sabato 31 dicembre 2016

Aironi d'inverno

(Foto di Zsolt Kudich presa dal web)
Ci sono immagini, ricordi, piccole esperienze o talora brevi flash che rimangono impressi nella nostra memoria e di tanto in tanto riaffiorano, magari quando la mente indugia in qualche momento di sospensione o vaga apparentemente senza pensieri.
E' come se da un substrato interiore, da una sorta di lussureggiante fondale marino, un fiore, una gemma, un piccolo segno di vita si staccasse e tornasse palpitando in superficie per riportare alla mente - e ancor prima al cuore - il calore di un ricordo.

Mi è accaduto qualche giorno fa - guarda caso ancora una volta dal treno - quando li ho visti volteggiare prima sulla campagna invernale e poi sul fiume.
Sto parlando degli aironi bianchi che da alcuni anni sono tornati a ripopolare la mia pianura e che non è raro, viaggiando, avvistare in mezzo ai campi, sugli argini o nei canneti vicino a un corso d'acqua. 
Desta sempre sorpresa vederli, nel loro incedere e nella loro sinuosa eleganza, perché della natura ci restituiscono quell'immagine di splendore incontaminato che portiamo in noi. E subito mi si è acceso dentro un ricordo di alcuni anni fa, all'alba di un altro mattino di dicembre.

Anche allora ero in treno e guardavo fuori dal finestrino il cielo violetto che via via andava schiarendosi sui campi gelati, mentre lasciavo che la suggestione del paesaggio e il freddo si fondessero col calore delle emozioni che avevo nel cuore. Ricordo che ero nello stato d'animo - per me piuttosto raro - di chi si sente in pace col mondo intero, pervasa da una gioia tranquilla, non tumultuosa, ma fatta sostanzialmente di silenzio interiore e serena disponibilità alla vita. E così lasciavo vagare i pensieri.

A un tratto, nella prima luce incerta, davanti a una cortina di alberi spogli erano comparsi gli aironi bianchi in volo basso sulla campagna gelata: quasi una veloce sequenza da film, mentre il treno proseguiva la sua corsa e io mi giravo per avvistarli fino all'ultimo. 
Una sorpresa, un dono inaspettato che non potevo gustare tenendolo per me sola: così avevo mandato subito un messaggio a un'amica per condividere quel piccolo, delicatissimo regalo. Nulla più.
Ma quegli aironi in volo sono poi rimasti nella mia memoria a fermare la gioia semplice di un mattino, immagine della Bellezza di cui siamo parte, speranza e simbolo di quel silenzio incantato che è ancora possibile vivere dentro di noi.
E qualche giorno fa, altri aironi bianchi sul fiume hanno risvegliato in me il ricordo insieme all'intensità di quella percezione.

Mi piace allora commentare questo piccolissimo episodio con un brano di Giovanni Allevi  intitolato "La notte prima", che ci conduce in un'atmosfera di semplicità e - oserei dire - di silenzio.
Tratto dal cd "Composizioni" (2003), probabilmente non è tra i pezzi del musicista ascolano più noti al grande pubblico, ma è ricco di una grazia e di un incanto che - a mio modesto avviso - meritano di essere riscoperti.

La parte iniziale, delicatissima e segnata da pause che ci consentono di percepire il riverbero di ogni singola nota, è pervasa infatti da un silenzio magico. Sono note lievi, timide, sommesse, scandite come trasparenti gocce d'acqua in un clima di rara intimità che fa davvero pensare a una natura incontaminata, ma anche a quanto di più segreto portiamo nel cuore.
In seguito, la melodia si snoda più viva e profondasimile a una danza leggera che - tuttavia - qua e resta ancora in sospeso. Infine, si scioglie in una fioritura di nitidissimi e accattivanti arpeggi, quasi anch'essa si levasse in volo come i miei aironi, per tornare poi dolcemente alla levità iniziale.
  
Non so a cosa possa alludere il titolo del brano: forse alla vigilia di una prova, un concerto, un incontro d'amore o un viaggio...chissà! 
In ogni caso, una vigilia d'intimità e di sogno colma di speranza o forse anche di solitudine, ma quella solitudine positiva di chi entra in contatto col proprio mondo interiore. Ed è cche m'induce a pubblicare il brano proprio la notte prima che inizi il 2017.
Finisce un anno e gli aironi sono sempre nella mia memoria a ricordarmi lo splendore della vita e della condivisione che nasce dal cuore.
Finisce un anno e mi piace concluderlo senza clamori, ma con le note di questo brano simili a timidi passi sulla neve, in una notte di silenzio.
  
Buon ascolto e auguri !!!

 

sabato 24 dicembre 2016

Buon Natale !!!



















Girolamo da Cremona (1451 - 1483): "Natività", corale 18.3 - Siena, Duomo.

 Anonimo del XVI secolo : "Gaudete, Christus est natus..."

martedì 20 dicembre 2016

Giovinezza ritrovata...

Affascinante, vero, il brano della volta scorsa?
Allora oggi vi propongo un altro pezzo di Chopin nel quale mi sono imbattuta giorni fa, durante una delle mie frequenti scorribande su youtube.

Non più un'aria lenta e soffusa di malinconia come la Mazurka op.17 n.4, ma un tema vivissimo ed energico, forte e tempestoso, che si dispiega in una grande ricchezza di sviluppi e sonorità andando a toccare tutti i tasti - è proprio il caso di dirlo - delle nostre emozioni. Uno Chopin multiforme che attraversa ogni sfumatura dell'anima, passando dall'impeto alla delicatezza, talora potente come un uragano, altrove lieve come un soffio.

Si tratta della "Grande Polacca brillante in Mi bemolle maggiore op.22", qui nella versione per pianoforte e orchestra: brano famosissimo che ho riconosciuto inquadrandone il ricordo in una toccante e indimenticabile sequenza del film "Il pianista". 
Nella pellicola infatti, il pianista ebreo Wladislaw Szpilman - in fuga dai nazisti nella Varsavia martoriata dalla seconda guerra mondiale - in una delle case in cui, di volta in volta, è costretto a nascondersi, trova un pianoforte che però non può toccare per non rivelare la sua presenza
Tuttavia, subito vinto dal desiderio, lo apre e finge almeno di suonarlo.  
Ricorderete certamente la scena nella quale, mimando la posizione e i movimenti delle mani, esegue un brano di Chopin le cui le note risuonano soltanto nella sua mente, mentre nella maschera di tristezza del suo volto compare per un attimo l'ombra di un sorriso.
 
Una sequenza breve eppure straordinaria che ci dà la misura di un contesto angoscioso, ma anche del persistente anelito di vita e di libertà cui la musica dà voce sia pure nel silenzio. Una musica capace di dare forma ai sogni e salvare l'uomo dall'abbrutimento, restituendolo a se stesso e facendo brillare in lui quella scintilla divina che ne è l'origine.
Tornerà infatti il protagonista, finita la guerra, a suonare liberamente quel brano in concerto e, sull'onda delle note, ritroverà in sè quella giovinezza del cuore che violenza e disperazione rischiavano di spegnere.
  
Ed ecco allora il pezzo: una composizione nella quale, dopo la parte introduttiva affidata all'orchestra, il pianoforte solista esordisce con uno splendido, luminosissimo attacco che ci rapisce fin dal primo istante.
Qui, Chopin sembra proprio dare sfogo a una passione dopo un lungo e forzato silenzio, e attraversarne con crescente intensità le infinite sfaccettature, in una ricchezza espressiva sottolineata anche dalle indicazioni sullo spartito che vanno dal fortissimo al delicatissimo
Ne scaturisce una vitalità prorompente, simile in taluni passaggi a quella di un ruscello e altrove a un vero e proprio un fiume in piena che - a sua volta - fa scaturire dal cuore di chi ascolta una gioiosa energia.

Scritta dal compositore a vent'anni, nel tema iniziale più volte ripetuto e nella scrittura ricca di virtuosismi, questa Polacca privilegia decisamente il pianoforte in rapporto all'orchestra, restituendoci una vitalità chiara, trascinante e infuocata fino alla conclusione forse un po' ridondante, ma segno inequivocabile di giovinezza.

Buon ascolto!

martedì 13 dicembre 2016

Modernissimo Chopin !

E.Degas: "L'assenzio" - Parigi, Museo d'Orsay
Parlavo, la volta scorsa, di arrangiamenti tesi a cogliere le ulteriori possibilità ritmiche di alcuni brani di classica, e a trasformarli in veri e propri pezzi di musica jazz o talora rock.
Ma vi sono altre composizioni del passato che - senza bisogno di rielaborazioni - hanno già in sè non solo il seme di una sensibilità nuova, ma precisi caratteri di spiccata modernità.

Non si tratta questa volta di una vivacità fatta di ritmi sincopati, bensì di sonorità, dissonanze e suggestioni indefinite, come spiragli attraverso i quali cogliere il respiro del futuro.  
Sono brani capaci di precorrere i tempi, ricchi di intuizioni che vanno oltre i canoni della poetica del periodo, per regalarci percezioni e atmosfere che disegnano scenari inusitati. 
Ma mentre spesso tali novità si registrano nelle ultime fasi evolutive del percorso di un compositore - come, per esempio, in certi quartetti di Haydn o nelle ultime sonate di Beethoven - talora ciò accade molto prima.

Così, oggi vi propongo un pezzo di Chopin di straordinaria modernità
Si tratta della "Mazurka in la minore op.17 n.4", scritta nel 1832 quando il musicista era ventiduenne, ma già abbozzata a soli quindici anni (!), forse durante uno di quelle fasi dell'adolescenza in cui le percezioni si fanno acute e vivissime.  
Vi accorgerete, ascoltandolo, che il brano supera i canoni pienamente romantici nei quali si inquadra la musica del compositore polacco, rivelando tratti più vicini a noi, ma soprattutto quella sensibilità decadente che prelude poi al disagio esistenziale del Novecento.

Si tratta di un pezzo che si apre pianissimo e sottovoce - come indica lo spartito - dolcemente pervaso di tristezza, cosa peraltro non nuova nè estranea alla poetica musicale di Chopin: basti pensare al "Preludio in mi minore op.28 n.7" o allo "Studio op.10 n.3", solo per fare qualche esempio.
Tuttavia, mi pare che qui si vada al di là. 
Il compositore costruisce infatti una melodia della quale non è sempre facile individuare l'andamento in la minore, perchè da essa il tema si discosta in continuazione. Talora poi, sembra vagare senza meta in un clima dissonante per andare a perdersi non si sa dove, simile a un rigagnolo grigio in un giorno di pioggia.
E se anche gli abbellimenti e le delicatissime fioriture di note richiamano lo stile del più tipico Chopin, l'aria malinconica e ripetitiva, scandita da frequenti intervalli di terza discendente, crea un senso di cupo disorientamento e talora di annoiato abbandono, quasi una sorta di "spleen".
È pur vero che, nella parte centrale, la mazurka ci riporta ad un ritmo più marcato e luminoso, sottolineato dal passaggio in tonalità maggiore.  
Ma nella conclusione torna a prevalere la malinconia e il tema - invece di risolversi compiutamente sulla tonica - sembra svanire o restare in sospeso.

Un brano che mi ricorda con insistenza l'atmosfera di certi dipinti del secondo Ottocento, come quello di Degas riportato qui in alto, dove le due persone raffigurate - la donna davanti al bicchiere di assenzio e l'uomo a quello di vino - pur essendo l'una accanto all'altra, si ignorano completamente. E la loro fissità, con gli sguardi persi nel vuoto di fronte ai bicchieri ancora pieni, diventa emblema di una profonda solitudine o forse di un'attesa ormai disincantata.
Un brano di espressività assolutamente mirabile, capace di anticipare ogni sfumatura di tali atmosfere, ma anche di raggiungere l'uomo d'oggi parlando alla sua sensibilità.
Una melodia di straordinaria bellezza che non smette di esercitare un fascino sottile e ammaliante, attraverso il quale il genio di Chopin ci cattura e ci prende fino a farci irrimediabilmente suoi.

Buon ascolto!

lunedì 5 dicembre 2016

Giocare....

Vivacissima, irrefrenabile, impertinente, spregiudicata, entusiasmante.....in una parola, bellissima!!!
Mi riferisco alla straordinaria interpretazione che trovate nella clip video di oggi dove Yuja Wang ci regala un brano di Mozart.

Si tratta di un famosissimo pezzo che chissà quanti di noi hanno suonato nella loro infanzia di piccoli pianisti, e precisamente il "Rondò" dalla "Sonata in La maggiore n.11 K.331", più conosciuto come "Marcia turca" -

La performance prende spunto da un arrangiamento scritto dal russo Arcadij Volodos', ma in realtà la Wang va ben oltre. Sotto le dita della pianista cinese, il Rondò diventa infatti una musica jazz accattivante e scatenata che, in certi passaggi, mi pare strizzi l'occhio anche al ragtime di Scott Joplin.
Si coglie subito che la rielaborazione di Volodos è irta di difficoltà tecniche e richiede notevoli doti esecutive, dato che talora le mani si muovono in modo quasi indipendente l'una dall'altra. Ma l'abilità virtuosistica della splendida pianista è tale che dell'arrangiamento ci offre un'ulteriore e ancor più trascinante interpretazione. Così, la performance si traduce in puro divertimento non solo per chi ascolta, ma anche per la stessa Wang che arricchisce il brano di gioiosa e giocosa leggerezza.
Un gioco che non s'improvvisa però e che - prima di divenire tale - presuppone studio, talento e padronanza non comuni perchè, acquisita la tecnica, la si superi e finalmente ci si possa divertire. E qui la Wang sembra suonare davvero a briglia sciolta, con entusiasmo esaltante, nel vivo della sua straordinaria bravura.

Sì, la musica ogni tanto ci consente anche di giocare, ed è così vero che, in alcune lingue straniere, suonare uno strumento e giocare sono azioni espresse addirittura con lo stesso verbo.
Allora, qualche volta è bello coinvolgere nel gioco anche i grandi del passato che - chissà?! - forse sono ben contenti di essere presi in questo divertimento.
Dissacrazione??? Niente affatto!!!
Certo, non sempre tutto è apprezzabile in ugual misura e il rischio che talora alcuni brani vengano banalizzati c'è. Tuttavia, tante rielaborazioni in chiave jazz, rock o pop - che si affiancano allo splendore delle versioni originali - restano decisamente valide soprattutto se delle varie melodie vanno a sviscerare le ulteriori possibilità ritmiche, come spesso mi è capitato di osservare in passato.
Se poi l'autore da cui si parte è un grandissimo, riprenderne i testi è come riscoprire un tesoro d'inesauribile versatilità, che supera i tempi e dialoga con noi, sposando agevolmente il linguaggio dei generi musicali più attuali senza perdere il proprio smalto.
Un connubio in questo caso ben riuscito, grazie alla pianista Yuja Wang che ci consente di rileggere Mozart alla luce di una modernissima sensibilità e - perchè no? - anche del gioco.
  
Buon ascolto!