lunedì 28 novembre 2016

Geografie senza confini....

"Non esiste nulla che renda il mondo tanto grande come avere amici lontani: sono loro che disegnano le latitudini e le longitudini".

Per parlare dell'ultimo incontro blogger che si è tenuto ieri a Milano, prendo a prestito questa bella frase di H.D.Thoreau, suggeritami dalla giovanissima amica Chiara del sito "Vasetto di Margherite" nel commento ad uno dei miei ultimi post.

Sì, sono proprio gli amici a fare del mondo non un deserto anonimo, ma un tessuto vivo e ricco di relazioni, un luogo in cui è possibile annullare le distanze.
E' ciò che ancora una volta abbiamo sperimentato rivedendoci e andando - prima di tutto - a rendere omaggio alla nostra amica Ambra, scomparsa lo scorso ottobre e da anni infaticabile animatrice di tanti raduni blogger.

Abbiamo voluto con forza e convinzione questo incontro, a cominciare da Erika, Sandra e poi tutti, sia per rispettare i programmi che Ambra aveva già tracciato, sia per consolidare amicizie che camminano ormai da sole al di là dei rispettivi blog e della geografia che talora ci avvicina, ma spesso anche ci allontana.
La geografia, appunto. Osservavo ieri che - tra amici vecchi e nuovi - a dispetto di nebbie e disguidi tecnici, siamo arrivati a Milano praticamente da tutta Italia: da nord a sud, dalle Alpi al mare, da Bari, Roma, Modena, Verona, Aosta e poi sempre Milano insieme ad altre località del nord.

Ma ci sono geografie che oltrepassano mari, montagne e città, ed esistono latitudini e longitudini del cuore che disegnano mondi senza confini, dove chi non è più con noi in realtà non è assente ma ci sorride - per così dire - dalla stanza accanto, più vivo che mai.
Così, quello per Ambra non è stato solo un ricordo, ma il senso di una presenza, come se ci accompagnasse in giro per la sua Milano e potessimo coglierne - di tanto in tanto - il sorriso e l'arguzia, l'accoglienza e il garbo, quasi ci prendesse per mano per unirsi ancora una volta alla nostra brigatella un po' chiassosa.

Per questo oggi ho scelto di pubblicare un brano che ha radici lontane, come se anche i tre compositori che vi sono coinvolti si fossero presi per mano, al di là della geografia e del tempo in cui sono vissuti.
Si tratta di un pezzo della "Suite orchestrale n.4 op.61" conosciuta come "Mozartiana" di Piotr Ilic Tchaikovsky.  
L'appellativo deriva dal fatto che, nei quattro movimenti di cui essa si compone, il musicista russo prende spunto da altrettante creazioni di Mozart - tra l'altro anche dal famosissimo "Ave verum" - per ricrearne l'atmosfera alla luce di un ampio organico orchestrale.  
Il brano che vi propongo, la "Variazione n.9 - Adagio", è tratto dall'ultimo tempo della Suite e fa riferimento alle dieci "Variazioni per pianoforte K.455"  scritte da Mozart su di un tema di Gluck. 
Un filo rosso musicale, quindi, che ha origine da un'aria dell'opera "La rencontre imprévue" di Gluck, passa poi a Mozart con un pezzo per pianoforte, per approdare infine a Tchaikovsky che ne fa una rielaborazione per orchestra.

Devo confessare però che, prima di pubblicare il brano, ho avuto qualche perplessità, perchè non ero del tutto sicura che fosse adatto all'incontro di ieri, segnato certo da nostalgia per la nostra amica, ma anche da tanta gioia di vederci e condividere un piacevolissimo momento conviviale. 
Tuttavia, poi mi sono decisa perchè mi pare che questa musica, nel suo tono intensamente meditativo, sappia parlare più di tanti discorsi.
Il suono acutissimo e struggente del violino voce, infatti, a quell'iceberg sommerso che ciascuno di noi a volte porta in sè, a quel magma di sentimenti talora difficile da esternare, fatto di ricordi, interrogativi, affetti e nostalgie, che si risveglia ogniqualvolta una persona amica se ne va.
Una musica che può aiutarci a prolungare il nostro breve silenzio di ieri, davanti alla terra in cui il corpo di Ambra riposa. 

Buon ascolto!

martedì 22 novembre 2016

Lezione di canto con Santa Cecilia

Mi perdonerà Santa Cecilia - almeno così spero - se mi accingo a festeggiarla ormai a fine giornata. 
Ma più che l'ora o il giorno esatto, importante è l'intensità e la schiettezza del ricordo....non è così?
Il fatto è che ho indugiato un po' nella scelta dell'immagine da pubblicare, essendo considerevole il numero degli artisti che hanno raffigurato la Santa e ciascuno con caratteristiche sempre apprezzabili.

Per la patrona dei musicisti non volevo una celebrazione formale, giusto per rispettare una ricorrenza, ma qualcosa di più vivo e personale, che riflettesse un po' anche la mia attuale e crescente passione per la polifonia.
Di conseguenza, ho cercato un'immagine che la raffigurasse non solo seduta all'organo o alla spinetta, o alle prese con un liuto - come per esempio nei quadri del Guercino, di Orazio Gentileschi o del Saraceni - ma mentre suona circondata da un coro. E stante il fatto che esistono parecchi pittori che l'hanno rappresentata proprio così, ho avuto l'imbarazzo della scelta.
Infine, ho trovato il dipinto che vedete, dove la Santa è attorniata da due fanciulletti e un angelo, e ciascuno ha davanti il proprio spartito musicale.

Si tratta dell'opera di Michael van Coxcie (1499 - 1592), intitolata appunto "Santa Cecilia" e conservata a Madrid, al Museo del Prado.  
Pur essendo l'artista fiammingo, la composizione non rivela lo stile di matrice nordica che ci aspetteremmo, ma caratteri piuttosto differenti e più vicini al Rinascimento italiano con cui il pittore è entrato in contatto durante un viaggio, appunto, in Italia. 
Sono infatti morbide e dolcissime le linee con cui è rappresentata la scena: dai profili, al panneggio, all'acconciatura dei capelli, ma soprattutto alle splendide mani della Santa.
Cecilia suona con un atteggiamento totalmente assorto e lo sono anche i piccoli coristi che tuttavia....non sembrano cantare. 
Canta solo l'angioletto sullo sfondo che, con gesto dolcissimo, quasi ad ispirarla o ad incoraggiarla, appoggia le mani sulle spalle della figuretta bionda intenta a leggere lo spartito.
Il fanciullo a sinistra invece guarda verso lo spettatore con un'espressione viva e ferma che pare invitarlo ad unirsi al coro o anche semplicemente ad ascoltare. E mentre si volge verso di noi tenendo aperto il testo musicale, sembra dire: "Stiamo imparando, sai?....E' bello, vieni anche tu!".
Insomma, una lezione di canto in un clima di famiglia, angelo compreso; una scena fra cielo e terra dove si ha l'impressione che la musica scenda dall'alto, simile a una benedizione che passa attraverso la soavità dei volti insieme allo sguardo assorto e alle mani della Santa.

Per questo, oggi desidero condividere con voi uno splendido brano corale di Joseph Gabriel Rheinberger (1839 - 1901), autore che avete già avuto modo di conoscere in passato
Il pezzo s'intitola "Benedixisti" ed è il settimo della serie dei nove mottetti op.176 scritti dal compositore per l'Avvento. 
Si tratta di una polifonia dolce e forte, fatta di profondo spessore e crescente limpidezza. Sono le varie dissonanze, insieme ai frequenti passaggi di tonalità a condurci - di battuta in battuta - verso atmosfere sempre più luminose e aperture talora inaspettate.
Come l'inesauribile benedizione della musica che ci apre nell'anima prospettive sempre sorprendenti.
 
Buon ascolto!
 

giovedì 17 novembre 2016

Mete lontane

Non so voi, ma quando a volte io sono in stazione e sento annunciare treni con destinazioni lontane, colgo che qualcosa in me impercettibilmente comincia a sognare.

E' un moto istintivo, non razionale, come se la suggestione di certe località i cui nomi vengono scanditi dall'altoparlante avesse il potere di portarmi via con sè. E' un frammento di vita che mi prende, mi cattura e - se cedo al suo fascino - inizia a crescere nella mia fantasia, inanellando memorie e desideri fino a sovrastarmi.
Sarà che viaggio con una certa frequenza, ma per me non c'è niente come il mondo dei treni per sollecitare pensieri, sogni o ricordi. 
E a volte anche un pizzico di follia.

Mai capitato a nessuno di trovarsi sul consueto binario dove ogni sera si attende di tornare casa e dall'altra parte - appena più in là - è in partenza, che so....la freccia per Roma o per Napoli o comunque per una meta lontana? 
Ma a me basterebbe anche una destinazione più vicina: Genova, Pisa, Venezia...e sarebbe ugualmente magia!
Mai pensato per una volta di cedere alla tentazione di sbagliare treno???....
Dai, non sono neppure le sei del pomeriggio....e se invece di salire da un lato del marciapiede, prendessimo il convoglio per Genova che attende dall'altro, proprio di fronte???....Un paio d'ore di viaggio e stasera ceneremmo sul mare, gli occhi al buio punteggiato di lampare, mentre il cuore sorride in segreto e s'illumina di stelle come un quadro di Van Gogh....
E in viaggio, lo scompartimento diventerebbe una tana calda, un rifugio per covare sogni e intravvedere più nitidamente - nell'oscurità là fuori - la luce che portiamo dentro.

Ma i luoghi lontani ci parlano soprattutto perchè ci riportano alle persone che li rendono vivi, agli amici conosciuti o alle esperienze che vi abbiamo vissuto e li hanno fatti nostri in un indissolubile legame di appartenenza.
Ci pensavo qualche giorno fa, mentre attendevo un treno di prima mattina e sentivo risuonare negli annunci la sua destinazione ultima, una città che mi ricorda alcune persone care che non vedo da un po'.
E allora a ciascuna di esse avrei voluto mandare un sms: "Sto prendendo un treno che arriva proprio da te, sai...e ti ho pensato!".
Poi non l'ho fatto e invece sto scrivendo questo post che è un po' come dire che gli amici - anche quelli lontani - sono sempre nei nostri pensieri, se basta un piccolo cenno di quotidianità ad evocarne la presenza.
 
Così, è proprio a loro che desidero dedicare la musica di oggi. 
Ho scelto un brano che ci conduce in un'atmosfera d'intensa suggestione. Lo cogliamo subito dall'introduzione orchestrale di una dolcezza struggente e poi dalla melodia che si snoda in alcuni passaggi più sorridente e cantabile, in altri più malinconica e talora quasi solenne pur nella sua levità.
Si tratta di una composizione intrisa di profondo romanticismo: il "Larghetto - Romanza" dal "Concerto in mi minore n.1 op.11 per pianoforte e orchestra" di Frédéric Chopin (1810 - 1849).
Anche questo pezzo, a somiglianza di certi sogni, inizia dal poco, con un piccolo spunto che si dipana in dolcezza e va poi ripetendosi e inanellandosi in una fioritura di note colme di passione, pur non contraddicendo il carattere pacato del larghetto.
Una musica sublime della quale innamorarsi perdutamente e che è insieme desiderio, suggestione, ricordo, nostalgia, passione e sogno di mete lontane
Una musica che ci restituisce - intatto - il respiro delle esperienze vissute, e ci regala - lievissimo - il soffio di quelle che verranno.

Buon ascolto!
 

giovedì 10 novembre 2016

Un caffè a Visso

Visso: Chiesa di S.Agostino e Collegiata di S.Maria
Come talora mi è già accaduto, non riesco a passare oltre senza soffermarmi per qualche momento sul brano della volta scorsa, in questo caso il mirabile "Crucifixus" di Antonio Lotti.
Spero che lo abbiate ascoltato e riascoltato
In caso contrario, fatelo ora se potete, lasciando che il suo splendore polifonico vi pervada in ogni sua sfumatura.

Inizia sottovoce il canto, quasi un'introduzione per enunciare il tema che verrà successivamente ripreso, ripetuto e scavato fino a farne emergere ombre e luci, dolcezza e grido in un crescendo di struggente intensità. 
E l'alternanza di passaggi tra l'iniziale tonalità di do minore e quella maggiore con cui - tra l'altro - il brano si conclude, ci apre prospettive sempre nuove tra il dramma e la speranza, in una meravigliosa fusione di voci. Un pezzo di altissima espressività che va ben oltre la portata di tante parole, inutili - del resto - di fronte all'incombere del dramma.

Visso: panorama
Tuttavia, oggi mi permetto di condividere qui un ricordo di parecchi anni fa che mi riporta proprio ad alcuni paesetti devastati dal recente terremoto e in particolare a Visso.
Devo tornare indietro all'estate del 1994, una stagione per me difficile, segnata da problemi di salute in famiglia.  
Niente vacanze quindi, ma solo assistenza a chi ne aveva bisogno.  
Poi, quando l'orizzonte si era un po' schiarito, prima che ricominciasse la scuola, io e mio marito tra i vari impegni ci eravano ritagliati tre giorni liberi - quasi una fuga - ed eravamo andati in centro Italia.

San Severino Marche, Tolentino, Ussita, Norcia....sono luoghi che ho visitato allora e porto nel cuore da quell'estate.  
Ci eravamo riempiti gli occhi e l'anima del loro splendore, della dolcezza del paesaggio e - dopo mesi di pressanti incombenze - quel viaggio, pur nella sua brevità, ci aveva regalato la gioia di una dimensione in cui perdersi, lasciandosi semplicemente vivere e ritrovando il gusto del quotidiano.
Ricordo la pacificante serenità di una mattina trascorsa indugiando tra le bancarelle del mercato a San Severino Marche, nella splendida Piazza del Popolo dalla forma simile a un fuso e più tardi nel chiostro del Convento di San Domenico. Un tempo tranquillo per ritrovare il proprio ritmo interiore insieme al luminoso e rassicurante respiro della bellezza.

Visso: chiostro della Chiesa di S.Agostino
E poi Visso.
E' che davvero ero tornata a vivere, che mi ero sentita pervadere di nuovo da un senso di gioiosa leggerezza, mentre prendevamo un caffè seduti in piazza, godendoci il sole del primo pomeriggio sotto un cielo terso come nella foto in alto.
Nella pace luminosa di quella piazzetta, avevo avuto l'impressione che il tempo si fosse dilatato e - in realtà - è proprio il tempo dell'anima che certi luoghi sanno risvegliare per restituirci un incanto capace di nutrirci anche a distanza di anni.

Visso: il centro
Di quel giorno ricordo tutto, persino com'ero vestita: una lunga e morbida gonna a fiori che portavo sempre in viaggio per la sua praticità. 
E se talora desidero riandare a un momento di profonda serenità, è lì che il cuore mi riconduce, tanto mi aveva afferrato e restituito alla vita il fascino di quel borgo di pietra chiara incastonato nel verde.
Per questo, quando l'onda di terremoti degli ultimi mesi ha devastato anche Visso - nonostante nutra la certezza che la tenacia degli abitanti saprà riportare ogni angolo al suo primitivo splendore - mi è sembrato di aver perso una parte di me.

Oggi però - dopo il dolore e lo sgomento, dopo il lamento e il grido - desidero lasciare spazio alla speranza con un brano ricco di aperture: il secondo movimento, "Adagio", dalla "Sinfonia n.4 in Si bemolle maggiore op.60" di Ludwig van Beethoven (1770 - 1827).
Si tratta di un pezzo che - come sempre accade - si compone di due elementi fondamentali, talora alternati, talaltra sovrapposti: il ritmo di fondo e il tema. Qui, fin dall'inizio, intrecciato alla soavissima melodia, è il ritmo a colpirci: puntato, scandito con forza, quasi ad esprimere una pulsazione ansiosa, una tensione che sembra prevalere su tutto. Poi, dopo passaggi fortemente drammatici, tale tensione gradatamente si smorza per lasciare spazio alla melodia. 
Di nuovo ancora il brano si snoda in un'alternanza tra momenti di forte drammaticità e altri più sereni, finchè il tema finisce per prevalere, dipanandosi con una delicatezza e una leggerezza ariosa quasi simile a una danza.
Una musica forte come un dramma e dolce come la speranza che tanta bellezza ferita torni a splendere non solo nell'onda del ricordo, ma anche nella realtà.

Buon ascolto!