mercoledì 30 dicembre 2015

"Hodie...."

Come già altre volte mi è capitato, non posso lasciar passare senza una parola di commento il brano di Sweelinck che ho postato il giorno di Natale, tanto mi prende nel suo splendore polifonico.
E' infatti l'intreccio delle voci, sono le svariate ripetizioni - andatele a risentire, per favore! - a condurci in un universo di gioiosa leggerezza, insieme a un'alternanza di passaggi in fortissimo e piano che crea una mirabile armonia.

Ma tra i vari termini spesso ricorrenti, è l'"Hodie" posto all'inizio di ogni versetto di quell'antifona natalizia a prendere in particolare la mia attenzione: "Hodie...hodie...hodie...".  
E' proprio la musica a suggerirci quanto quell' oggi non sia limitato a un giorno cronologicamente preciso, ma si dilati nell'infinito del tempo, perchè l'evento del Natale apre una nuova prospettiva proiettando sul futuro un fascio di luce.
Così, il brano ci consente di avviarci in un clima di contemplazione nel quale le ripetizioni sembrano quasi affidate a ciascuno di noi, come a ricordare che non si tratta di una gioia effimera, ma di un evento duraturo che entra in ogni nostro oggi, qualunque esso sia.

Di stile diverso, anche se ancora una volta ispirato al Natale, è invece il brano che vi propongo in quest'ultimo scorcio del 2015, in attesa dell'anno nuovo: un canto che mi ha sempre affascinato per la sua delicatezza che nasce - guarda caso - dall'ispirazione di una donna.
Si tratta del celeberrimo "The Little Drummer Boy" scritto dalla compositrice statunitense Katherine Kennicot Davis (1892 - 1980) col titolo iniziale di "The Carol of the Drum" e divenuto nel tempo oggetto di numerose interpretazioni e arrangiamenti. 
Prendendo spunto da un'antica favola, il testo racconta di un ragazzo povero - il piccolo tamburino appunto - che si reca al presepio con i pastori, ma non avendo alcun dono da portare a Gesù, col permesso di Maria suona per lui il proprio tamburino e alla fine riceve da Lei la benedizione. 
Senza trascurare il fatto che il dono consiste nella musica (...!!!), mi pare significativo che il ragazzo non regali un oggetto, ma onori Gesù Bambino con ciò che lui stesso sa fare perchè, nell'offrire la propria abilità musicale anche piccola, mette comunque in gioco una parte del suo essere.
Ne deriva un canto scandito in sottofondo dall'imitazione del rullo del tamburo, a metà strada tra una piccola marcia e una ninna-nanna delicata e semplice, dolcissima e tenera, soprattutto nell'interpretazione affidata qui alle splendide voci dei "King's Singers".

E a proposito di tenerezza, mi piace completare il post con l'immagine che vedete nel riquadro: la "Madre di Dio della tenerezza" - detta anche "Madonna di Vladimir" - una delle icone ortodosse più famose e venerate al mondo, risalente al XII secolo e attualmente conservata presso la "Galleria Tret'jakov" di Mosca. 
Si tratta di un'immagine a cui, ancora oggi, è profondamente devota molta parte del popolo russo che alla sua protezione attribuisce - tra l'altro - la salvezza della città di Mosca da varie invasioni, a cominciare dal tempo dei Tartari fino agli eventi della seconda guerra mondiale.

Un'icona toccante nello sguardo di Maria che non si finirebbe mai di scandagliare, uno sguardo che raggiunge in modo inequivocabile chi guarda e dal quale, come da un mare profondo, affiorano dolcezza, vicinanza, comprensione insieme - tuttavia - a un'indicibile tristezza. 
Il volto di Maria, dolcemente reclinato verso la guancia del Bambino, è infatti pensoso e sofferente nel suo prefigurare la Passione di Gesù e al tempo stesso le svariate miserie umane.
Ma a consolarla è la tenerezza del Figlio, nel viso proteso verso di Lei, nel gesto vivo della manina - guardatela! - quasi avvinghiata al collo della Madre e nel contatto delle guance pelle a pelle che, più di qualsiasi altro atteggiamento, esprime, intende e sottintende tutte le sfumature di una circolarità di amore. 
Se infatti, in questa iconografia che fa riferimento alla tenerezza, Maria secondo il termine greco è "colei che s'intenerisce" (Eleusa), secondo la lingua russa diviene "colei per la quale ci si intenerisce" (Umilenie).

Un'icona che - come tutte le rappresentazioni di questo genere - nasce dal tentativo umano di entrare in contatto con una realtà infinitamente più grande e di rappresentare una presenza viva, un continuo presente.
In fondo, un eterno "hodie" anche questo.

Buon ascolto e a tutti voi Buon Anno !!!

venerdì 25 dicembre 2015

Buon Natale!!!

 






















Duccio di Buoninsegna (1255 - 1319 ca.): "Natività" - Washington, National
Gallery of Art.


 
Jan Pieterszoon Sweelinck (1562 - 1621) : "Hodie Christus natus est".

lunedì 21 dicembre 2015

Piccola storia


Giornata grigia di dicembre, le quattro del pomeriggio o poco più.
Seduta su di una panchina, nello squallore del piazzale semideserto della stazione dei pullman, aspetto il mio autobus per tornare a casa.

Manca una settimana a Natale: in centro, bancarelle e luminarie colorano la città ma qui, tra fabbriche dismesse e casamenti di periferia, la solitudine stringe il cuore. Per di più, il cielo è coperto e prelude già al buio. Forse pioverà.
Da alcune scuole vicine arrivano alla spicciolata gruppetti di studenti usciti dalle lezioni pomeridiane, ma lo spazio è tanto vasto che non riescono ad animarlo e si perdono ai margini del grigiore.
Mi si avvicina una ragazza, però, e si siede sulla panchina accanto alla mia canticchiando piano. Traffica un po' tra le sue cose, poi estrae dallo zaino un cellulare e inizia una conversazione.
Nonostante io sia persa tra i miei pensieri, ne colgo in parte il contenuto: prima distrattamente, poi in modo via via più coinvolgente le sue parole mi catturano e prendo ad ascoltare. Capita a volte di ritrovarsi senza volerlo a seguire i discorsi altrui: capita in treno, in metropolitana, al bar o in qualche sala d'aspetto. E sono squarci di vita che ci si aprono davanti come se anche noi, in qualche modo, vi potessimo partecipare cogliendone il profumo e il respiro segreto.

Le lancio una breve occhiata: alta, solida di corporatura, porta jeans e un giubbotto come tante sue coetanee e un ciuffo di capelli scuri, sfuggito alla crocchia in cui sono raccolti, le spiove sul viso. Avrà più o meno diciotto anni. Nella calma circostante, mi arrivano distinti alcuni brani della sua conversazione e capisco che all'altro capo del cellulare c'è la madre. 

"Ciao, sono io, guarda che ho finito adesso....al solito....no, non mi ha interrogato.....Ah, proprio stasera???....E vengono tutti?....Ti serve qualcosa prima che torni?...No, ok...Wow! A me va bene....ma la mangi anche tu???"

E' strano, ma le parole di questa adolescente sconosciuta, pur nella loro apparente banalità, mi raggiungono infondendomi gradatamente un senso di calore benefico che contrasta con la cornice tetra del luogo in cui ci troviamo. Il dialogo prosegue:

"Sicura che non stai male? L'altra volta....ma dai, veramente?.....l'hai già fatta???!!!....allora non devo passare in negozio....Ok, vado io a prendere Paolino e la Giusi. Immagino già il casino che faremo stasera con gli altri.....tieniti pronta!!!"

La ragazza ridacchia piano, poi la conversazione finisce.
Fuori comincia a fare un freddo che mi sollecita a rialzare il bavero del giaccone e per di più sta scendendo una nebbiolina bagnata, ma dentro - intendo dire negli spezzoni di dialogo che ho ascoltato - all'improvviso mi si è aperto un interno di vita familiare luminoso e caldo.
Famiglia numerosa, lei è la più grande. Frequenta l'ultimo anno di un istituto superiore, ma sa conciliare gli impegni scolastici con la gestione di piccole incombenze verso i familiari ai quali è molto legata. 
A cena ci saranno ospiti - da quello che colgo decisamente graditi - e perciò un menù speciale o la torta preferita dai figli. La ragazza teme però che alla madre, che probabilmente ha qualche problema di salute, possa far male. Ma la donna la tranquillizza e la figlia s'incarica poi di passare a prendere i fratellini a scuola o forse in palestra.

Sull'onda di poche frasi, mi si è aperto dentro uno scenario denso di relazioni vive e accoglienti, un quadro nel quale ritornare a casa dopo una giornata di studio o di lavoro significa ritrovare un tessuto di affetti che non hanno bisogno di molte parole per esplicitarsi, tanto sono intrecciati ai gesti semplici di una sorridente quotidianità. 
E anche questa giovanissima sconosciuta che, senza volerlo, mi ha aperto un piccolo squarcio della propria vita, ha in sè qualcosa di semplice e sorridente
La osservo ancora, mentre infagottata nel giubbotto manda messaggi sul cellulare canticchiando sempre a mezza voce, totalmente priva di affanno, rassicurante come lo è una giornata fatta di piccole cose.

All'improvviso, all'estremità del piazzale c'è movimento: sotto la luce gialla dei lampioni, stanno arrivando gli autobus. 
Con gesti tranquilli la ragazza sistema le sue cose nello zaino, fruga in una tasca, infine recupera l'ipod e si infila gli auricolari. Poi si avvia verso il suo pullman e non saprà mai quanto calore mi ha regalato.
Fine della storia.

Ora lo so, qualcuno penserà che ho lavorato di fantasia, colorando quel banale episodio con le frange della mia inventiva un po' ingenua e ricamandoci sopra.
Sì, forse è vero, ma la nostra esistenza si nutre anche di questo e si avvale talora di piccoli spunti, dettagli di quotidianità, incontri casuali per risvegliare in noi universi nascosti portando alla luce i fiumi sotterranei che vi scorrono.
Così, anche le parole di una sconosciuta possono avere risonanze profonde e rivelarci che esiste tra esseri umani una comunicazione fatta di spessore segreto e sottili, misteriosi legami, tessere che s'incastrano tra loro senza saperlo nel grande mosaico della vita.

O forse mi si dirà che questa non è una storia, e in effetti devo riconoscerlo: non c'è azione, non c'è sviluppo e il finale - diciamolo pure - è deboluccio
Però è vera, verissima in tutti i suoi particolari: un incontro di alcuni anni fa che mi è rimasto nel cuore e non se n'è voluto andare.
Allora, a questo piccolo ricordo vogliamo mettere almeno una colonna sonora???
Bene: così sono approdata ancora una volta a Mozart ed è il suo "Andante in Do maggiore per flauto e orchestra K.315" che vi propongo oggi. 
Si tratta di un brano nel quale riecheggiano diversi temi e passaggi di altre creazioni mozartiane ma non solo. L'esordio della melodia ci riporta anche al famoso "Andante cantabile" della "Serenata per archi in Fa maggiore op.3 n.5" attribuita ad Haydn.
Un pezzo che - pur non essendo dei più strepitosi tra quelli del compositore salisburghese - ha in sè tuttavia i tratti significativi del suo stile
E il flauto solista risuona ora lievemente malinconico, ora più sereno, pacato e dolce come certi dettagli di vita quotidiana capaci di illuminare anche un grigio pomeriggio di dicembre. 

Buon ascolto!

martedì 15 dicembre 2015

Sorpresi dalla musica

Mi è capitato già altre volte di osservare quanto l'ascolto della musica sia fonte di molteplici emozioni, anche se esse variano per ognuno di noi secondo la ricettività del momento, il contesto, il genere del brano, l'interpretazione e via dicendo.
Al di là di queste variabili, penso che ciascuno possa stilare comunque un proprio elenco di situazioni che favoriscono un più vivo impatto col mondo delle note: a teatro o in piazza, in solitudine o in viaggio con l'ipod, tutti abbiamo infatti momenti privilegiati che ci vedono particolarmente ricettivi.

Oserei dire però che la suggestione della musica si fa ancora più forte quando, in svariate occasioni, essa ci sorprende inaspettata. Possono essere le note di un organo in una chiesa o l'armonia di un canto polifonico; può essere la sigla di una trasmissione o di una pubblicità a regalarci - classico o meno - un brano che ci cattura colmandoci di sorriso. 
Trovo poi che sia bello essere sorpresi dalla musica anche quando si è per strada. Magari si va di fretta o si è ingolfati nei propri pensieri e all'improvviso il suono di uno strumento ci risveglia, ci apre il cuore inducendoci a rallentare il passo per qualche istante. Magari percepiamo la melodia già in lontananza e ci avviciniamo desiderosi di lasciarci pervadere dal fascino delle note proprio lì, così come siamo.
Accade spesso che si faccia musica nelle grandi città anche in mezzo al frastuono metropolitano e - sia che si tratti di un solista o di un piccolo ensemble - la cosa è quasi sempre piacevole e accattivante.  
E non parliamo poi dei flash mob talora entusiasmanti che ci colgono di sorpresa in una piazza, in metropolitana e via dicendo.

Tuttavia, ancora più suggestiva per me è la musica che accade a volte di sentire nel silenzio di una strada solitaria, magari in certe vie defilate dal chiasso come se ne trovano ancora nelle nostre città di provincia.  
Può capitare che da una finestra scendano note capaci di illuminare il cuore anche nel buio della sera o nel grigiore di un pomeriggio piovoso.
Talora sembrano nascere dal nulla e colmare il silenzio del loro incanto; altre volte ci sorprendono come - in certe sere di febbraio - ci raggiunge improvviso e inebriante il profumo intenso del calicanthus. 
Può essere la voce sottile di un violino, di un flauto o più spesso quella di un pianoforte che viene da una finestra dietro la quale qualcuno si esercita su di un notturno di Chopin, sulle battute perseveranti un preludio bachiano o sulla morbida vivacità di una sonata di Mozart.
E' allora una sorta di segreta corrispondenza quella che si stabilisce tra chi suona in casa e chi ascolta fuori, spesso sconosciuti ignari l'uno dell'altro, ma fatti per qualche istante un'anima sola grazie al prodigio della musica.
E quelle note esercitano un fascino intenso perchè diventano parte di noi, fondendosi coi nostri pensieri.
Lo sapeva bene Salvatore Di Giacomo quando ha scritto i mirabili versi di "Pianefforte 'e notte" che ci restituiscono tutto l'incanto e l'attitudine contemplativa che la musica può suggerire.

Mi piace allora concludere queste brevi considerazioni con un brano di Franz Liszt (1811 - 1886) che mi pare ci conduca proprio in un'atmosfera di poesia
Si tratta della famosa "Consolazione n.3 in Re bemolle maggiore", terza di sei composizioni per pianoforte solo che prendono anche il nome di "Sei pensieri poetici" per il loro tono romantico. Sono infatti pezzi dall'atmosfera sentimentale e pacata, lontani dal Liszt virtuosistico di altre sue creazioni, ma ugualmente ricchi di fascino. 
Questo, in particolare, è molto simile allo stile dei "Notturni" di Chopin - soprattutto l'op.27 n.2 - ma, a mio avviso, può ricordare anche il famosissimo "Sogno d'amore" dello stesso Liszt.
E Valentina Lisitsa sembra letteralmente accarezzare i tasti del Bosendorfer mentre, con il suo dolcissimo tocco, ci conduce nel cuore di questa melodia.

Buon ascolto!

lunedì 7 dicembre 2015

Guardare avanti

Sono andata in giro per librerie a caccia di un calendario per il prossimo anno. 
Conoscete già le mie abitudini: non mi va di prenderne uno qualsiasi, ma mi piace scegliere con cura le immagini che andranno a illuminare l'inizio dei mesi e ad accompagnare il mio sguardo ogni giorno, mentre mi muovo per casa. 
Il formato poi dev'essere adatto al rettangolo di muro vicino alla finestra della cucina, così che la luce del mattino e il sole - quando c'è - facciano risplendere le foto permettendo di emergere a particolari e sfumature che, viceversa, resterebbero in ombra.

Per anni ho voluto calendari con paesaggi toscani, e mi son goduta in pieno la dolcezza della campagna senese costellata di casali, cipressi, morbide colline e antiche pievi.
L'ultimo della serie, tempo fa, l'ho comprato a Pienza. Dopo la visita al Duomo, mentre gli amici che mi accompagnavano erano andati al bar, mi ero infilata in una cartoleria a bearmi tra fogli di carta decorata, stampe e articoli vari, per uscirne poi trionfante con un piccolo malloppo di acquisti.  
Era una giornata di fine maggio con un caldo esagerato, ma avevo già in mano il calendario col quale, tra nebbie e brine invernali, di lì a sette mesi avrei inaugurato l'anno nuovo. E questo precorrere il tempo mi aveva messo di buon umore, forse per la consapevolezza che un rituale sarebbe tornato a compiersi, un tassello si sarebbe incastrato al posto giusto. 
O forse per la suggestione che ha in sè il fatto di guardare avanti, lasciando che il cuore ci preceda anche solo attraverso la semplicità di alcune immagini.

Poi, i miei viaggi - e la mia fantasia - hanno preso altre direzioni e così pure i calendari. Il più recente di questi, che ho condiviso in parte con voi, è dedicato alla Provenza coi suoi indimenticabili colori.
E allora potevo privarvi dell'ultima immagine di dicembre??? 
Così eccola quassù in alto, nel suo luminoso splendore!!!
C'è la neve sì, proprio la nevesui calendari le stagioni sono ancora quelle di una volta! - e poi un cielo terso che spazza via ogni tristezza invernale.
Fa luce quella neve dai riflessi azzurrini, e contrasta col grigio di una costruzione vagamente simile ai nostri nuraghi. In realtà si tratta di un borie, antica capanna di pietra secca come se ne trovano tante in Provenza, in particolare nel Luberon dov'è stata scattata la foto: forse antiche abitazioni preistoriche, divenute poi rifugi per i pastori e in seguito magazzini o cantine dei contadini.
Ma ammantata di bianco la costruzione si fonde col paesaggio, assumendo un fascino quasi fiabesco: sembra di contemplare la luminosità del mattino dopo una bufera quando, tornato ormai il sereno, tutto risplende nitidamente.
E se l'ingresso del casolare si apre sul buio, il senso di mistero che ne deriva viene stemperato dalla tersa luminosità circostante mentre, sotto lo spesso strato di neve che copre i solchi, s'intuisce una vegetazione che, a primavera, regalerà un'incantevole fioritura.

A primavera, appunto...
In tempi come questi, il pensiero non può spingersi avanti senza domandarsi quali immagini abbia in serbo il nostro futuro: se ci attendono nuove bufere - e di recente i nostri calendari hanno segnato troppi avvenimenti luttuosi in diverse parti del mondo - o se la vita volgerà verso sorprendenti, incantevoli fioriture...
Difficile dirlo. Vari eventi, però, incoraggiano alla speranza: la luce del Natale verso cui il calendario si sta ormai avviando e l'apertura - domani - del Giubileo della Misericordia, in coincidenza con la festa dell'Immacolata e quindi affidato allo sguardo della "Mater misericordiae", come si recita nella Salve Regina.
In sintonia con tutto questo, vi propongo allora la bellissima "Ave Maria" del compositore tedesco Franz Biebl (1906 - 2001), forse il suo brano più noto. Soavi e limpidissime le voci del coro femminile in questo canto che alterna le parole dell'Angelus con quelle della preghiera alla madre di Dio.
Dar vita in musica ad un' Ave Maria, dopo precedenti grandi e famosi come Schubert e Gounod - solo per citarne alcuni - è sempre impegnativo.  
Ma l'armonizzazione di questo brano mi sembra affascinante e luminosa proprio come un manto di neve fresca.

Buon ascolto!