mercoledì 25 marzo 2015

Soavità


Sto contemplando da qualche giorno - e non riesco a staccarmene - un dipinto che mi ha particolarmente affascinato tra i tanti capolavori del suo autore.

Si tratta dell' "Annunciazione" del Beato Angelico (1395 - 1455) conservata a San Giovanni Valdarno nel Museo della basilica di S.Maria delle Grazie: un' opera incantevole che l'artista ha dedicato al tema dell'Annunciazione insieme a quelle altrettanto famose di Cortona, di Madrid e del Convento di S.Marco a Firenze.
E anche se la definitiva attribuzione di questo dipinto all'Angelico è relativamente recente e risale al 1978 dopo il restauro, da tempo la tavola è giustamente celebrata per il suo splendore.

La composizione ci rimanda a una fase di passaggio tra stile tardo-gotico e primo Rinascimento. Il decorativismo, la cura attenta dei particolari e la presenza della predella sono ancora eredità del passato, mentre la chiarezza dell'impostazione prospettica e la cornice classicheggiante ci parlano già delle novità artistiche del Quattrocento.

Lo spazio del dipinto è bipartito da due grandi arcate, un'architettura nitida all'interno della quale sono incorniciate le figure della Vergine e dell'Angelo, mentre l'apertura a sinistra in un piccolo scorcio ci mostra un giardino - un hortus conclusus simbolo della verginità di Maria - e, nell'angolo in alto, la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre.

Della tavola - per tanti aspetti simile alla pala di Cortona e a quella di Madrid - colpisce subito la raffinatezza: dai panneggi ornati di ricche bordure alla preziosità delle aureole, dal sottilissimo velo di Maria alle ali dell'Angelo, dalla cura dei dettagli alla luminosità dei colori. 
Sono caratteri che andranno gradatamente scomparendo nelle successive Annunciazioni del Convento di S.Marco che risultano più semplici, spoglie e caratterizzate da colori più spenti, come se il pittore ricercasse una progressiva essenzialità, privilegiando la concretezza narrativa rispetto alla decorazione.

Ma al di là della posa di Maria e dell'Angelo, del libro aperto sulle ginocchia della Vergine, della colomba dello Spirito Santo e della finestrella nel vano restrostante - elementi che appartengono alla tradizionale iconografia del tema dell'Annunciazione - ciò che mi colpisce è proprio la figura della Vergine.

E' il suo viso ad affascinarmi: soavissima infatti la sua espressione che unisce stupore a sgomento, pudore a una lontana tristezza, lievissima ritrosia ad ascolto, con quell'attitudine pensosa che accomuna lo sguardo di Maria a diverse altre rappresentazioni di questo tipo. 
Una figuretta delicata e leggera come il suo velo o come quelle mani dalle dita affusolate, eppure ferma nel suo viso ancora fanciullesco e insieme consapevole. 
Una raffigurazione di soffusa dolcezza che desidero commentare con una musica di altrettanta soavità.
Ho letteralmente contato le ore pregustando la gioia di regalarvi qui - proprio oggi, nella ricorrenza dell'Annunciazione - questo brano così capace di riempire l'anima.
Le note che desidero condividere con voi sono quelle dell' "Et incarnatus est" dal "Credo" della "Missa in angustiis", famosa anche come "Nelson Messe" di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809).

Si tratta di uno dei pezzi più suggestivi dell'intera composizione, che alterna passaggi delicatissimi ad altri più fortemente drammatici, squarci solistici di straordinaria bellezza ad intense aperture corali e orchestrali.
Incantevoli note con le quali il compositore austriaco, ai tempi difficili e alle afflizioni della sua epoca (in angustiis), oppone il culmine della soavità. 
Uno splendore sottolineato anche dalla voce della solista Margaret Marshall, dolcissima nella levità dei suoi crescendo e nelle sue modulazioni.

Buon ascolto!

giovedì 19 marzo 2015

Armonia imitativa

Nella sua multiforme ricchezza di stili e ispirazioni, la musica - nel corso del tempo - non ha avuto unicamente lo scopo di divertire, celebrare, dar voce a vicende d'amore o di morte, divenire terreno di preghiera o esprimere quell'infinita varietà di sentimenti e passioni che abita da sempre il cuore umano. 
Tanti compositori di ieri e di oggi, infatti, hanno rivolto la loro attenzione anche alla natura, cercando di descriverla e imitarla nei suoi ritmi e nei suoi fenomeni, dai più appariscenti ai più piccoli - dalla tempesta al verso di un animale, dallo scorrere dell'acqua al soffio del vento - riproducendone in note gli aspetti più toccanti e suggestivi.

Il passare del tempo con l'alternarsi delle stagioni è stato più volte oggetto di composizioni musicali: dalle celeberrime "Quattro stagioni" di Vivaldi all'oratorio "Le stagioni" di Haydn, dai dodici pezzi per pianoforte di Tchaikovsky ispirati ai mesi e raccolti sempre sotto il titolo di "Stagioni", fino alla "Sagra della primavera" di Stravinsky, e via dicendo.
Per non parlare poi dei brani dedicati al fragore del temporale, alla luna, al mare, al fuoco o alle suggestioni della foresta. Da Beethoven a Debussy, da De Falla a Schumann tante potrebbero essere le citazioni, senza dimenticare Smetana che, con la sua famosissima "Moldava", ci racconta in note lo scorrere di un fiume dalla sorgente alla foce.
Si tratta di brani ricchi di un'armonia imitativa tesa a ricreare soprattutto delle atmosfere, anche se occorre precisare che in taluni autori - per esempio in Debussy - la percezione dei fenomeni naturali va oltre il piano puramente  descrittivo per restituirci un paesaggio più che altro interiore.

In altri casi tuttavia, la musica si sofferma più particolareggiatamente su suoni ben precisi e determinati, riproducendo per esempio il verso o l'incedere degli animali. Basti ricordare Rimskij-Korsakov col suo famosissimo "Volo del calabrone", Saint-Saens con "Il carnevale degli animali" o Prokofiev con "Pierino e il lupo", composizioni nelle quali sono proprio i singoli strumenti musicali ad imitare i caratteri dei vari protagonisti.
  
Ma è stato forse il canto degli uccelli a suggestionare più frequentemente i diversi autori spingendoli a ricrearne in note la vivacità o la malinconia, il timbro melodioso così come i trilli più acuti. 
Due soli esempi, per non dilungarmi: Vivaldi col "Concerto in La maggiore RV 335" detto "The Cuckoo" ed Haendel coll'ancor più famoso "Concerto per organo in Fa maggiore N.13 HWV 295" detto "The Cuckoo and the Nightingale" che - se volete - potete ritrovare qui nel suo Allegro iniziale.
 
Allora oggi, proprio sull'onda di questo argomento, vi propongo un pezzo di Louis-Claude Daquin (1694 - 1772), compositore parigino virtuoso dell'organo e del clavicembalo, ma rinomato anche per la sua fama d'improvvisatore.
"Le coucou" che trovate qui di seguito è uno dei suoi brani più famosi, oggetto - tra l'altro - di numerosissime trascrizioni e arrangiamenti
Si tratta di un rondò in mi minore, un piccolo pezzo di bravura perfettamente ritmato, costruito in modo da imitare proprio il canto regolare di un cùculo. 
L'andamento è veloce e per quanto la tonalità d'inizio ci restituisca un clima di malinconia, questa poi si stempera e la melodia s' illumina di gioia nel vivacissimo prosieguo del brano.
E mi piace regalarvelo in doppia versione: la prima per pianoforte e la seconda per chitarra, due diversi strumenti che danno differente risalto alla composizione facendone emergere tutta la bellezza e la versatilità. 
Dolce e melodioso il suono del pianoforte con il canto che affiora evidentissimo ora dalla mano sinistra, ora dalla destra; più scattante quello della chitarra che ci affascina anche grazie all'abilità e alla sincronia dei due interpreti. 

Buon ascolto!

mercoledì 11 marzo 2015

Un asteroide fiorito di primule

Mi sono comprata le primule. 
Un po' in ritardo sulla mia consueta tabella di marcia, è vero, ma quest'anno va così...

Di solito, me le prendo almeno un mese prima, appena le vedo occhieggiare nelle vetrine dei fioristi o al mercato.
Ma non si possono acquistare in un momento qualsiasi tanto per averle. Per goderne in pieno la bellezza, devi sentirteli dentro quei colori - il giallo, il viola, la luminosità del fucsia o del bianco - come un abito a tinte vivaci che indossi se nel cuore ti senti in primavera, altrimenti resta un'esteriorità che può servire certo, ma non più di tanto. Insomma....adesso le ho comprate.

Sono tornata a casa tenendo il mio sacchetto come un piccolo tesoro e le ho sistemate, come sempre, nella fioriera bianca e blu, sul tavolo chiaro del tinello davanti alla finestra. Da lì mi guardano e, mentre spero che durino a lungo a dispetto della mia ormai risaputa mancanza di pollice verde, penso ancora una volta a quanto il loro splendore, anche solo per brevi istanti, sappia punteggiare di luce la mia giornata.
Brevi istanti e piccole cose, certo, capaci però di farci sorridere dentro e di aiutarci ad alimentare i nostri sogni, magari proiettandoli insieme a una musica in una dimensione d'infinito.

Allora mi piace associare a questo momento di gioia un brano di Giovanni Allevi preso da "Love", il suo recentissimo cd per pianoforte solo.
Si tratta di "Asteroid 111561", pezzo dedicato a un vero e proprio asteroide in orbita attorno al Sole e situato tra Marte e Giove, che la NASA ha intitolato al compositore marchigiano.
E' un brano tutto arpeggiato, un gioiellino di entusiasmante leggerezza che si snoda irrefrenabile dalle ottave più alte a quelle più basse dello strumento: una trascinante rincorsa nella quale Allevi trae dal suo pianoforte tocchi delicatissimi, ma anche sonorità dall'ampiezza quasi orchestrale. 

Lontanissimo dalla percezione di un ignoto oscuro, segnato da un clima di cupa minaccia come in certi film di fantascienza, il compositore ci conduce qui in un mondo festoso, dove gli spazi siderali sono gioisamente solcati dal piccolo asteroide, lanciato in una sorta di danza tra le meraviglie del creato.
Bello l'intrecciarsi del tema con le progressioni bachiane e suggestivo anche il punto in cui - proprio nel cuore di questo spazio, scandita da poche note basse - per qualche istante la musica rallenta, quasi un invito a un attimo di silenzioso stupore nello sgomento del vuoto siderale.
Ma è uno sgomento che non intimorisce e - forse perchè il brano è ancorato alla positiva e terrena tonalità di Re maggiore - quella che ci comunica è la percezione di un infinito sorridente e familiare. 

Un asteroide - dimensioni a parte - è praticamente un sasso, ma il compositore ha dichiarato in un' intervista di immaginarselo coperto da una natura rigogliosa. E anche a me piace pensarlo così: verdeggiante come un giardino e magari tutto fiorito di primule!
Allora, sull'onda delle note possiamo sbrigliare la fantasia e, nello spazio sconfinato simile ai sogni che portiamo in cuore, volare sul nostro asteroide, piccolo mondo alieno colorato di felicità dove rifugiarci per qualche momento - giusto il tempo di questa breve composizione - a far provvista di gioia e di sorriso.

Buon ascolto!

mercoledì 4 marzo 2015

Trasparenza

Capita di osservare talora nel comportamento altrui - ma a volte anche in noi stessi - un'accattivante immediatezza molto simile alla spontaneità, che tuttavia si rivela poi superficiale e priva di spessore.
Si tratta in realtà di quella sbadataggine che spinge, in certe situazioni, a dire la prima parola che ci passa per la testa o fare la prima cosa che ci viene in mente così, senza pensarci troppo.

Ma c'è - al contrario - un'immediatezza affascinante come un miracolo, nella quale si percepisce che parole, azioni, gesti della persona che abbiamo davanti sono una cosa sola in profonda unità con tutto il suo essere. 
Discorsi e comportamenti sgorgano allora come acqua sorgiva che affiora limpida e altrettanto limpida scorre poi tra i ritmi della quotidianità; e non importa che si tratti - a volte - anche di minime cose, ma tutto è luminosamente e splendidamente vero.
E' un atteggiamento di semplicità, una sorridente effusione del profondo, una vera e propria trasparenza del cuore simile a quella dei bambini quando ancora non si sono conformati al mondo degli adulti. Immediatezza, del resto, significa proprio assenza di artificio perchè ciò che siamo arrivi agli altri in modo diretto, non mediato da qualsivoglia condizionamento, difesa o paura. 
Siamo noi e siamo liberi.

Tuttavia non sempre ciò accade e a volte è una vera conquista far sì che le parole non siano buttate là distrattamente o il sorriso non sia una maschera, un elegante schermo dal giudizio degli altri, ma un moto del cuore capace di vera comunicazione. Dico un sorriso, ma vale per qualunque altro gesto, e capita a tanti - penso - che una trasparenza facile in certe situazioni, diventi problematica in altre.
Tutti abbiamo sperimentato però che l'assenza di artificio si fa strada in noi man mano che riusciamo a ritrovarci, riconducendo ad unità ciò che facciamo con ciò che siamo. In tal modo, anche i ruoli che ci si trova a ricoprire nei vari settori della vita e nelle diverse relazioni, non andranno ad appesantirci come corazze o costumi di scena, ma lasceranno trasparire la luce di una comunicazione autentica.

Credo che la musica - come del resto tutte le arti - abbia molto a che fare con quel processo che porta a risvegliare tale autenticità facendo affiorare in superficie il nucleo più profondo di noi stessi, come in un mare così trasparente da consentirci di vederne il fondale. 
Leggendo un testo poetico o contemplando una gemmazione di colori in un dipinto, accade che si ridesti in noi una vita che non pensavamo di avere, ma talora il linguaggio delle note ha una sua particolare immediatezza capace di coinvolgerci e toccarci ancora più a fondo.

Mi è capitato spesso di osservare quanta autenticità sappiano offrire per esempio i vari interpreti, siano essi direttori, solisti o singoli orchestrali, quale intensità comunicativa abbiano i loro gesti e il loro modo di vivere la musica insieme alle emozioni che essa regala. 
Ma se ciò è vero per compositori ed esecutori, vale anche per noi che ascoltiamo, e sempre - se alla musica affidiamo il cuore - saremo condotti a scoprire di noi aspetti che non conosciamo e una sensibilità che forse non immaginiamo neppure di possedere.

Così, oggi mi piace proporvi un brano di Franz Schubert (1797 - 1828) che mi pare particolarmente adatto a far emergere da noi questa trasparenza. 
Si tratta del primo movimento, "Allegro", dalla "Sinfonia n.5 in Si bemolle maggiore D 485", un pezzo che ci prende subito con la sua concitata scorrevolezza, i suoi passaggi delicati o segnati da crescente energia e la sua atmosfera di gioiosa attesa.
Non c'è introduzione, se si eccettuano i brevi accordi iniziali dei fiati, e il brano si apre con un tema nitido e cantabile, di classica bellezza, che si ripete e riecheggia con grazia ed equilibrio quasi mozartiani.
La melodia - ricca di vivacità e insieme di straordinaria leggerezza - ci accompagna consentendoci di entrare in essa come in un fiume limpido e di lasciarci portare dalla sua freschezza primaverile fino a seguirla come se già ci appartenesse, ad appropriarcene come se la musica stessa nascesse da noi.

E' questo - credo - il segreto che in fondo ci rivela a noi stessi e fa sgorgare la nostra musica, il canto nascosto che ci abita. 
Un canto che - per ciascuno di noi - non è necessariamente fatto di note, ma di parole, emozioni, gesti, sguardi, di tutto un vivere in sintonia profonda con ciò che siamo e capace di rifletterlo in luminosa trasparenza.

Buon ascolto!