemble "Les Musiciens du Louvre" diretto da Marc Minkowski che ci offre un'interpretazione di straordinaria bellezza.
E' al suo interno che mi ha colpito il modo in cui i coristi, gli orchestrali e il direttore vivono la musica. Non si tratta di semplice bravura nell'eseguire un brano o nel ricoprire un ruolo, ma della passione con cui ciascuno - prima di ogni altra cosa - ha interiorizzato la partitura e ce la restituisce attraverso lo sguardo, il sorriso, la propria intensità o la propria concentrazione.

Sono osservazioni che mi era già occorso di fare agli inizi di questo blog e precisamente qui, a proposito di un brano di Haendel eseguito - guarda caso - sempre da "Les Musiciens du Louvre" sotto la direzione di Marc Minkowski
Già a suo tempo infatti - sia pure molto più brevemente - avevo osservato quanto una contemplazione tutta interiore della musica possa far affiorare dal volto di ciascuno la parte più vera del cuore.

Lo stesso accade oggi col brano di Haydn.
C'è un modo di suonare, cantare e dirigere che parte dall'anima e va oltre lo splendore delle note fondendole con la nostra umanità. Certo, interpretare comporta sempre una fusione d'anima col brano eseguito e più ancora se esso implica il canto. Ma qui tale coinvolgimento mi sembra ancor più vivo e mi pare
significativo che emerga non da un'esibizione pubblica nella sua cornice di ufficialità, ma nel contesto quotidiano di quella che - forse - è solo una prova.

Guardiamo i coristi, per esempio: grazie anche a sapienti inquadrature, dai loro atteggiamenti possiamo cogliere ora un' attenta concentrazione, ora un sorridente abbandono all'onda della musica.
Osserviamone i volti, gli sguardi: ciascuno di essi ci racconta una storia, di ognuno forse potremmo intuire il carattere, tanto certe espressioni - a volte trasparenti e serene, altrove più serie e pensose - pur nella loro pacatezza ci parlano. Spesso sono solo sfumature, minimi dettagli rivelatori di individualità diverse, ma unite nella volontà di far risplendere la musica nell'esattezza della sua scrittura, nella viva alacrità di un impegno comune, ma soprattutto attraverso la passione di ogni singolo interprete a cominciare dal direttore.
Splendida infatti la sua gioia, la sua sorridente intesa con i coristi, frutto di una guida attentissima, di un'energia straordinaria e di uno stupore da bambino: vi siete accorti, vero, del suo silenzioso applauso proprio nell'ultima inquadratura della clip video?....
  
Ed è appunto verso la conclusione che va a concentrarsi la vivacità del coro, convergendo sull' Amen finale che in francese suona "ainsi soit-il" come leggiamo in sovraimpressione.
Sì, così sia, non solo a un Credo di semplici parole, ma alla sconvolgente concretezza che esso afferma, a una Resurrezione che permea di ogni aspetto della quotidianità per suscitare quella speranza senza confini  ripetutamente proclamata nella fuga dell' "et vitam venturi saeculi".
E così sia anche alla gioia viva che questa musica e i suoi interpreti ci offrono, guidandoci a fissare lo sguardo sull'Essenziale! 

Buona visione e buon ascolto!

domenica 16 aprile 2017

Buona Pasqua!!!




































Beato Angelico (1395 - 1455): "Noli me tangere" - Firenze, Museo di San Marco.

 
Wolfgang Amadeus Mozart: "Gloria" dalla "Spatzenmesse" K.220.

venerdì 14 aprile 2017

Venerdì Santo

















Giovanni Dupré (1817 - 1882): "Pietà" (particolare).
Siena, Cimitero della Misericordia.


Zoltan Kodaly (1882 - 1967) : "Stabat Mater".

sabato 8 aprile 2017

A misura di sguardo











Nei giorni scorsi, ho avuto la felice occasione di recarmi a Urbino e rivedere - dopo alcuni anni - la Galleria Nazionale delle Marche.  
Qui, oltre allo splendido Studiolo di Federico da Montefeltro e ad alcuni famosissimi dipinti di Piero della Francesca, mi ha colpito l'opera che vedete in alto e che rappresenta "La città ideale". 
Molti misteri ruotano intorno a questa composizione della quale l'autore resta sconosciuto, nonostante i critici - di tempo in tempo - l'abbiano attribuita a Luciano Laurana, a Francesco di Giorgio Martini e a Leon Battista Alberti: in una parola, al fior fiore degli architetti del Quattrocento che si sarebbero qui cimentati nella pittura. Ma sono stati fatti i nomi anche di Piero della Francesca e Melozzo da Forlì.
Tuttavia di tale rappresentazione è incerto anche lo scopo: uno studio sulla prospettiva? Un modello di scenografia per un fondale di teatro? O la spalliera lignea di un arredo?
Resta vero che il titolo ci riporta a una visione utopistica dello spazio cittadino, secondo la quale la città viene intesa come punto d'incontro di un ideale politico con uno estetico. E insieme a questo, i numerosi riferimenti all'arte classica presenti nell'opera rimandano ai canoni di armonia e proporzione del Rinascimento italiano nel quale essa si colloca anche cronologicamente, essendo stata realizzata tra il 1480 e il 1490.

Ma ciò che spicca al di sopra degli altri elementi è la sua impostazione prospettica che riflette i principi matematici dell'architettura del Quattrocento, volti alla costruzione di spazi a misura d'uomo e, oserei dire, a misura di sguardo.
Non intendo però dilungarmi troppo su di un argomento che tanti, ben più esperti di me, hanno trattato. Mi limiterò a registrare le impressioni avute trovandomi a tu per tu con il dipinto.

Ad affascinarmi è stata innanzitutto la chiarezza dell'impianto urbanistico che rende la rappresentazione nitidissima, il che è probabilmente frutto di due elementi fondamentali: la costruzione prospettica e la luce che consentono allo spettatore di "entrare" nell'opera cogliendone ogni particolare
Le direttrici prospettiche, infatti - ben visibili nel disegno della pavimentazione e nell'orientamento degli edifici laterali - convergono verso il centro del dipinto e al tempo stesso si aprono verso chi guarda, permettendogli di addentrarsi in esso e percorrerne le vie in un'atmosfera di pace.

Così, quasi affiorassero dal silenzio, emergono anche i minimi dettagli: portici, altane, capitelli e decorazioni classicheggianti, piante verdi su qualche davanzale e la porta aperta dell'edificio centrale, forse un invito a proseguire il cammino andando oltre il visibile. In fondo poi, colline appena abbozzate, e un cielo che - più ci si avvicina - più rivela stupende sfumature che dal blu digradano verso il chiaro.
E chiari sono pure i colori degli edifici, disposti secondo una precisa geometria ed essi stessi riconducibili a svariate figure geometriche, a cominciare da quello centrale a pianta circolare: una costruzione a scopo religioso, un tempietto o forse un mausoleo che mi ricorda un po' San Pietro in Montorio a Roma.  
Che il Bramante, nel progettarlo solo pochi anni più tardi, si sia ispirato a questo de "La città ideale" ? Chissà!...

Nulla qui è fuori posto, ma ogni elemento rispetta rigorose simmetrie e probabilmente anche precise simbologie: dalle colombe sotto una finestra, ai due pozzi ottagonali disposti ai lati, fino all'altezza degli edifici che - a ben guardare - non sono uguali nella struttura dei piani, nè nella forma dei portici. E tuttavia ci danno l'idea di una straordinaria unità nella varietà, di armonia insomma!

Un dipinto che mi ha preso col suo incanto e dal quale - dico la verità - mi sono staccata a fatica.
Tuttavia se, addentrandoci nella rappresentazione, man mano svanisce quel senso di freddezza iniziale che l'opera - così vuota di figure umane - può dare, a mio avviso resta comunque in essa un clima di sospensione, quasi una sorta di attesa che l'uomo faccia la sua comparsa.
Forse la sua presenza non è affatto prevista in un' intelaiatura di case che funge da semplice studio prospettico, da progetto ideale o modello di scenografia che saranno poi gli attori - quelli veri - ad animare. E in fondo, è anche l'esistenza stessa della città, pensata e progettata dall'uomo come proiezione di un sogno, a sottintenderne la presenza.  
Eppure....quelle strade vuote possono lasciare un senso di vago sconcerto, quasi che tanta perfezione in realtà possa prendere vita solo se coniugata con l'imperfezione, e l'immobile simmetria delle forme, per farsi evidente, abbia bisogno dell'asimmetria e del movimento propri dell'essere umano.

E per commentare in musica questo dipinto, un Mozart di classica nitidezza, tanto famoso - sia nella versione originale che nei suoi arrangiamenti - da non aver bisogno di presentazioni
Si tratta dell' "Andante" dal "Concerto per pianoforte in Do maggiore n.21 K.467" che ci accompagna col suo passo tranquillo e il suo respiro orchestrale talora aperto e maestoso, talaltra nostalgico. E mi pare che - come sempre - il luminoso equilibrio mozartiano sappia esprimere mirabilmente il sogno di perfezione che alberga nel cuore imperfetto dell'uomo.

Buon ascolto!

domenica 2 aprile 2017

Il volo dell'allodola

San Pietroburgo: ponte mobile sulla Neva (foto presa dal web)
Aprile è iniziato, il clima invita a stare all'aria aperta, la primavera si è avviata in modo incantevole ed è questo il periodo in cui - come sempre accadeva anche quando lavoravo - il pensiero comincia a correre alle vacanze.

Così, mi ritrovo sul web a guardare i panorami di svariate località, talora sognando itinerari del tutto improbabili - almeno per me - altre volte cercando mete più concretamente raggiungibili.  
Spesso però, mi capita anche di ripercorrere attraverso le immagini lo splendore di luoghi già visitati e, in qualche modo, la gioia provata a suo tempo si rinnova.
Sono una che, se scopre un bel libro, ama rileggerlo tante e tante volte ritrovando con gusto trame, atmosfere e personaggi; se ascolta un brano di musica, può risentirlo all'infinito - ma questo già lo sapete - immergendosi in un clima ricco di emozioni. Lo stesso mi accade con certi luoghi già conosciuti che mi piacerebbe rivedere più volte, ma non potendolo sempre fare, mi accontento dei sogni e ad essi mi affido.

E' stato proprio guardando alcuni panorami di San Pietroburgo - dove mi sono recata tre anni fa - che ho trovato l'immagine nel riquadro, una foto che, per certi aspetti, m'incanta suscitando mille ricordi.
Suggestivo il cielo chiaro delle notti bianche quando il tramonto va a confondersi con l'alba, e il ponte mobile attraverso il quale si scorge il campanile della Fortezza di San Pietro e Paolo! Poi le acque della Neva che riflettono le luci della sera, così vicine da darci la sensazione di vederle da un battello, persi in mezzo alla vastità del fiume; e quelle nuvole, simili a un volo di uccelli dalle larghe ali che ci portano lontano...
Suggestione, storia e fascino di una città dai grandi spazi che prende il cuore con le sue drammatiche vicende del passato, la sua sofferenza, ma anche con la sua arte d'inarrivabile splendore.

Così, ho pensato di associare alla foto la musica di un compositore russo al quale il benvenuto su questo blog: Michail Glinka (1804 - 1857).
Dico la verità, non lo conoscevo se non di nome: ne avevo sentito distrattamente qualche brano tempo addietro, ma senza particolare attenzione. Poi - potenza del web! - pochi giorni fa quando ho pubblicato Shostakovic, seguendo le indicazioni che youtube ci offre sui video correlati, l'ho trovato di nuovo ma stavolta ho prestato ascolto.

Ho scoperto in tal modo il brano che vi propongo oggi. 
S'intitola "The Lark" (L'allodola), decima delle dodici romanze raccolte proprio sotto il nome di "Farewell to St.Petersburg" (Addio a San Pietroburgo), forse su testi del poeta Nestor Kukolnik. Ma chissà se Glinka, pensando all'allodola, non avesse anche in mente la definizione di "messaggera dell'alba" che ne aveva dato Shakespeare...
Il pezzo, composto originariamente per voce e pianoforte ma successivamente trascritto da Balakirev per piano solo, è una piccola meraviglia che mi affascina. A prendermi è l'atmosfera che vi si respira e che mi ricorda da un lato la dolcezza di Chopin - direi in particolare il "Notturno n.20 in do diesis minore" che potete trovare qui - e dall'altro la profondità dell'anima russa con la sua attitudine talora malinconica, ma spesso anche fortemente appassionata.
Dopo un'introduzione lenta, scandita da pause, ma molto melodiosa, si apre un'aria pervasa di tristezza che Balakirev ha trasposto in si bemolle minore, prima enunciata con semplicità, poi sempre più ricca di abbellimenti che fondono espressività e virtuosismo. 
Proprio tale crescendo conduce il brano dalla dolcezza iniziale a una progressiva intensità in cui le note sprigionano tutta l'energia possibile: un passaggio graduale da un romanticismo di stampo quasi chopiniano a una forza che porta con l'eco dell'anima popolare russa.
Bellissima infine l'apertura con la quale - in prossimità della conclusione e precisamente a 5,03 dall'inizio - dopo una serie di trilli sempre più accesi forse ad imitare il fremito d'ali con cui l'allodola si libra nel cielo, il brano passa in tonalità maggiore, il ritmo rallenta e la tensione si scioglie in pacata luminosità.

Buon ascolto!