sabato 28 maggio 2016

Quando estro ed armonia s'incontrano.....

Quando sentiamo che una musica è incanto e solennità, fioritura e leggerezza, vivacità e fuoco, nostalgia e sogno....allora è la volta in cui stiamo ascoltando un brano di Vivaldi.
Tutti conosciamo la straordinaria ricchezza e varietà della sua ispirazione musicale che - oltre a composizioni celeberrime come "Le quattro stagioni" e il "Gloria" - ci ha regalato svariate opere sacre e profane, sonate e un numero elevatissimo di concerti per diversi strumenti. 
Una musica straordinariamente innovatrice la sua, nell'ambito della scuola barocca italiana, tanto che parecchie composizioni sono state oggetto di trascrizione da parte di alcuni musicisti suoi contemporanei. 

Nella molteplicità delle sue opere, oggi ho scelto il secondo movimento, "Larghetto", dal "Concerto n.9 in Re maggiore per violino, archi e basso continuo RV 230" tratto da "L'estro armonico".  
Raramente ho ascoltato un pezzo di così ricca e delicata suggestione e mi piace pensare che Bach - che l'ha trascritto per clavicembalo insieme ad altri concerti della stessa raccolta - sia stato spinto a farlo non solo per la novità della forma, ma anche per lo splendore della melodia.

All'introduzione iniziale decisamente solenne nella sua successione di accordi ripetuti, segue il tema per violino solo che inanella una fioritura dolcissima di note ora soffuse di vaga malinconia, ora più luminose, ma sempre in un clima meditativo di grande intimità. Quello che ci accompagna è un ritmo lento - oserei dire un passo - calmo come un respiro sul quale si dipana la melodia. 
E ci conduce in un'atmosfera da sogno che mi ricorda la quiete palpitante del cielo, in una notte di primavera.

Nonostante a predominare sia la parte solistica, livello armonico e livello melodico si fondono con nitido equilibrio: da una parte infatti l'orchestra d'archi scandisce gli accordi dell'accompagnamento, mentre dall'altra il violino solo si esprime attraverso un fraseggio ricco di fioriture e di abbellimenti.
E questa fusione perfetta che si avverte tra le due dimensioni del testo musicale si ritrova, in un certo qual modo, anche nel titolo della raccolta: "L'estro armonico".
Si tratta di un titolo piuttosto singolare perchè, in realtà, i due termini sono contrastanti. Infatti, se il sostantivo estro ci riconduce a un che di libero e fantasioso, qualcosa che ha a che fare con l'originalità o la genialità di una persona e ancor più di un artista, l'aggettivo armonico ci riporta alla nozione di armonia che - in campo musicale - è un complesso di regole ben precise fissate in ordine alla composizione.
Ma proprio nell'accostamento di tali aspetti opposti in una sorta di ossimoro, l'espressione può far pensare ad un procedere comune di tecnica e arte: la prima che dà forma alla seconda e questa che la anima di vita nuova. O più ancora, vi si può leggere la volontà di impadronirsi della tecnica per poi andare al di là di essa e liberare il cuore.

Ma non è l'unica raccolta vivaldiana a presentare tali caratteri quasi programmatici. Altre due s'intitolano infatti "Il cimento dell'armonia e dell'invenzione" e "La stravaganza".
La prima - della quale tra l'altro fanno parte "Le quattro stagioni" - ci riporta ancora al contrasto tra regola e fantasia, tra la componente oggettiva della norma e l'irrompere in essa della soggettività. La seconda richiama un elemento di bizzarria o di trasgressione com' è l'allontanarsi da una via stabilita e, musicalmente parlando, consiste nel ricorrere da parte di Vivaldi a modulazioni e intervalli melodici inconsueti per la sua epoca.

Ma dicevo prima che la composizione da cui è tratto il brano di oggi è stata trascritta da Bach. Ne è nato infatti il "Concerto n.1 in Re maggiore per clavicembalo BWV 972".
Allora, per mia e vostra gioia, ho riportato qui di seguito ben tre clip video del "Larghetto": la prima con la versione originale di Vivaldi; la seconda con la trascrizione bachiana; e la terza - troppo bella....non potevo non pubblicarla! - con l'esecuzione del pezzo di Bach al pianoforte invece che al clavicembalo.
E due ultime osservazioni. 
Innanzitutto, mi piace sottolineare lo splendore della trasposizione bachiana - di cui avete un piccolo saggio nella clip video - che traduce la polifonia dell'orchestra nelle voci di un solo strumento ricavandone una mirabile corrispondente armonia.
Ma in secondo luogo, mi cattura il fascino intenso che acquista tale trascrizione quando - invece che al clavicembalo - è eseguita al pianoforte, in particolare nell' interpretazione di Boris Bloch che trovate qui. Ne deriva un brano di assoluto splendore in cui - mentre riecheggia un'eco del famoso "Preludio n.1 in Do maggiore" che apre il "Clavicembalo ben temperato" - ritroviamo delicatezza, intimità, sogno e una morbidezza infinita.

Da Vivaldi a Bach quindi: autori diversi e strumenti diversi per coniugare estro e armonia insieme all'inesauribile ricchezza del loro genio musicale!

Buon ascolto!

venerdì 20 maggio 2016

Un Bach rivisitato

V. Galloppi (1849 - 1942) : "Angeli musicanti".
Nelle mie peregrinazioni nel mondo della musica, mi piace ogni tanto ascoltare alcuni arrangiamenti di brani del passato
Le loro rivisitazioni m'incuriosiscono sempre suscitando il mio interesse soprattutto nei casi in cui la struttura del pezzo non viene stravolta, ma l'interprete esalta gli aspetti già propri del testo musicale - ritmo, colore, cantabilità e via dicendo - che in tal modo ci offre suggestioni nuove. 
Sono parecchie le composizioni dell'Ottocento riadattate in versioni più moderne, ma se torniamo indietro fino al periodo barocco, scopriamo che anche lì - e forse in misura maggiore - molti musicisti sono stati oggetto di questo tipo di rivisitazione. Basti pensare, in primis, a Bach, felicemente saccheggiato anche dal rock.

Ma al di là dei veri e propri arrangiamenti in chiave contemporanea, talora è sufficiente cambiare orchestrazione o strumento solista per ottenere un brano dal fascino e dall'atmosfera differente dall'originale.
La storia della musica conta innumerevoli composizioni scritte, per esempio, per pianoforte e poi trascritte per violino o per flauto; o nate per violoncello e poi eseguite al pianoforte; o brani per strumento solista successivamente orchestrati. Sono adattamenti spesso affascinanti perchè ci offrono sonorità nuove svelando insieme dimensioni nascoste del testo.

Il discorso si fa poi particolarmente interessante se si pensa che - nel corso del tempo - tanti strumenti musicali sono cambiati o sono stati oggetto di modifiche. Di conseguenza, anche quando la struttura dei pezzi resta identica, mutano sonorità e timbri che si fanno più dolci o più acuti o profondi secondo lo strumento usato.
Parlando di rivisitazioni della musica del passato, oggi si possono ravvisare due tendenze opposte. Da un lato, sono nati numerosi ensembles che, occupandosi in particolare di musica barocca, tendono a recuperarne una lettura filologica ripristinando tra l'altro l'uso di strumenti antichi. Per citare un gruppo tra i più prestigiosi, l'Accademia bizantina diretta da Ottavio Dantone.
Ma dall'altro, esiste anche la tendenza contraria che ha visto svariati compositori del Novecento prendere le partiture di musicisti del passato - scritte originariamente per archi o per strumento solista come clavicembalo, organo, violino, liuto - e adattarle alle sonorità di una moderna e completa orchestra sinfonica.

Tra questi ultimi, troviamo Arnold Schoenberg (1874 - 1951) che nel 1922 ha arrangiato alcuni pezzi di Bach (1685 - 1750). 
Nella ricerca di una nuova teoria della composizione basata non più su sette, ma su dodici suoni, il musicista austriaco ha infatti trovato nella struttura delle opere di Bach alcune applicazioni del principio di imitazione che costituisce la base della tecnica che ha dato origine alla dodecafonia. 
Questo ci testimonia ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la modernità del genio bachiano e insieme la versatilità della sua ispirazione.

Sono in particolare alcuni Preludi per organo i brani che Schoenberg ha orchestrato. Confesso che del "Preludio e fuga in Mi bemolle maggiore BWV 552" - un assoluto monumento di bellezza che ho intenzione di pubblicare in futuro - preferisco di gran lunga la versione bachiana.
Ma dagli altri brani l'arrangiamento, a mio modesto avviso, fa emergere dimensioni di straordinario fascino e solennità.
Vi propongo qui quello del Preludio corale "Schmücke dich, o liebe Seele" BWV 654, seguito dall'esecuzione originale all'organo in modo che ne emerga il confronto. 
Per quanto un organo da chiesa, con la molteplicità dei suoi registri, possa in taluni casi essere assimilato ad un'orchestra, in realtà in questo brano la sua voce resta quella di uno strumento solista affascinante, ma pacato e severoin sintonia con l'idea di rigorosa profondità che in genere abbiamo della musica di Bach.
L'arrangiamento di Schoenberg invece - pur lasciando intatti il tema del preludio insieme alla quieta malinconia del suo andamento ritmico - tra la base orchestrale e gli strumenti che disegnano la melodia, costruisce un dialogo tale da far affiorare una lussureggiante varietà di timbri e di colori. 
Ne deriva una musica che esprime forse più la penombra che la luce nitida, ne affiora un Bach sempre profondissimo ma dai contorni sfumati, sia nei passaggi più intimi che in quelli solenni e maestosi, talora di una grandiosità quasi ridondante.
Ed è la sensibilità di Schoenberg a cogliere qui, ancora una volta, l'inesauribile ricchezza del genio bachiano.

Buon ascolto!

giovedì 12 maggio 2016

Somiglianze

Ricordate il brano del compositore spagnolo Francisco Tarrega che ho pubblicato qualche settimana fa, al ritorno dal mio viaggio in Andalusia??? 
Era un pezzo arpeggiato e melodioso, ricco di un incanto mediterraneo che la chitarra sottolineava in modo particolare. Di conseguenza, il suo fascino mi ha sollecitato a cercare altre composizioni dello stesso autore, per approfondirne la conoscenza.

Così, oggi propongo al vostro ascolto un secondo brano nel quale è sempre la chitarra ad ammaliarci col suo timbro. Si tratta della mazurka "Sueno" nella quale Tarrega, attraverso il ritmo e sfumature di colore ben studiate, ci regala una composizione delicata e sognante, armonica e melodiosa.

Ma non è questo il solo motivo per cui desidero condividerla. 
Il fatto è che il tema mi ha richiamato subito un'altra aria simile, sentita chissà quando....allora, sono andata a rovistare negli angoli della memoria. 
Devo confessare che, col tempo, la mia memoria si è un po' impolverata e somiglia sempre più ad una soffitta dove bauli, robe vecchie e ricordi - diventando inevitabilmente più numerosi - si sono affastellati con un certo disordine, anzi tanto disordine!
Stavolta, tuttavia, non c'è stato bisogno che mi facessi venire il tormentone nel tentativo di ricordare, perché il titolo dell'aria che mi girava in testa è arrivato quasi al primo colpo. Si tratta della "Mazurka" dal primo atto del balletto "Coppélia" del compositore francese Léo Délibes  (1836 - 1891). 
Di mazurka in mazurka, quindi!

Poi però sono stata colta da un dubbio: ma la somiglianza che sento io, c' è davvero o è un effetto distorto dei miei neuroni che hanno già allegramente festeggiato tante primavere?...
Allora, per fugare le incertezze, ho adottato una soluzione alla quale ricorro da qualche tempo. Se non sono sicura che un pezzo ne richiami un altro e temo sia solo una mia impressione, faccio - diciamo così - testare la somiglianza da mio marito.
Anche lui ama la musica, ma in modo più equilibrato e meno maniacale della sottoscritta, ragion per cui, quando gli pongo i miei quesiti in modo imperativo come fosse questione di vita o di morte, subito si spazientisce un po', però poi risponde.
La scena si svolge di consueto intorno alle due del pomeriggio ogni volta che, invece di fare la pennica davanti alla tv, mi ritiro in mansarda ad ascoltare musica. Quando, poco dopo, lui sale per rivestirsi dei panni da ciclista per la sua quotidiana scorribanda in bici, mi trova già in agguato e prima di uscire deve passare sotto il torchio delle mie richieste.  
In certi momenti, desidero solo condividere con lui la bellezza di una melodìa, ma altre volte quelli che gli pongo sono veri e propri quiz: che autore è questo? cosa ti ricorda quest'altro? e così via. 
Il malcapitato le tenta tutte per sfuggirmi ma poi, messo perentoriamente alle strette, quasi sempre sta al gioco e devo ammettere che in genere è bravo nel riconoscere autori e brani, motivo per cui ogni tanto lo uso per testare le mie ipotesi.

Questa volta, a caccia di somiglianze tra Tarrega e Délibes, è rimasto in silenzio con un'espressione dubbiosa; poi ha decretato che la somiglianza me la sono sognata io e i due brani sono del tutto diversi!!!
In effetti - devo riconoscerlo - le differenze sono parecchie, a cominciare dal clima complessivo, dalla strumentazione, dal ritmo e via dicendo
In Tarrega, un solo strumento inanella una melodia dolcemente melodiosa, soffusa di malinconico romanticismo. In Délibes invece, dopo la parte introduttiva, troviamo una scintillante danza dalle sonorità fragorose, in taluni passaggi ricca di ritmo e leggerezza, mentre in altri persino rumorosa.  
E naturalmente, l'effetto su chi ascolta è differente: con Tarrega ci si incanta a sognare, con Délibes decisamente danziamo!!!

E allora??? 
Allora per farla breve, siccome dei miei neuroni superstiti sono rimasti guarda caso i più testardi, io persisto nel dire che la somiglianza c'è comunque, almeno nei cardini del tema d'inizio che, spogliato dei vari abbellimenti, è costruito in entrambi i brani sulla stessa frase musicale. 
Così, nonostante il parere del coniuge, ho deciso di postare ugualmente anche la "Mazurka" di Dèlibes e vediamo da che parte state.

Cosa???.....Ah, volete sapere a quale pezzo va la nostra preferenza.
Io sono decisamente per Délibes che trovo di una vivacità entusiasmante e leggera, mio marito invece - ci avrei scommesso - è tutto per Tarrega.  
Ma a volte gli uomini, dietro le apparenze, sono degli inguaribili romantici!  

Buon ascolto!