martedì 26 aprile 2016

Stonati???...

Leggo sul Corriere della Sera del 17 aprile scorso un interessante articolo di Elisabetta Andreis intitolato "Altro che stecche, il Coro degli stonati è un successo".
Vi si parla della fortuna di un esperimento musicale - avviato a Milano presso la sede della prestigiosa "Orchestra Verdi" - che ha suscitato ampi consensi e di recente ha visto addirittura raddoppiare gli iscritti.

L'argomento mi prende subito.  
Lo dico francamente: ho la fortuna di non essere stonata, ma ho sempre apprezzato le varie iniziative volte a condurre chi invece lo è - o crede di esserlo - verso il piacere del canto. Si tratta di percorsi talora non facili che esigono molta perseveranza, e tuttavia capaci di regalare ai coristi grande entusiasmo in quanto il contatto con la musica è sempre rigenerante.

Ma esistono davvero persone irrimediabilmente prive di orecchio musicale
Gli esperti dicono che sono rare eccezioni perché - in realtà - la maggioranza di coloro che si credono stonati ha solo bisogno di vincere quella timidezza che impedisce di mettersi alla prova. Occorre poi una certa dose di autostima, ma è importante anche l'incoraggiamento degli altri e - da questo punto di vista - la possibilità di imparare in gruppo affrontando insieme le difficoltà costituisce senza dubbio un vantaggio

L'esperienza di cui parla l'articolo nasce nel 2011 da un'idea di Luigi Corbani, direttore della Fondazione Verdi, mentre a gestire il Coro degli stonati è Maria Teresa Tramontin, mezzosoprano e maestra di coro, che attualmente educa al canto duecento persone. Si tratta di un gruppo eterogeneo per tanti aspetti e soprattutto per età: universitari, professionisti, pensionati - la più anziana ha ottantasei anni - ma tutti accomunati dal medesimo entusiasmo.
Far cantare gli stonati, dunque
Detta così, la frase mi suona un po' come un'opera di misericordia, e in effetti lo è perchè si tratta di un compito di altissimo valore. Infatti, oltre ad aprire alla bellezza del mondo delle note chi pensava di esserne escluso, educare la voce permette di entrare nella musica e fondersi direttamente con essa senza la mediazione di uno strumento esterno.
È proprio la Tremontin ad affermare che il canto "tira fuori l'anima" e ciò spiega la gioia che caratterizza i partecipanti a questa esperienza.  
L'articolo riporta infatti svariate testimonianze dalle quali affiora profonda soddisfazione per il raggiungimento di un traguardo che si credeva impensabile e la vittoria su giudizi e pregiudizi. Ma emerge anche la funzione terapeutica della musica, ancora una volta potente e positivo catalizzatore capace di scovare in noi risorse nascoste e di autarci a recuperare fiducia.  
Due commenti su tutti:

"A volte arrivo al coro di pessimo umore ed esco cantando per tutta la strada di ritorno sulla mia vespa, incurante dei giudizi....È meglio di uno strizzacervelli"
E ancora: 
"All'uscita dal corso siamo così felici che pensiamo ogni volta di fare un flash mob sul tram della linea 3."

Davvero bello questo entusiasmo che la musica regala, sollecitando la comunicativa e - mi si passi la ripetizione - la gioia di condividere la gioia! 
E, come per ogni altro lavoro, le cose prendono a funzionare meglio proprio quando l'impegno, la perseveranza e la fatica lasciano spazio al piacere insieme ad una contagiosa allegria.

Desidero allora concludere questo post con un brano ricco di vivacità e non poteva essere altro che un Divertimento.
Si tratta del finale, "Rondò - Allegro", dal "Divertimento n.17 in Re maggiore K.334" di Mozart.
Brioso e ricco di straordinaria inventiva, dolce e sereno anche nei passaggi in tonalità minore, il pezzo ha un che di danzante e giocoso, quasi il compositore ci prendesse per mano invitandoci a seguire l'onda delle note senza alcuna preoccupazione al mondo, certi che ne riceveremo sorriso e leggerezza.  
E il dialogo contrappuntato tra i vari strumenti esprime, con garbo inimitabile, una spensieratezza simile a quella che pervade chi finalmente riesce a cantare con la giusta intonazione e a gioire della musica - ma anche di se stesso - in semplicità. 

Buon ascolto!!!
 

lunedì 18 aprile 2016

Appartenenze

Ho finito di leggere da qualche tempo il libro pubblicato lo scorso ottobre dall'amico blogger Bruno Pernice (http://psicoverona.blogspot.it/), intitolato "Apri - Il piacere e il potere della condivisione".  
E' un testo corposo e ricco di argomenti nel quale l'autore riversa la propria esperienza di psicoterapeuta, corredandola di numerosi esempi.
Non un trattato di psicologia, nemmeno un nudo elenco di casi clinici, ma un lavoro che fonde vissuto personale, competenze acquisite e considerazioni maturate nella pratica professionale, consentendo al lettore di entrare - proprio come recita il sottotitolo - in un ambito di condivisione.

Quello che si stabilisce tra psicologo e lettore è una sorta di dialogo che - prima ancora di essere intervento terapeutico - è relazione umana nella quale acquistano valore cose grandi ma anche piccole, domande esistenziali insieme a ricordi di quotidianità spicciola, ma non per questo meno importanti 
E' un mettersi in gioco da parte di chi scrive attraverso il racconto di esperienze molto concrete, col risultato di sollecitare in chi legge la volontà di riflettere soprattutto sulla propria autenticità. "Apri" è infatti l'invito che l'autore ribadisce più volte perchè ciascuno dia voce alla propria anima, liberando il cuore dalle gabbie in cui talora è imprigionato, per poter arrivare a quello degli altri.

Tuttavia, a mio modesto avviso, non è un testo facile: non perchè sia pesante od ostico nel linguaggio, anzi, da questo punto di vista la scrittura scorre via piacevole, accattivante e non priva di qualche tocco d'ironia.  
Ma - e qui l'autore ha fatto pienamente centro! - il contenuto interroga, parla chiaro, arriva al sodo senza fare sconti smascherando la verità che talora si cela dietro le apparenze di certi rapporti umani, e non lo si può leggere senza sentirsi coinvolti in un lavoro di introspezione talora piuttosto impegnativo.
Bisogna aggiungere però che il libro è suddiviso in capitoletti tutto sommato indipendenti l'uno dall'altro, ragion per cui lo si può prendere - diciamo così - a piccole dosi o addirittura aprire a caso, sicuri di trovare argomenti ben delineati e conclusi.

E' quello che ho fatto anch'io, giorni fa, ritrovando per l'ennesima volta - a pag. 171 - il capitolo intitolato "Ti appartengo".  
L'autore vi affronta sotto svariate angolature il discorso sul senso di appartenenza, quel magma di emozioni che ci fa "sentire a casa" con determinate persone, in un certo ambiente o gruppo, ma che può risvegliarsi anche attraverso immagini, profumi, sapori capaci di ricondurci a un particolare vissuto di felicità.  
Vi sono riportate esperienze ampie insieme a piccoli ma non trascurabili dettagli, come i ricordi dello stesso autore per il quale il filo delle appartenenze, sempre carico di affetti, passa anche attraverso la frittata con le patate della nonna e la mitica caponata siciliana.
Il testo poi suggerisce alcune domande sull'argomento e anch'io mi sono messa alla prova. Così - oltre alle tante persone che mi hanno segnato e che porto nel cuore - riflettendo più a fondo, ancora una volta ho scoperto di appartenere ai luoghi.

Capita a tutti di avere con essi un rapporto che li fa profondamente nostri tanto che talora ci parlano e in essi riusciamo a rileggerci.
Per questo, sento di appartenere alla mia città di origine che mi fa respirare a pieni polmoni ogni volta che vi ritorno: dal viale alberato che dalla stazione si apre verso i giardini, al silenzio quasi claustrale del cortile del mio liceo, alla pietra romanica delle chiese, fino a tanti angoli più appartati e disseminati di ricordi perchè sono i sassi che mi conoscono e in mezzo ai quali sono cresciuta.
Tuttavia, mi ritrovo anche nella dolcezza delle colline toscane della Val d'Orcia con le quali - in realtà - non ho avuto particolari legami e che pure sento misteriosamente mie, quasi vi fossi vissuta in un passato lontano. 
Luoghi legati forse a immagini viste da bambini quando - prima d'imparare a leggere - sui libri si guardavano le figure; paesaggi che alla fantasia infantile parevano fiabeschi, impressi nel cuore d'allora. E ritrovarli oggi sveglia sintonie che hanno radici antiche.

Ma appartengo anche al silenzio intatto del mio paesetto di montagna e insieme alla confusione tumultuosa della stazione centrale di Milano della quale ho parlato tempo fa proprio su questo blog. 
Sono tanti gli anni in cui - dai tempi dell'università ad oggi - mi sono trovata a passarci, ed entrare in essa significa ritrovare ogni volta squarci della mia vita ancora vivi di emozioni, come mi calassi in un ventre materno o fossi acqua nell'alveo del suo fiume di origine, come se il passato vivesse dentro il presente, registrato in una sorta di nastro magnetico che ci avvolge.

E poi certo.....c'è la musica, luogo dell'anima per eccellenza, che sa rivelare noi a noi stessi!
Allora oggi, proprio in sintonia con l'invito che Bruno Pernice rivolge al lettore attraverso il titolo del suo libro, ho scelto un brano che - appunto - apre e riempie il cuore in maniera straordinaria
Si tratta del famosissimo "Intermezzo" della "Cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni (1863 - 1945), un pezzo di freschezza cantabile nel quale il compositore è riuscito a riprodurre in note la luminosità del mattino di Pasqua in cui è ambientata la vicenda.
Dopo la delicatissima introduzione che ci conduce in un clima di struggente intimità, la melodia esordisce con una grande apertura orchestrale, come quando, dopo le prime luci del giorno, esplodono i raggi del sole.  
Ma se all'inizio il brano ci appare sostanzialmente descrittivo - sentite l'oboe che per due volte riproduce forse il canto di un uccello lontano? - poi parla direttamente all'anima.
E la musica si allarga e ancora si allarga a colmare il cuore, simile a un'onda sempre più ampia nella quale immergersi e a una piena di emozioni che trabocca....

Buon ascolto!

 

martedì 12 aprile 2016

Fascino di una chitarra andalusa

Attraversare vicoli e stradette tra case bianche e maioliche azzurre, entrare nella frescura di un patio ombreggiato da piante e fiori, mentre al centro l'acqua zampilla fresca da una fontanella e lasciarsi ammaliare dagli arpeggi dolci e sommessi di una chitarra.....
E' quello che è accaduto a me, in un meraviglioso angolo di Andalusia che ho avuto la gioia di visitare alcuni giorni fa.
A Siviglia, il Barrio de Santa Cruz, proprio vicino all'Alcazar, è uno dei luoghi più affascinanti della città per l'atmosfera mediterranea, la ricchissima vegetazione, i colori e l'inebriante profumo di fiori d'arancio che - soprattutto in questa stagione - avvolge ogni giardino.

Ma non è della città o delle altre meraviglie della regione andalusa che desidero parlare qui ora, ma proprio di quella melodia per chitarra che mi ha letteralmente affascinato. 
La suonava, seduto sotto gli archi di un patio, un giovane musicista di strada
Era un brano sommesso e sognante, capace di evocare un mondo lontano e incantato, una melodia vibrante e totalmente arpeggiata, ricca e delicatissima come un pizzo, un intarsio di decorazioni arabeggianti messe in musica.
Granada: Alhambra
Non potevo attraversare il giardino senza fermarmi a gustare il dono inaspettato di quelle note, nè passar via da turista frettolosa senza sapere chi fosse l'autore di quell'aria incantevole! Dunque, mi sono avvicinata e ho chiesto: il ragazzo, senza smettere di suonare, dopo un attimo di esitazione mi ha risposto solo un nome: "Tarrega".  
Me lo sono ripetuto per non dimenticarlo, cercando di conservare in cuore il fascino di quegli arpeggi e ripromettendomi  - appena possibile - di scaravoltare youtube alla ricerca del brano.
  
Ma non ho dovuto faticare molto, si tratta infatti di uno dei pezzi più famosi dello spagnolo Francisco Tarrega (1852 - 1909). 
Del resto, quando - dopo Siviglia - mi sono trovata di fronte allo splendore di Granada, avevo già intuito che quella meraviglia di merletto in musica non poteva essere se non "Recuerdos de la Alhambra", uno dei brani più affascinanti e conosciuti del compositore.
Granada: Alhambra
C'è un che di romantico e sognante in esso che riproduce i caratteri dello spirito mediterraneo, o meglio l'altra faccia dello spirito mediterraneo: non quella colorata e solare, esuberante e passionale che forse ci è più familiare, ma quella malinconica e contemplativa, più adatta ad evocare gli struggimenti del cuore insieme alle suggestioni di un mondo fiabesco e lontano.
Ce lo rivela la tonalità minore con cui il brano si apre e la dolcezza con cui poi si risolve serenamente in maggiore, in una fioritura più luminosa di arpeggi. Ce lo suggerisce il tono lento e struggente di quest'aria ricca di espressività, all'interno della quale possiamo immaginare antiche storie da Mille e una notte.
Granada: Alhambra
Belli i passaggi in cui la melodia sfuma rallentando leggermente e il tremolo si fa ora più vibrante, ora più sommesso, talora animato e fremente, altrove lieve e cantabile come una nenia
E mi ricorda anche il clima nostalgico e la delicatezza di certe canzoni napoletane - non per niente parlavo di spirito mediterraneo - che sanno creare la stessa atmosfera malinconica e contemplativa.

Un brano profondamente evocativo, capace davvero d'incantare il cuore; una melodia da far risuonare piano, come già l'avessimo dentro.

Buon ascolto!