sabato 30 agosto 2014

Uno sguardo dal ponte

Vacanze agli sgoccioli ed è tempo di salutare, mentre la mente e il cuore sono ormai proiettati in avanti, ai giorni che verranno e si fatica un po' a vivere il presente in piena distensione.
Peraltro, quest' ultima settimana - al contrario di quelle che si sono succedute finora - ci sta riservando tempo più soleggiato e, dopo le abbondanti piogge, il verde dei prati brilla ora più intenso tanto che non si finirebbe di contemplarne lo splendore. 
Allora continuo a scattare foto, non me ne sazio mai.

"Ma sono sempre le stesse degli altri anni!..." mi dice qualcuno.
 Sembrano le stesse.....e invece no, non è così!!!
A guardar bene, se simili sono le immagini o le varie inquadrature, non sono uguali la luce, la trasparenza del cielo, la posizione del sole, le nuvole che di prima mattina marezzano di ombre prati e pendii. 
Così pure, non sono uguali i nostri stati d'animo che quasi si trasfondono nella foto rendendola un ricordo unico: ogni cosa, in realtà, è nuova.
Una volta a casa, le immagini restituiranno anche i particolari di una memoria che già portiamo dentro: della gioia o della fatica di quel momento, di quei pensieri o quello stupore, insieme alla rasserenante percezione di averli vissuti e di poterli custodire ormai come prezioso possesso per il futuro. 
Un piccolo pezzo di storia, in fondo, della nostra storia.

E mentre cerco l'inquadratura migliore per fotografare le montagne, mi piace indugiare su di un ponte, osservando le acque che scorrono sotto di me.
Sono tanti i ponti che costellano questa vallata, disseminati in frazioni e punti panoramici: mi appoggio alla spalletta di legno di uno di essi, sentendo l'urto dell'acqua contro i piloni e sostando a contemplare il suo fluire ininterrotto tra sassi e rupi.
Con le piogge di quest'estate, dove la pendenza è più accentuata le acque erano spesso limacciose e scure. Ma anche adesso che, tornato il bel tempo, sono di nuovo limpide e trasparenti, il caldo delle ore centrali della giornata, sciogliendo i ghiacci su in alto, le alimenta rendendole più impetuose.

E' bello allora fermarsi a dare uno sguardo dal ponte: l'acqua che scorre è fonte di osservazione continua nella varietà infinita e sempre nuova del suo andare. 
Ma è piacevole ascoltarne anche il suono, la musica direi. 
Anch'essa è varia: ora lieve e sottile, ora vero e proprio fragore - secondo la direzione del vento, l'ampiezza o la pendenza del torrente - ma sempre capace di entrare in noi regalandoci un senso di più ampio respiro e di profonda distensione.

Così, mi piace commentare osservazioni e immagini, con una luminosa composizione di Giovanni Allevi.
Si tratta di "Giochi d'acqua" dal cd "Alien", brano per pianoforte solo che alterna delicatezza e impeto, sprazzi di vivacità talora proprio giocosa ad altri più lenti e pacati, mentre i passaggi da una sezione all'altra del pezzo sono sottolineati da frequenti cambi di tonalità.
Varietà di temi e di atmosfere quindi, come vario è lo scorrere di un torrente: note come piccoli ruscelli di acqua fresca che s'ingrossano tempestosi o si assottigliano fino a diventare rigagnoli di poche gocce.
Tutto questo ci fa ascoltare il compositore, alternando tocchi di malinconica dolcezza ad energia gioiosa e appassionata, come è un po' nel suo stile, mentre il tema principale si fa strada con la mobilità inafferrabile di un rivolo d'acqua per riaffiorare - alla fine del brano - con rinnovata, scintillante potenza.

Buon ascolto!

 

domenica 24 agosto 2014

"Il capitan della compagnia..."

Torno dalla mia breve pausa-blog (e più avanti vi racconterò dove l'ho trascorsa...) per condividere qui una bella segnalazione di Claudio Magris sul Corriere della Sera del 20 agosto scorso.
Si tratta di un articolo ("I fiori dell'alpino per il Papa") nel quale il giornalista presenta un libro di Papa Francesco - "Reflexiones espirituales sobra la vida apostolica" - per il momento edito solo in Spagna, ma che con tutta probabilità sarà presto pubblicato anche in Italia. 

In questo testo di meditazioni che s'ispira agli insegnamenti di Sant'Ignazio di Loyola e li commenta, il Papa - cito direttamente dall'articolo - "va al fondo degli elementi costitutivi della fede, ma prima ancora della vita, quali la colpa, la misericordia, il desiderio, la magnanimità e la meschinità, la conoscenza e la torbida accusa di se stessi, il dubbio e l'incertezza, l'amore, la forza d'animo e la grazia."

Fin qui tutto bene, ma nulla di particolarmente sorprendente.
La sorpresa viene invece da una delle tre citazioni di apertura del testo papale: "tre ideali punti di riferimento - sottolinea Magris - o costellazioni cui guardare per tenere la giusta rotta nella propria navigazione"
La prima riporta le parole del gesuita Alonso de Barzana sul desiderio di dividersi in mille per poter stare con le persone amate in ogni angolo di mondo. La seconda riporta i versi del poeta Nino Costa sulla malinconia del lavorare e morire in terra straniera. 
Ma la terza - vero "colpo di genio", come afferma il giornalista - è affidata al finale della canzone alpina "Il testamento del capitano" che recita così:

"L'ultimo pezzo alle montagne / che lo fioriscano di rose e fior".

Conosciamo tutti questo canto dal ritmo lento e cadenzato, quasi solenne come giustamente si addice all'argomento: un canto funebre se vogliamo, ma in realtà uno dei più significativi tra quelli che raccontano la vita degli alpini, fatta di valori semplici ed essenziali come la patria, l'amicizia, gli affetti familiari, l'amore, la natura. 
Il capitan della compagnia, sentendosi vicino a morire, chiama a raccolta presso di sè i suoi alpini e ordina che, dopo la sua morte, il suo corpo venga diviso in cinque pezzi : il primo alla patria, il secondo al battaglione, il terzo alla madre, il quarto alla sua bella e infine il quinto alle montagne.

Come scrive Magris :

"Il testo fondamentale di un grande santo e grande figura storica e il suo commento scritto da un Papa vengono affidati alla superiore verità umana di una canzone che dice, con una semplicità ignara e non bisognosa di letteratura, l'amore, l'amicizia, la buona verità del corpo, il piglio sanguigno e sensuale del vivere alieno da ogni mortificazione e non sgomento di fronte al destino che fa diventare terra e anche rose e fiori...."

Mi piace questo spaziare di Papa Francesco tra teologia e semplicità, il suo riflettere sulla fede affondando le mani in ciò che è concretezza quotidiana per coglierne l'afflato di umanità che la pervade.
Ma insieme ai valori che hanno ispirato il canto, a colpirmi è anche la scelta di un' immagine così luminosa sul destino finale dell'uomo, dove la morte si trasforma in vita e la comunione con una natura profondamente amata è così totale da germogliare in bellezza.
"L'ultimo pezzo alle montagne / che lo fioriscano di rose e fior": parole semplici che la citazione di Papa Francesco fa riecheggiare nella loro grandezza e sacralità. 

Ho riportato qui "Il testamento del capitano" nella bella interpretazione della Brigata Alpina Julia che alterna opportunamente parti cantate a voce spiegata ad altre più sommesse, soprattutto nel riportare le parole del capitano morente e a sottolineare - quasi con pudore - l'intensità degli affetti.
Bello il finale affidato prima al solista e poi ripreso invece da tutto il coro con prorompente, convinta energia!

Buon ascolto!

venerdì 8 agosto 2014

"Maioresque cadunt...."

Tutti sappiamo che a rendere affascinante un panorama, un angolo di natura, ma anche solo l'interno di una casa, concorrono tanti fattori, il primo dei quali è senza dubbio la luce.
Con la sua intensità, i suoi riflessi o le sue variazioni di ora in ora, essa crea infatti prospettive o mette in evidenza inquadrature che diversamente ci sfuggirebbero.
Hanno pienamente ragione architetti e arredatori a dedicare particolare cura all’ illuminazione di un edificio o di una semplice stanza. E’ la luce che definisce gli spazi, conferendo loro rilievo e creando un'infinita gamma di suggestioni.

Ce lo insegnano i grandi pittori, da Caravaggio a Georges de La Tour fino a Monet, ma ce lo rivela prima di tutto la natura stessa, dispiegando mille variazioni di luci e colori dall'aurora al tramonto fino al calar delle tenebre. 
Sono panorami che possiamo contemplare in qualunque stagione e ovunque: dal grigio delle nebbie di pianura alle sfumature viola di un tramonto sul mare, dalla luminosità trasparente del mattino a quella più calda e intensa del pomeriggio.

Dal mio osservatorio estivo che - come ormai sapete - è la montagna, ho modo di cogliere i diversi effetti luministici che si creano col passare delle ore in un luogo in cui la presenza di prati e boschi, rocce e ghiacciai, pinete e radure rende ancora più evidente ogni minima variazione.
Incantevole poi la magìa della sera, soprattutto quando le vallate affondano già nell'ombra, mentre le cime sono ancora illuminate.
Se la giornata è stata serena e tersa, il biancore dei ghiacciai sovrasterà il buio fino a tardi, riflettendo gli ultimi bagliori del sole. 
Ma anche quando il cielo è coperto e promette pioggia, lo spettacolo non è privo di fascino. 
Lampioni e luce del crepuscolo si confondono allora in un effetto singolare, mentre il verde delle pinete scivola nell'ombra ammantandosi gradatamente di mistero.
A sera, dal buio del bosco usciranno più numerose le volpi, andando a punteggiare coi loro occhi fosforescenti l'oscurità dei prati, mentre in alto le cime rifletteranno ancora la luce del tramonto.
E contemplando il panorama, forse tornerà alla mente la bellissima immagine con cui il poeta Virgilio conclude la prima Egloga delle "Bucoliche":
".....maioresque cadunt altis de montibus umbrae".

Così, mi piace accompagnare le due foto riportate qui sopra e scattate nel cuore del Parco del Gran Paradiso, con l'introduzione delle "Waldszenen" op.82 di Robert Schumann (1810 - 1856).
"Scene dalla foresta", appunto, come dice il nome: nove pezzi per pianoforte ispirati al mondo della natura. 
In particolare questo brano iniziale, nella sua ricchezza di sfumature che alterna tocchi di luminosità a sonorità più ombrose, ci guida ad immaginare la vita segreta di fiori, insetti e animali lungo i sentieri del bosco o all'interno della fitta pineta. 
Tuttavia non si tratta di una musica puramente descrittiva, ma la foresta è solo il pretesto o l'occasione per un viaggio del compositore nella propria interiorità, alla ricerca di armonia tra luci e ombre del cuore. Ne deriva una melodia semplice ed elegante che ci parla in modo straordinariamente immediato.

Così, sull'onda di queste note, auguro a tutti voi che passate di qui una buona settimana di Ferragosto e....mi prendo una breve pausa!

Buon ascolto!

domenica 3 agosto 2014

Il rosa degli "epilobium".

Estate strana questa, se pure la si può chiamare estate.
Quando la giornata comincia col sole e finisce con l'acqua....ancora può andare, ma se inizia con la pioggia, la cosa si fa decisamente più problematica.
Ma proprio per questo io - che d'abitudine sono mattiniera e se alle otto e mezza non sono fuori casa mi sento ammalata - nei giorni di maltempo ho dovuto cambiare un po' i miei ritmi vacanzieri per regalarmi una passeggiata pomeridiana.

Sono proprio due passi giusto per sgranchirmi, talora anche verso le sei di sera, quando spiove o magari nuove nubi temporalesche si addensano ancora lontane. 
Prendo un sentiero che sale nella parte alta del mio paesetto dove la visuale si allarga su prati e abetaie, le prospettive si ampliano sulle vallate laterali e le cime sembrano proprio a portata di mano. Qui, oltre alla vastità del paesaggio, la suggestione più intensa è quella del silenzio, rotto - o per meglio dire sottolineato - dal suono del torrente che arriva su dalla valle insieme al vento.

Salgo piano, senza fretta, e data l'ora anche senza una meta precisa: mi basta guardarmi intorno, scattare qualche foto lasciando che respiro, passi e pensieri si armonizzino secondo il loro ritmo naturale. 
Ho bisogno di sentirmi parte della natura, lasciandomi pervadere dallo spettacolo della bellezza e soffermandomi con semplicità ad ammirare ogni dettaglio, dai colori delle farfalle ai fiori.

I fiori, appunto: sono gli "epilobium" ad attirare sempre la mia attenzione, con l'intensità della loro tinta e la delicatezza dei loro grappoletti rosa, tanto che non posso mai tralasciare di contemplarli incantata. 
A una curva del sentiero, c'è un cespo più folto degli altri che mi si dispiega davanti ad altezza di sguardo e quasi mi avvolge, regalandomi la singolare sensazione di essere a tu per tu con un interlocutore vivo, mentre il ronzìo delle api che danzano alacremente di fiore in fiore è l'unico suono che ritma il silenzio circostante.
In fondo, i ghiacciai del Gran Paradiso sono coperti da fitte nubi, mentre più vicino la roccia grigia della cima Pousset, con la sua leggera torsione, sembra emergere da una cortina plumbea.
E' un'immensità che lascia spazio alla contemplazione e ogni volta, davanti al rosa degli "epilobium", mi dico che, nonostante la pioggia, lo splendore del paesaggio che mi circonda è assolutamente impagabile.

E come la delicatezza di un ronzìo d'insetti o di un torrente che scorre lontano non va a spezzare il silenzio, ma - lo scrivevo qui sopra - lo sottolinea, così è l'incanto della musica.
Ed è con un pezzo di Antonio Vivaldi (1678 - 1741) che desidero accompagnare oggi il mio cammino, in particolare con il bellissimo "Largo" dal "Concerto in La maggiore op.3 n.5 RV 519 per due violini, archi e basso continuo" tratto da "L'estro armonico".
E' un brano capace di seguirci dolce e pacato, profondo e sottile lungo i nostri sentieri in cerca di pace, mentre il ritmo che fa da sfondo alla melodia sembra scandire lievemente anche passi e pulsazioni.

Verrà pure il maltempo, ma la natura e la musica ci dicono che la Bellezza è senza fine.

Buon ascolto!