mercoledì 27 luglio 2016

L'ultimo editoriale di Padre Jacques

Andrea Mantegna: "Crocifissione" - Parigi, Louvre.



















"La primavera è stata piuttosto fresca. Se il nostro morale è stato un po' a terra, pazienza, alla fine l'estate arriverà. E anche il momento delle vacanze.

​Le vacanze sono un tempo per prendere le distanze dalle nostre occupazioni abituali. Ma non sono una semplice parentesi. Sono un momento di relax, ma anche di rigenerazione, di incontri, di condivisione, di convivialità. 


Un tempo di rigenerazione. Ci sarà chi si prenderà qualche giorno per un ritiro o un pellegrinaggio. Altri rileggeranno il Vangelo, da soli o in compagnia, come una parola che fa vivere l'oggi.

Altri potranno rigenerarsi nel grande libro della creazione ammirando i paesaggi tanto diversi e magnifici che ci elevano e ci parlano di Dio.


L'augurio è che possiamo in quei momenti sentire l'invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, a farne, là dove viviamo, un mondo più caloroso, più umano, più fraterno.


Un tempo di incontro, con familiari e amici. Un momento per prendersi il tempo di vivere qualcosa insieme. Un momento per essere attenti agli altri, chiunque essi siano.


Un tempo di condivisione. Condivisione della nostra amicizia, della nostra gioia. Condivisione del nostro aiuto ai figli, mostrando che per noi contano.


Anche un tempo di preghiera. Attenti a ciò che avverrà nel nostro mondo in quel momento. Preghiamo per coloro che ne hanno più bisogno, per la pace, per un migliore vivere insieme.


Sarà ancora l'anno della misericordia. Cerchiamo di avere un cuore attento alle cose belle, a ciascuno e a tutti coloro che rischiano di sentirsi un po' più soli.


Che le vacanze ci consentano di fare il pieno di gioia, di amicizia e di rigenerazione. Allora potremo, meglio provvisti, riprendere la strada insieme. Buone vacanze a tutti!"

Padre Jacques

(Testo pubblicato da Padre Jacques Hamel il 6 giugno scorso, sul bollettino parrocchiale di Saint-Etienne du Rouvray e riportato oggi su "Avvenire.it". Traduzione di Anna Maria Brogi) 

 

Johann Sebastian Bach: Finale dalla "Passione secondo Matteo BWV 244"

martedì 19 luglio 2016

Il gatto di Beethoven......

Dolce, vellutato, felpato, morbido, timido, curioso, attento, spaventato, guardingo e via dicendo....
Gli aggettivi si potrebbero moltiplicare per definire il piccolo gatto grigio che vedete, ritratto in una foto che ho trovato sul web e che desidero condividere con voi.

E mentre ringrazio lo sconosciuto autore del bellissimo scatto, non posso non pensare a quale espressività ricca di sfumature e di emozioni ci regali questo semplice micio col suo sguardo che, da un lato, ci osserva di soppiatto quasi spiandoci, seminascosto da una tenda, e dall'altro sembra fissarci serio, dritto negli occhi.
Che fa? Vuole forse giocare a nascondino? O è spaventato da qualcosa? 
Ha paura o aspetta il momento buono per uscire allo scoperto e combinare qualche marachella? O con quel musetto vicino al quale s'intravvede una zampina vellutata cerca solo coccole?
C un che di tenero in questo micetto, forse per la tendina bianca che sembra accarezzarlo, ma ciò che ci cattura irrimediabilmente resta la sua espressione, uno sguardo a cui non si può sfuggire e che c'interpella: 
"E tu chi sei?" - sembra dire - "Sei uno che ama i gatti? Mi vuoi?...".

Appunto....e io chi sono?  
Potrei rispondere che sono una che ama la musica e allora oggi - proprio ispirata da questa foto - ho scovato un brano di Ludwig van Beethoven che mi sembra adatto all'argomento e che chi ha dimestichezza col pianoforte avrà certo suonato: il "Rondò un Do maggiore op.51 n.1".
Chissà se Beethoven ha mai posseduto un gatto! 
A dire il vero, i sacri testi non dicono nulla e se provate a digitare sul web gatto e Beethoven, trovate il titolo di un libro per bambini ("Il gatto di Beethoven" di Roberto Calogiuri, con disegni di Nicoletta Costa, ed.Gallucci) completo di un cd con una trascrizione per pianoforte dell'Inno alla gioia.  
Un modo intelligente per avvicinare i più piccoli alla musica e una storia piacevole, ma totalmente inventata dall'autore.
 
Invece, io credo proprio che Beethoven il gatto l'avesse, e se faccio lavorare la fantasia - dai....sono in vacanza, lasciatemi divertire un po'! - m'immagino uno di quei bei micioni che passeggiano impettiti e sornioni sulla tastiera stile cartone animato, pasticciando un po' e magari facendo i dispetti al pianista.
Dite di no?....Che Beethoven era un tipo troppo serio e una cosa del genere non può stare?
Ma io continuo a pensare di sì: in fondo i gatti sono dei romanticoni, amano la notte, i tetti, forse anche il chiaro di luna....E del resto non sarebbe l'unico compositore ad essersi ispirato a loro: esiste infatti un famoso "Duetto buffo di due gatti" per soprani, attribuito nientemeno che a Rossini!

Insomma, già lo sapete che ho le mie manie, ma - scherzi a parte - mi sembra davvero che questo Rondò talora rispecchi l'incedere di un gatto quando trotterella per i fatti suoi, poi si ferma in agguato, spicca un salto e infine si lancia in una corsa tempestosa e travolgente.
O quando invece fa le fusa e si muove lento, con incedere sinuoso, a passo felpato: lo sentite - vero? - a 0,28 dall'inizio.....a 1,06.....a 0,55.....e poi a 2,42..... ancora a 3,22 e infine a 5,00???  Spesso è la mano destra a riprodurre questo incedere, ma a volte il ritmo è segnato dalla sinistra e lo potete verificare sul video che riporta lo spartito del brano.

Altrove invece - e lo si avverte con chiarezza - il micio sta inseguendo un gomitolo col quale si rotola in continuazione per poi fermarsi di botto: una lunga pausa, forse con lo sguardo e una zampina alzata, magari per far la posta a un uccellino o nel tentativo di catturare una farfalla.
Dite sempre di no?....Che i miei sono solo luoghi comuni sui gatti e la musica non c'entra?....
In effetti, la mia vicina qui in montagna che ha un bel micio bianco e nero, mi racconta che non è affatto nottambulo e passa la giornata sul divano a sonnecchiare o va a scaldarsi sotto qualche auto in sosta, con tutti i rischi del caso.
Peccato, però: il brano di Beethoven era vario, movimentato, ricco di temi e non privo di echi mozartiani......Che avesse un gatto anche Mozart?????....
Ma su questo ineludibile interrogativo esistenziale chiudo e vi auguro come sempre buon ascolto!

 

martedì 12 luglio 2016

"Room 108" : tra intimità e passione.

E' sempre una gioia e un'emozione trovarsi di fronte ad uno strumento musicale, sapendo che c'è chi saprà dargli vita, trarne meraviglie, legare quel legno o quel metallo, quei tasti o quelle corde alle proprie mani, alle dita, al respiro, al fiato, al proprio corpo insomma.

Ma al di là di tale coinvolgimento fisico, si sa che ogni vero interprete suona prima di tutto con l'anima. C'è sempre un che di sorprendente in questo, perchè significa certo usare la tecnica, ma anche andare oltre per superarla, per far parlare il cuore in vista di un abbraccio più libero e pieno, di un completo abbandono all'onda della musica.
E proprio perchè essa evoca, scava, accarezza, illumina, avvince, rasserena e via dicendo, tali moti non possono non passare attraverso tutto l'essere di chi suona. Se poi l'interprete di un brano ne è anche l'autore, tale partecipazione diventa così intensa e totale che ne deriva una sorta di identificazione tra il compositore e le sue note.

Per questo, oggi torno a Giovanni Allevi che mi sembra rispecchiare tale assoluto coinvolgimento con la musica non solo nei pezzi più articolati e complessi, ma anche in quelli che si snodano sul filo di una nitida semplicità. 
Così, del musicista ascolano vi propongo "Room 108" che appartiene al suo primo cd per pianoforte solo, uscito nel 1997 e intitolato "13 Dita".
 
Non so quale spunto abbia dato origine al titolo del brano, ma mi piace pensare che "Room 108" - presumibilmente il numero di una stanza d'albergo - sia legato a un concerto. Forse un ricordo dell'ansia che lo precede o - più probabilmente ancora - della dolcezza del dopo, di quel momento di solitudine in cui, conclusa la serata, il compositore può ripensare agli applausi del pubblico, alle persone incontrate, ma soprattutto abbandonarsi all'onda di emozioni e di passione che lo ha coinvolto nel suo amore per la musica.

O forse la stanza lo ha visto semplicemente intento a contemplare il panorama dalla finestra, ma col cuore ancora colmo di sensazioni.  
Infatti, è come se in questo brano Allevi ripercorresse interiormente un evento, facendone riecheggiare ogni sfumatura dalla delicatezza alla passione, e le note seguissero l'andamento dell'anima, dei pensieri, di un segreto dettato del cuore.
Ce lo dice bene la parte introduttiva che ha certi pianissimo simili a piccole parentesi di intimità e sembra procedere vagando - ora per brevi accelerazioni, ora per impercettibili rallentamenti - quasi il compositore fosse alla ricerca di un filo interiore che poi si dipana nella più compiuta e luminosa intensità del tema.  
Qui, la melodia si sviluppa prima con una sequenza di semplici, delicatissime note, sgranate una ad una, simili a fiocchi di neve che scendono lenti e leggeri o a trasparenti gocce d'acqua. Poi, sale in un crescendo sempre più acceso e appassionato, segnato da una ricca distesa di arpeggi che, infine, vanno smorzandosi lentamente.

Un brano piuttosto breve, ma dietro la sua apparente semplicità si cela una grande capacità di far riecheggiare ogni singola nota, ogni minima scansione ritmica, la densità di ogni pausa. Nello splendore dell'esecuzione è infatti il suono a prenderci col suo particolare riverbero, col suo timbro più velato o più nitido, ora intimo, ora brillante, nelle lievi accelerazioni della melodia come pure nei passaggi in cui essa si stempera quasi vellutata.

"Room 108": un ricordo che si dipana piano, una silenziosa meditazione che si fa musica, mentre il compositore guarda da una finestra il paesaggio sottostante e lo abbraccia col suo cuore colmo di note.

Buon ascolto!

martedì 5 luglio 2016

I fantasiosi universi di Escher

"Relatività"
Si è aperta il 24 giugno scorso a Milano, a Palazzo Reale, una mostra dedicata all'olandese Maurits Cornelis Escher (1878 - 1972), artista che mi ha sempre affascinato per la singolarità delle sue composizioni.
Confesso che non sono ancora andata a visitarla, ma l'evento mi ha sollecitato e riprendere in esame alcune delle opere più famose dell'artista e a proporvele qui, anche se si tratta di cenni certo non esaustivi rispetto a quanto si potrebbe dire.
La produzione di Escher nel campo della grafica comprende infatti un gran numero di litografie, incisioni e disegni, e costituisce un'interessantissima esplorazione delle infinite possibilità che la fantasia ci offre, oltre che un felice connubio tra arte e matematica.

Se - come lo stesso Escher affermava - il disegno è illusione, allora attraverso di esso diventa possibile raffigurare mondi dove è consentito mescolare volumi e superfici, dove anche le leggi della fisica possono essere superate e la realtà viene osservata da angolature nuove.  
"Giorno e notte"
Nelle sue composizioni, a predominare è un movimento senza fine, una sorta di moto perpetuo che scorre attraverso geometrie impossibili, su e giù per scale che sfidano la forza di gravità, tra architetture costruite sulla base di improbabili prospettive.  
Ma non mancano opere caratterizzate da una fissità allucinata e inquietante, e altre segnate da uno studiatissimo decorativismo costruito sulla base di regole matematiche.

"Circle Limit I"
Le sue creazioni ci presentano forme in continua metamorfosi: geometrie che si fondono, linee rette che s'incurvano, si ondulano, danzano, quadrati che diventano uccelli, o si mutano in paesaggi e città, case e campi, ponti e mulini a vento. Un gioco fantasioso in cui oggetti concreti che abitano fuori di noi vengono - per così dire - connessi tra loro dall'artista che, con la propria inventiva, ne ricava universi misteriosi e stranianti.
E l'uso frequente della ripetizione, se da un lato ricorda i concetti matematici di infinito e di limite, dall'altro si apre invece alla fantasia lasciando spazio a una ricchezza di figurazioni immaginarie capaci di coinvolgerci e destare stupore.

"Vincolo d'unione"
A volte, tuttavia, le sue creazioni fanno respirare un'atmosfera onirica simile a quella di certi sogni in cui non si arriva mai alla meta e ci si perde in un dedalo di scale o in uno spazio labirintico. 
E insieme agli aspetti più inverosimili e bizzarri, alcune immagini hanno un che d'inquietante, a cominciare dai due visi rappresentati in "Vincolo d'unione", scomposti e sezionati come bucce, nei quali si può cogliere una fissità allucinata e surreale. Più che ciò che lega le due teste, infatti, si coglie ciò che manca, il vuoto che le penetra rendendole inconsistenti.

"Convesso e concavo"
Nell'insieme delle composizioni, mi pare che in Escher si possa leggere il senso di una realtà multiforme ma sostanzialmente incomprensibile, all'interno della quale l'uomo si muove come sperduto e solo. 
Basta osservare le piccole figure che - nel gioco di alternanze tra vuoti e pieni - scorgiamo qua e là nell'opera intitolata "Concavo e convesso"; o quelle che troviamo in "Relatività", isolate in mondi prospettici diversi e contrapposti. Si tratta quasi sempre di figure dritte e rigide, assimilabili a dei manichini e l'inquietudine che esse suscitano a mio avviso è accresciuta dalla suggestione del bianco e nero.
"Mani che disegnano"
Un artista dall'ispirazione multiforme, Escher, capace di prenderci con la sua bizzarria simile a un gioco, ma anche con una grande ricchezza di riferimenti culturali al passato
Vi sono infatti decorazioni all'interno delle quali possiamo ravvisare l'influsso dell'arte moresca che Escher aveva ammirato a Granada visitando l'Alhambra.
Ma da certe sue composizioni emergono anche riferimenti ad alcuni aspetti illusionistici del Barocco - e a mio avviso può esserne un esempio "Mani che disegnano" - insieme a citazioni della pittura fiamminga e del Manierismo italiano.
"Mano con sfera riflettente"
Davanti a "Mano con sfera riflettente" - dove tra l'altro artista ha raffigurato se stesso - vengono infatti in mente alcuni precedenti famosi: da un lato il particolare dello specchio che fa da sfondo al "Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Van Eyck, e dall'altro il dipinto del Parmiginino "Autoritratto entro uno specchio convesso".

E mi fermo qui con questi cenni per passare alla musica, associando alle immagini di Escher le note del suo contemporaneo Igor Stravinskij (1882 - 1971).  
E' la "Danza russa" tratta dal balletto "Petrouchka" il brano che vi propongo, del quale - invece della versione orchestrale - ho riportato la trascrizione per pianoforte. Mi pare infatti che renda con maggiore efficacia l'andamento acceso e vivace del pezzo. 
La pagina è vigorosa, brillante, movimentata, basata su sequenze parallele di accordi dal ritmo sempre uguale e soprattutto martellante.
E la ripetizione continua, quasi parossistica degli stessi temi musicali coniugati in diversi modi, ci offre un saggio dell'inventiva del compositore, fantasiosa e originale al pari delle creazioni grafiche di Escher.

Buon ascolto!