lunedì 15 agosto 2016

Buon Ferragosto !!!

Beato Angelico : "Dormitio Virginis"
Museum of Art, Philadelphia.

















Con questa immagine del Beato Angelico (1395ca. - 1455) 
e sulle note dell' "Ave Maria" di Jacques Arcadelt (1504ca. - 1568), 
auguro a tutti voi buona Festa dell'Assunzione, buon ascolto e buone vacanze!

Anche questo blog si prende una piccola pausa.
A presto!!!

 

lunedì 8 agosto 2016

In viaggio con la musica

Mi è sempre piaciuto ascoltar musica quando sono in viaggio, sia sui mezzi pubblici che in macchina, devo averlo già detto altre volte.  
Se sono sola, accendo l'ipod, infilo gli auricolari e parto con la testa e col cuore, mentre sotto il mio sguardo si avvicendano paesaggi naturali o metropolitani, monti, campagne o autostrade.

Un tempo, quando ero una ragazza ordinata e organizzata, prima di partire sceglievo con cura i cd da ascoltare durante il tragitto o caricavo i vari dispositivi audio con una miscellanea dei miei brani preferiti. Ora invece, mi affido al caso e preferisco le sorprese: o i concerti trasmessi da Radio tre o i brani caricati su chiavetta da mio marito che - lui sì! - è ancora organizzato.
Così, capita che io salga in auto e la musica mi avvolga all'improvviso, suscitando emozioni, ricordi o facendo rifiorire suggestioni inaspettate.

E' accaduto la scorsa settimana, quando ad accogliermi in macchina sono state le note intense e soavissime dell' "Adagio un poco mosso" del Concerto "Imperatore" di Beethoven e - qualche giorno prima - quelle dell' "Adagio" del Concerto K.488 di Mozart: brani diversi ma ugualmente mirabili che, se volete, potete ritrovare anche qui e poi ancora qui.
Era tanto che non mi capitava di ascoltarli e confesso che in entrambi i casi sono stata pervasa da un'onda di fortissima commozione.  
"Stai invecchiando" mi sono detta. Infatti, per quanto l'ascolto assiduo mi abbia regalato una certa sensibilità, per altri aspetti resto coriacea ed è raro che un brano mi smuova fino alle lacrime. O forse ciò accade proprio quando certe melodie ci colgono all'improvviso, di sorpresa, totalmente indifesi, e allora è dolce arrendersi al loro fascino.
La musica infatti ci parla, ci avvolge, ci tocca nel profondo; ascoltarla è come tornare a respirare un'atmosfera familiare perchè è ritrovare una parte di noi stessi ed essere ricolmati di pienezza. 

La dimensione del viaggio, poi, non fa che accrescere questa sensazione perchè la varietà del panorama che spesso muta ad ogni tornante di strada, viene - per così dire - filtrata dalle note. L'abitacolo dell'auto si trasforma allora in una sala da concerto nella quale la musica dilaga liberamente, mentre il nostro sguardo sulla realtà diventa un nodo di emozioni suggerite dalle note in una sintesi di dati esteriori e interiori. Emozioni che si fanno ancora più intense se - per esempio - si viaggia nel buio della sera, come mi è capitato di raccontare tempo addietro proprio qui, a proposito del "Terzo concerto per pianoforte e orchestra" di Rachmaninov.

E poi, qualche giorno fa, è accaduto di nuovo, questa volta con Bach.  
Eravamo sui tornanti che scendono dolcemente da una delle vallate valdostane, in mezzo a una grande apertura di prati e di pendii, con lo sfondo del Bianco. Rientravamo senza fretta, nella tranquillità di un pomeriggio con qualche nuvola e all'improvviso, ad accompagnarci ora come un limpido ruscello, ora come un fiume in piena, dalla radio sono sgorgate le "Variazioni Goldberg".
Quando parla la musica, regna il silenzio. Ma non si tratta solo di un fatto esteriore per facilitarne l'ascolto: è un silenzio che nasce dentro e che la musica stessa crea e favorisce. E' una condizione privilegiata del cuore, quasi uno spazio di vuoto primordiale che le note riempiono e nel quale sono esse a parlare, a evocare, facendo scaturire la vita.  
Le "Variazioni" - vero monumento della multiforme arte bachiana - sono proprio un inno alla vita nella straordinaria inventiva, nella simmetria rigorosa, nella varietà, nei ritmi, nell'armonia di ogni singolo brano e insieme nella struttura complessiva della composizione.

Ho scelto per voi la "Variazione n.13", una di quelle che amo di più per il suo tono lieve e scorrevole che può ricordare l'andirivieni di note di una sarabanda, nell' alternanza di sedicesimi e trentaduesimi che la melodia ci offre.
Un brano che fonde rigore e dolcezza: p luminoso e ritmato nella prima parte, mentre nella seconda si fa gradatamente più intimo allargandosi in alcuni passaggi, per finire pervaso da una sottile malinconia.
Una musica che non ci accompagna solo tra monti e vallate, ma anche nel viaggio - spesso più arduo - dell'esistenza quotidiana, invitandoci ad esplorarne, sempre e nonostante tutto, la multiforme Bellezza.

Buon ascolto!

mercoledì 3 agosto 2016

L'ultima ruota del carro

Da tempo, ormai, ho scaricato dal web l'immagine che vedete a lato, una maglietta con un disegno e soprattutto una scritta accattivante:

"Non ho bisogno di una terapia.
Io canto in un coro!"

La frase enuncia una realtà verissima che tutti coloro che fanno o hanno fatto parte di un gruppo corale avranno certo toccato con mano: la forza terapeutica della musica.
Lo so, non è la prima volta che ne parlo: dal post sul Coro degli stonati o sull'iniziativa di tenere concerti all'interno di un carcere, fino a tante altre considerazioni, ho ricordato spesso quanto il contatto col mondo delle note sia rasserenante sia per chi ascolta che per chi fa musica in prima persona.

Qui tuttavia, non ci si riferisce alla possibilità di suonare uno strumento, ma al piacere di mettersi in gioco con la propria voce, compito in apparenza più semplice perchè....chi non si è mai trovato a canticchiare una melodia anche solo per proprio conto? 
In realtà però, la cosa non è così scontata come potrebbe sembrare. 
Il canto corale infatti non esige solo i requisiti base dell'intonazione e di una voce possibilmente fluida, ma anche tutta una serie di abilità che s'imparano - diciamo così - sul campo.
La prima di queste - fondamentale anche in un'orchestra come ricordava Claudio Abbado - è il reciproco ascolto. Ne beneficiano il ritmo, la sincronia degli attacchi, dei crescendo o dei diminuendo, l'equilibrio tra le varie voci e la coesione dell'insieme.
Ma occorrono anche concentrazione, attenzione alla gestualità con cui il maestro guida i cantori, dizione chiara perc - per esempio - il latino dei testi non diventi maccheronico e via dicendo: insomma, come scrivevo, abilità non scontate per le quali occorre un'educazione.

Un coro è di fatto una scuola, con tutti gli aspetti positivi e terapeutici di una scuola: s'impara, si cresce, ci si mette in gioco, ci si confronta, ci si apre al nuovo, si collabora, ci si sostiene a vicenda nelle difficoltà, si lotta con i propri limiti - per superarli o accettarli - e infine si esulta insieme per i traguardi raggiunti.  
Ma soprattutto si viene a contatto con la musica che è maestra di Bellezza, capace di svegliare in noi la passione e di farla divampare, anche se all'inizio fosse solo un focherello che langue sotto la cenere.  
E fondamentale è anche la prospettiva di condivisione con cui si lavora, perchè lo splendore della musica venga poi offerto agli altri nelle occasioni in cui il coro è chiamato a cantare: concerti, feste, celebrazioni religiose e via dicendo.
Che si tratti di polifonia sacra, di canti di montagna o canzoni folk, la sostanza non cambia e si comprende bene quanto sia terapeutico questo tipo di esperienza che unisce fatica e gioia in un itinerario di apprendimento e condivisione che - come accade del resto per ogni lavoro svolto con passione - sveglia la vita dentro di noi.

Così, torno alla frase sulla maglietta che - tra l'altro - mi pare si possa interpretare in due sensi. Cantare in un coro infatti è terapia ma al tempo stesso prevenzione. La musica cura, ma insieme preserva da malesseri, tristezze, malinconie o talora vere e proprie depressioni. E' infatti il contatto con la Bellezza che guarisce e ravviva, arricchisce e ristora, consentendo a ciascun corista di scoprire o ritrovare in sè risorse ed entusiasmo.
 
Allora concludo proponendovi uno dei brani polifonici a mio avviso più affascinanti del compositore veneziano Giovanni Gabrieli (1557 - 1612), un autentico innovatore di questo genere di musica
Si tratta del coro "Jubilate Deo" per otto voci, organico dal quale emerge la complessità del testo musicale e che ne sottolinea la forza espressiva.  
Già dalle battute iniziali, infatti, siamo introdotti in un'atmosfera di gioiosa leggerezza che prosegue per tutto il brano in una grande ricchezza di tessiture sonore.
Un esempio, tra i tanti che si potrebbero portare, di quello splendore polifonico e di quella gioia che nella vita di un coro - grande o piccolo, famoso o sconosciuto - finisce per coinvolgere ogni componente: dalla prima voce dei soprani all'ultima ruota del carro.....come sono io, ma felice di esserci!

Buon ascolto!