venerdì 29 gennaio 2016

Sera di gennaio

Non ho l'abitudine di ascoltare la radio, neppure se mi trovo in casa da sola.
Certo, se qualche programma m'interessa in modo particolare, mi sintonizzo volentieri, ma intendo dire che non sono tra quelle persone che tengono la radio accesa come compagnia o sottofondo anche mentre si dedicano alle più svariate occupazioni. Se c'è della musica che mi piace, bene, ma in alternativa ad essa preferisco il silenzio.
  
Un tempo - quando ancora non si poteva contare su computer e ipod - per forza di cose ero un'ascoltatrice radiofonica più assidua. Spulciavo le programmazioni, in particolare quelle di Radio 3 e lì, nelle diverse rubriche, trovavo un'offerta musicale ampia e variata
Ricordo che d'estate, in montagna, portavo la mia piccola transistor anche nello zaino per non perdermi un concerto e dare alla magnificenza del paesaggio una colonna sonora altrettanto splendida.
Poi, con l'avvento dei lettori portatili, la mia transistor è andata in pensione. Così, invece di affidarmi alla radio, ho preso l'abitudine - come tanti altri, penso - di selezionare accuratamente i miei brani preferiti e caricarli sui vari dispositivi per averli con me ovunque.
Che gioia - le prime volte - poter viaggiare sull'onda di concerti e sinfonie osservando, dietro un finestrino, il panorama illuminato da quelle melodie che, di momento in momento, davano nuova suggestione alla campagna o al paesaggio metropolitano!
Ma anche in casa ormai, oltre ai cd, tutti possiamo sentir musica su youtube o usufruire di canali televisivi come, per esempio, Rai 5 che offre quotidianamente un'ampia gamma di concerti.
Tuttavia, anche se il mio ascolto radiofonico si è fatto più sporadico, resto ancora affezionata a Radio 3, anche perchè il computer mi permette di recuperarne trasmissioni vecchie o andate in onda - come spesso succede - in orari antelucani.

E venendo al brano di oggi e al suo compositore nuovo per il mio blog, devo il merito di questa new entry proprio a Radio 3 che me ne ha offerto lo spunto con la piacevolissima rubrica "Qui comincia", condotta con maestria e sicura competenza da Arturo Stàlteri. 
E' stato ascoltandone giorni fa una puntata che ho scoperto il pezzo che trovate qui: il "Notturno per archi" di Arnold Schoenberg (1874 - 1951)
Si tratta di una splendida sorpresa per me che pensavo di non riuscire a familiarizzarmi con certi autori. In realtà, non è lo Schoenberg dodecafonico questo che vi presento: il brano infatti - scritto dal compositore a soli ventidue anni e quindi prima delle innovazioni di cui sarà promotore - si muove ancora nel solco del sistema tonale
Il Notturno, benchè ricco di suggestione, a mio avviso non concede subito tutto il suo splendore, ma ce lo regala gradatamente. La parte iniziale, pacata e un po' malinconica, non colpisce infatti in modo particolare. 
Ma quando poi è il violino a diventare protagonista emergendo dalla compagine orchestrale tra gli archi e l'arpa, il brano si apre ad una melodia dai contorni sfumati che si carica d'intensità e va facendosi dolcemente più serena e luminosa. Ascoltarla è immergersi allora in un clima tardoromantico che a tratti può ricordare Brahms, un'atmosfera sognante e ricca di fascino da cui si resta progressivamente ammaliati.

E mi fa pensare a certe incantevoli sere di gennaio come quelle di questi ultimi giorni quando, ormai diradate le nebbie, l'orizzonte brulica di luci e il sereno ci consente di osservare l'ultimo chiarore del tramonto nel cielo che va facendosi blu cobalto. Sere in cui, nonostante si sia nel cuore dell'inverno, l'aria ha una nuova, carezzevole morbidezza e insieme ci porta intenso il profumo del calicanthus: quasi un presagio di primavera simile alla dolcezza di questo Notturno che sembra preannunziare la luce dell'alba.

Buon ascolto!!!

giovedì 21 gennaio 2016

Provviste per l'inverno

Nei miei viaggi ormai frequenti a spasso sul web, nei giorni scorsi, nel sito intitolato "Valle d'Aosta oltre le immagini, le emozioni", mi sono imbattuta in questa foto che mi ha subito affascinato.
Ma di là della sua bellezza, mi ha fatto pensare anche alla saggia previdenza con la quale chi abita in montagna sa fronteggiare lunghi inverni e talora temperature polari come quelle di questi ultimi giorni. Se infatti i mesi di caldo estivo ai quali noi turisti di pianura tentiamo di sfuggire, per i valligiani sono - al contrario - una benedizione, la lunga stagione del freddo, anche per chi vi è abituato, resta comunque un periodo duro al quale occorre sempre prepararsi con cura.

D'estate, in giro per il mio paesetto di montagna, mi capita spesso di notare, riparate sotto balconi o tettoie, piccole cataste di legna. Ogni baita fino al più sperduto casolare ha, ben riposta e ordinata, la sua provvista per l'inverno, senza contare che - anche nella bella stagione - dopo una giornata di maltempo può accadere che a sera sia necessario accendere il fuoco.  
Mi piace vedere quei tronchi allineati o talora già divisi in ceppi della stessa misura, e nella mia fantasia mi figuro la fiamma che andranno a fare - scintillante o variegata di ombre, movimentata o sommessa - insieme al calore che essa saprà diffondere. 

Certo è solo un piccolo esempio, ma proprio questa saggia concretezza dei valligiani m'induce a pensare alla necessità di avere provviste non solo per gli aspetti materiali della vita, ma anche per altro. Occorrono infatti riserve per i periodi bui, le giornate che stentano a ingranare, i momenti in cui l'inverno lo sentiamo dentro e per ogni circostanza in cui sia indispensabile stanare da se stessi le risorse giuste, la legna asciutta per accendere un bel fuoco.
Ciascuno, a questo proposito, ha riferimenti tutti suoi a cui andare: un libro, una preghiera, una corsa in mezzo alla natura, la vicinanza di persone amiche o al contrario la solitudine, ma certamente anche la musica col suo potere rigenerante capace di far rifiorire persino un deserto. 
  
E appunto in relazione alla musica, trovo che una delle risorse più efficaci nei momenti di crisi sia tornare a quel complesso di preludi e fughe, vero monumento di arte bachiana, che è "Il clavicembalo ben temperato".
Sappiamo bene quanto le composizioni di Bach possano accendere fuochi inestinguibili e passioni indomabili. Più volte, abbiamo anche osservato che il suo genio - nella molteplice e articolata varietà delle sue creazioni - si dispiega con la stessa magnificenza sia in una grandiosa toccata per organo che in un esercizio didattico, nella complessità di una cantata così come in una breve invenzione
Per questo, le 48 coppie di preludi e fughe che - percorrendo tutte le tonalità maggiori e minori - formano i due libri della raccolta, costituiscono una fonte di ricchezza inesauribile simile a una provvista che nutre senza mai venir meno. Ascoltare tali composizioni - e per chi p, eseguirle - è infatti scandagliare un mare sconfinato, avventurandosi in profondità dalle quali affiorano, di tempo in tempo, suggestioni sempre nuove.

Da tale vastissima riserva, allora, oggi desidero condividere con voi il "Preludio e fuga n.6 in re minore BWV 875", tratto dal II libro dell'opera.
Normalmente, quando si pensa a un preludio, a un brano cioè che ha una funzione introduttiva, ci s'immagina un pezzo pacato e lento, magari ritmato, ma non particolarmente vivace. 
Al contrario, quando si parla di fuga, forse per la suggestione della parola stessa la nostra fantasia si figura subito un pezzo che si caratterizzi prima di tutto per velocità. Certo, in molti casi è proprio così, tuttavia non sempre. 
Talora, proprio in Bach, esistono preludi concitatissimi - vedi quello in Re maggiore BWV 850 o l'ancor più famoso in Do minore BWV 847 usato tra l'altro anche come base per la breakdance - e fughe che, invece, si dispiegano con lentezza e distensione, consentendoci di percepire distintamente l'ingresso delle varie voci nel progressivo comporsi della loro architettura.
Ed è anche il caso dei brani di oggi. Qui infatti, il preludio si apre e prosegue a ritmo decisamente veloce, energico e vigoroso nella vivace struttura contrappuntistica che la brava interprete fa risaltare sottolineando gli accenti alternativamente con la destra e sinistra. Un pezzo straordinariamente accattivante perchè - a mio avviso, più di tanti altri - rappresenta ciò che nel nostro immaginario è lo stile bachiano.
Ad esso fa poi seguito una fuga dall'andamento più tranquillo, quasi malinconico, una pagina della quale la pianista fa fiorire ogni segreta morbidezza e in cui la successione delle note nella scala cromatica sembra talora perdersi quasi non avesse una meta precisa. E mi ricorda, per questo aspetto, il "Preludio n.20 in la minore BWV 889" che presenta caratteristiche analoghe in modo ancora più marcato.
 
Per citare lo stesso Bach con le parole che troviamo sul manoscritto dell'opera, "Il clavicembalo ben temperato" è stato composto "....per utilità ed uso della gioven musicale avida di apprendere, ed anche per passatempo di coloro che in questo studio siano già provetti".
Ma in realtà la funzione di questi brani va ben oltre: non solo pezzi didattici, ma creazioni eterne cui ritornare di tempo in tempo come a preziose provviste di energia, punti di riferimento d'inesauribile ricchezza artistica che continuano a parlarci con straordinaria vitalità.

Buon ascolto!

giovedì 14 gennaio 2016

La concretezza di Snoopy

Bene, l'anno è iniziato, le feste sono finite, siamo al secondo post del mese ed ecco - questa volta - la mia fonte d'ispirazione: esattamente la vignetta che vedete a lato.

Un bel salto, vero??? 
Da Michelangelo a Snoopy....la cosa può forse destare qualche sconcerto!
Eppure, non avete idea di quale sorridente concretezza mi sappiano comunicare le strisce create - ormai sessantacinque anni fa - da Charles Schulz con i suoi "Peanuts": da Charlie Brown a Linus, da Sally a Lucy, senza dimenticare il mitico Schroeder col suo pianoforte.
Ma è in particolare Snoopy con la sua freschezza, le sue passioni surreali e l'affetto per il piccolo amico Woodstock, a regalarmi una visione della vita che - senza troppe parole - sa condurre a valori essenziali.

Riprende l'anno di lavoro, riprendono i ritmi della quotidianità e Snoopy - tra sogni e realismo, ironia e leggerezza - non solo ci comunica un'onda di sorriso, ma col suo sguardo sa andare al di là del disincanto per regalarci anche una sana attenzione al presente.
Certo, ha un'indole particolarmente fantasiosa e non priva di un pizzico di follìa - e guai se non l'avesse! - ma la sua visione della vita non è campata per aria: il nostro cagnetto ha i piedi per terra. 
Lo vedo e lo leggo in certe constatazioni d'inoppugnabile realismo o in tante altre battute che colgono sempre, garbatamente nel segno.  
Ma amo anche le svariate vignette nelle quali s'identifica nei personaggi dei suoi sogni o dove scrive il suo romanzo in cui la vita è disseminata di delusioni ma al tempo stesso di perseverante speranza.
I pensieri di Snoopy, infatti, sanno dar voce a certi moti dell'anima che, a volte - in un mondo che sembra andare sempre più a catafascio - non sappiamo più esternare, quasi ci si vergognasse di coltivare nel segreto una speranza che vada oltre ogni altra realistica ipotesi. 

Talora, viene forse più immediato identificarsi nei rovelli interiori e nelle insicurezze di Charlie Brown, o nella riflessione esistenziale che leggiamo nella vignetta in alto, sconsolata quanto incontestabile. 
Ma ad essa il piccolo Snoopy contrappone la propria visione positiva delle cose: la vita adesso, come dono, opportunità, ricchezza! E nella sua espressione che la vignetta non mostra, possiamo immaginare anche un guizzo di arguta vivacità! 
Il pensiero del cagnetto, infatti, non è solo una battuta, ma ci riconduce al presente e ci esorta a viverlo in pienezza, assaporando ciò che l'esistenza, giorno per giorno, può offrire: piccole, grandi cose che ci restituiscano leggerezza insieme alla gioia del fare quotidiano.

E termino con Mozart, per la sua trasparenza e insieme per la sua serenità pensosa.
Anche il brano che vi propongo - il primo movimento, "Allegro", della "Sonata per pianoforte in Re maggiore K.576" - è percorso da un'onda di sorriso.
Il tema iniziale presenta infatti un andamento saltellante e giocoso, sottolineato dal tocco della bravissima pianista che del pezzo sa regalarci un'interpretazione di straordinaria leggerezza, capace di farne affiorare tutto il fascino.
Si susseguono poi passaggi di luminosa vivacità ed altri dove si affaccia la tonalità minore con i suoi tratti più malinconici mentre - ancora una volta - il suono si fa mutevole nel cogliere ogni sfumatura del testo, soprattutto in certe alternanze di forte e piano di vero splendore.
E i richiami bachiani presenti nella struttura contrappuntistica del brano, pienamente assimilati da Mozart nel proprio stile, sono resi dalla pianista con energia e al tempo stesso con delicatissima morbidezza.

Buon ascolto!

 

mercoledì 6 gennaio 2016

Non finito

"Schiavo giovane", particolare
Può sembrare strano intitolare "Non finito" il primo post di un anno che - almeno nel calendario - apre e inaugura una nuova stagione di vita. 
L'espressione pare invece il segno di qualcosa d'interrotto e, per certi aspetti, è così. Ma non si tratta solo di questo.

Il fatto è che - come lo scorso anno - per iniziare sono tornata a Michelangelo e questa volta, scartabellando tra i miei libri, ho ritrovato l'immagine che vedete a lato e che mi è cara da quando, ancora adolescente, ho visitato per la prima volta la Galleria dell'Accademia a Firenze. 
Qui, insieme al "David", al "San Matteo" e alla "Pietà di Palestrina", sono conservati alcuni dei "Prigioni" che Michelangelo ha scolpito per la tomba di Papa Giulio II e, tra questi, ero rimasta colpita in particolare dal cosiddetto "Schiavo giovane" e dal suo sorriso appena accennato al quale proprio il non finito dona una levità straordinaria.

Al di là della perfezione formale e del livello di raffinatezza di tante sue sculture, prima fra tutte la "Pietà" di San Pietro in Vaticano, sono diverse le creazioni che Michelangelo ha lasciato allo stato di abbozzo o delle quali, dopo averne delineato la struttura, ha affidato al marmo grezzo l'espressività.
Pietà "Rondanini", particolare
Certo, occorre distinguere le opere non finite perchè frutto di una tecnica adottata volutamente, da quelle non terminate per varie circostanze esterne: problemi con i committenti, difficoltà a far fronte a un carico eccessivo di impegni e altre vicende dell'artista fino alla morte che lo ha colto quasi ottantanovenne, mentre ancora stava lavorando alla Pietà "Rondanini".

Ma tale incompiutezza può affondare le sue radici anche in un senso di progressiva, inesausta ricerca o - al contrario - nella consapevolezza del proprio limite o ancora nel passare del tempo che, inevitabilmente, muta la percezione delle cose e il modo di rappresentarle. 
Il discorso sarebbe lungo e non è questo il contesto per addentrarmi in una questione già trattata da altri con più sicura competenza. Tuttavia, che si tratti di motivi contingenti o di una precisa esigenza estetica, trovo che in ogni caso il non finito eserciti un fascino molteplice.

"San Matteo"
Talora, a soggiogarci è la tensione che esso esprime laddove la figura umana appena sbozzata nel marmo tenta con forza di liberarsene per essere, per nascere cioè all'esistenza con una sua identità e compiutezza. E' l'intuizione michelangiolesca del levare il soverchio poichè l'artista già vede, coglie e immagina nel blocco di marmo la forma che dovrà progressivamente liberare dalla materia e portare alla luce, lo spirito a cui dovrà dar vita.
Talaltra invece, quel grezzo spessore privo di levigatura ma variato dall'adozione di vari tipi di scalpello, fa spazio a una bellezza solo adombrata, ma ancor più affascinante perchè lasciata alla vibrazione di una sorta di sfumato scultoreo, a un intreccio di ombre e luci che non definiscono, ma rimandano a uno splendore più alto.
Una bellezza che tocca i vertici dell'espressività sia nella rappresentazione della lotta che dell'abbandono, con una drammaticità che questa tecnica accresce a dismisura offrendoci esiti di una modernità dirompente.
Pietà "Bandini", particolare
Il non finito infatti ci parla, sollecita a molteplici livelli la nostra immaginazione e dialoga con noi che siamo - per così dire - la prosecuzione e forse la conclusione dell'atto creativo dell'artista.

Allora, possiamo osservare lo "Schiavo giovane" intuendone il sorriso e contemplare il marmo michelangiolesco nel suo farsi - di volta in volta - pietà e dolore, angoscia e grido, lotta e tensione, ma anche infinita dolcezza. Possiamo guardare a quel chiaroscuro come ad uno spessore nel quale ritroviamo, scavato in profondità, un nodo essenziale di sentimenti.
Ma vi possiamo anche cogliere uno specchio dell'incompiutezza umana e di noi stessi, non finiti nella nostra incessante tensione di crescita e di conoscenza, di creatività e di relazione, non finiti nel cuore e desiderosi - al di là della fragilità e della morte - di un compimento che ci faccia essere a tutto tondo.

E a conclusione di questo post, un brano di Johannes Brahms (1833 - 1897): il quarto movimento della "Sinfonia n.4 in mi minore op.98".
Confesso che, mentre scrivevo, d'istinto avevo pensato a Beethoven che, per la sua energia e il suo titanismo, mi sembra ben accordarsi con un artista come Michelangelo. 
Tuttavia, le immagini postate che certo rappresentano tensione, ma anche dolcezza e alle quali il non finito conferisce una vibrazione indeterminata, mi hanno condotto a Brahms. Trovo infatti che la sua musica sappia fondere grandiosità ed energia con fremiti e sfumati orchestrali che ci portano lontano, verso quell'inquieto sgomento che prelude alla modernità.

Il brano, dopo un'introduzione di accordi vibranti e accesi, si dipana in una melodia dolente e appassionata che s'inanella - ora più affannosa, ora più lenta e solenne - in successive variazioni. E' il flauto, in particolare, a guidarci in un clima pacato e dolcissimo, malinconico ma non privo di qualche apertura luminosa. Nella seconda parte tuttavia e fino alla fine, la potenza orchestrale torna a farsi grandiosa ed energica, riproponendo il tema d'inizio con un impeto dirompente che mette i brividi. 
E mi sembra significativo ricordare che, proprio qui, Brahms si è ispirato alla "Cantata BWV 150" di Bach e in particolare alla Ciaccona conclusiva che - tra l'altro - si apre con queste parole: 
"Tutti i giorni che passano nella mestizia, Dio li compirà alfine in gaudio."

Splendide parole di apertura alla speranza, che mi piace citare come augurio per il nuovo anno. Ma il loro senso mi pare anche in sintonia col desiderio di compimento che possiamo leggere nel non finito michelangiolesco e insieme nel nostro cuore.

Buon ascolto!