venerdì 28 febbraio 2014

Una sera di Carnevale

Tempo di Carnevale, mi dice il calendario. 
Ma me lo suggeriscono anche i dolcetti tipici di questo periodo che occhieggiano invitanti dai post di varie amiche blogger, insieme a quelli - stavolta non virtuali - che vedo nella vetrina del mio panettiere.

Confesso che non ho mai amato in particolare il Carnevale e non tanto per l'idea di mettersi in maschera che - una volta tanto - può costituire un divertente e bizzarro scambio di ruoli, un'inversione di parti non priva di un certo fascino. 
Ma a non piacermi è l'idea di schiamazzo e confusione che la festa porta con sè e che diversi pittori nel tempo hanno rappresentato, peraltro splendidamente, da Pieter Bruegel il Vecchio a Mirò.

Sarà forse per questo che oggi, aggirandomi tra le immagini carnevalesche offerte dal web, mi sono lasciata prendere dal dipinto che vedete, molto differente rispetto alle consuete raffigurazioni.
Si tratta di un'opera di Henri Rousseau detto "il Doganiere" (1844 - 1910), un olio su tela intitolato "Una sera di Carnevale" e conservato al Museum of Art di Filadelfia. 
E' una delle prime creazioni di un artista autodidatta che diventerà significativo esponente dell'avanguardia pittorica francese di fine Ottocento, muovendosi tra Post-Impressionismo e suggestioni esotiche e primitive. 
E anche se i caratteri che lo renderanno famoso - colori dall'infinita gamma di verdi e di rossi, natura rigogliosa e lussureggiante, stile naif - qui non sono ancora del tutto presenti, tuttavia l'opera è già ricca di fascino.

Ci troviamo ai margini di un bosco di alberi fitti e spogli davanti al quale stanno due maschere: Colombina e Pierrot. Accanto, un capanno scuro e in alto il cielo dove una nuvolaglia sparsa va colorandosi delle tinte della sera.

Solitudine e silenzio, insieme a una punta di malinconia sono i tratti distintivi del quadro, creati non solo dalla cortina scura del bosco illuminata sullo sfondo dalle luci pacate del tramonto, ma anche dal fatto che la figura di Pierrot, nella tradizione popolare e pittorica, è spesso avvolta da un'aura di mestizia.

Più che l'atmosfera movimentata e bizzarra di una sera di festa, il dipinto mi sembra evocare la tristezza di certi personaggi da circo fuori dallo spettacolo: mi pare di leggere infatti una sorta di clownesca malinconia nelle due figurette in primo piano, a braccetto come due innamorati certo, ma immerse in una solitudine resa ancor più evidente dal grande spazio alto al di sopra di loro che ne fa risaltare la piccolezza. 
Nè si possono scorgere le espressioni dei volti, ma la postura piuttosto rigida dei piedi di Colombina e delle gambe di Pierrot può far pensare a due marionette sospese a fili invisibili. O forse a maschere solitarie, fuggite dalla festa e dal ruolo per il desiderio di vivere qualche istante di vita propria...

E' la sera di Carnevale, certo, e tuttavia il dipinto ci offre suggestioni ben diverse. 
Le figurette chiare stagliate contro i tronchi scuri, il cielo che le sovrasta sconfinato, il cerchio freddo della luna e quelle nuvole dalle forme un po' realistiche e un po' stravaganti, s'inquadrano in uno spazio dalla prospettiva incerta che crea una visione immaginaria, forse più adatta ad evocare un paesaggio dell'anima che un luogo preciso.
Infatti, accanto a un minuzioso realismo che indugia nel delineare gli alberi nei loro singoli rami, sono proprio questi e le nuvole in alto a suggerirci poi fantasie tra l'onirico e il fiabesco. 
Non una serata di movimentato e fantasmagorico divertimento quindi, ma un'aura di mistero quasi angosciosa e tuttavia affascinante.  

Così, a commento di queste immagini, ho scelto un brano che, più che alla vivacità della festa, mi pare s'intoni al clima del dipinto.
Si tratta della "Sicilienne op.78" di Gabriel Fauré (1845 - 1924), francese e contemporaneo di Henri Rousseau. 
La melodia - qui nella versione per violoncello e pianoforte - si dipana con delicatezza e fluidità in un clima nostalgico di malinconia ben sottolineato dal ritmo e dal timbro dei due strumenti. 
Ma la voce bassa del violoncello, in particolare, ci conduce in un'atmosfera più  raccolta e sognante.

Buon ascolto!

sabato 22 febbraio 2014

Tachicardìa

Tranquilli, anzi, tranquillissimi! 
Non lasciatevi allarmare dal titolo, sto benone!
Solo, mi capita un fenomeno strano che continua a ripetersi ogniqualvolta sono in procinto di pubblicare un post.
All'inizio pensavo fosse una reazione da principianti: l'emozione delle prime volte, la paura di sbagliare o il timore che qualcosa nel vasto oceano del web non andasse per il verso giusto. E credevo che col tempo, come forse accade a chi è più navigato di me, tutto sarebbe sparito. Invece no. 
Che succede, insomma?
In poche parole: una volta che - terminato un post, letto, riletto, pianificato ecc. - mi accingo a mettere la spunta accanto al titolo e cliccare "Pubblica", immediatamente il mio cuore "parte". Anzi, inizia già qualche minuto prima ad accelerare i battiti e le palpitazioni si fanno poi sempre più frequenti proprio come quando ci afferra una morsa di ansia e sentiamo per così dire le "farfalle nello stomaco".
Poi, dopo che il post è stato pubblicato e la creatura ha preso felicemente il volo verso lidi vicini o lontani, allora il cuore si calma placandosi come un mare che, cessato il vento che lo agitava, torni liscio come un olio.

L'ho detto: all'inizio poteva essere solo paura di sbagliare, ma poi con l'andar del tempo, mi sono accorta che a farmi questo effetto è l'emozione che provo nel condividere musica; emozione gioiosa certo, ma così persistente da attraversarmi tutte le volte che pubblico un pezzo. 
Ogni tanto, dico a me stessa che sono un po' un'oca a reagire così....manco i brani che metto in rete fossero miei!!!
Ma poi ci ripenso e mi rendo conto che, in fondo, quella musica è anche mia perchè non so parlarne in modo asettico, senza lasciarmi prendere e toccare dalla sua bellezza. Al contrario, essa entra a far parte di me al punto che non potrò mai regalarvi un pezzo di Bach o di Mozart, di Haydn o di Vivaldi - solo per fare qualche esempio - senza che a quelle note sia legato un po' del mio cuore, almeno un pochino. 

Forse anche per questo, al momento di condividere, riaffiorano in me antiche timidezze. E' ben vero, infatti, che quando ho aperto il blog le mie intenzioni erano di mantenermi decisamente nell'ombra lasciando spazio solo alla musica. Ma quasi subito mi sono resa conto che - lo si voglia o no - tutto parla comunque di noi, dalle scelte degli autori e dei brani, fino all'ultimo aggettivo usato per descriverli o alle foto nel riquadro (....a proposito, visto che bella questa???).

Così, l'angoletto di web in cui condivido musica e immagini, è diventato pian piano un luogo di dialogo che è, in realtà, la dimensione più significativa di cui vi sono molto grata. Virtuale quanto si vuole, ma un blog è pur sempre un incontro tra persone con tutta la preziosità e la ricchezza che questo comporta. Allora, nonostante dai miei inizi sia trascorso del tempo, ancora mi emoziono e, ogni volta che pubblico un pezzo, vivo la gioia e il tremore di mettere in rete una parte di me.

E ora, mentre - lo sento - il cuore sta già aumentando la frequenza dei battiti, vi regalo un brevissimo quanto famoso brano di Chopin, forse uno dei primi che mi ha portato ad appassionarmi al suo autore: lo "Studio in Sol bemolle maggiore op.25 n.9" detto "La farfalla". La musica ne riprende infatti l'incedere lieve e staccato così come ce lo offre, in particolare, lo splendido tocco della Lisitsa. 
Ma caratteristica evidente di questo pezzo è anche il ritmo, scandito proprio come una pulsazione ora più giocosa e leggera, ora più decisa e sostenuta, ma sempre all'interno di in un'interpretazione di grande fluidità.

Buon ascolto!

domenica 16 febbraio 2014

Costruire la casa

Mi è piaciuta molto l'iniziativa a seguito della quale venerdì scorso, giorno di San Valentino, Papa Francesco ha incontrato in piazza San Pietro più di venticinquemila fidanzati provenienti da tutto il mondo.
Un modo, a mio avviso, efficace di andare al di là dell'aspetto consumistico e pubblicitario con cui la festa degli innamorati viene ormai normalmente ricordata, per restituirle il significato essenziale. 
Non serve festeggiare San Valentino per abitudine, ma - come ogni altro tipo di ricorrenza - essa ha valore solo se esprime una verità di fondo, se è la punta di un iceberg che poggia su solide basi.

Credo di aver detto anche in passato di essere un po' allergica alle giornate istituite nel tempo per celebrare uno svariato numero di cose. 
Certo, possono nascere da buone intenzioni, ma tante ricorrenze sono spesso dettate da chiari interessi commerciali e non amo festeggiare a comando. 
Lo faccio se ho un motivo, un'esperienza profonda da condividere. Festeggio se la gioia è prima di tutto nel cuore e - se è così - tutti i giorni sono buoni per scambiarsi delicatezze da innamorati di Peynet. Altrimenti San Valentino diventa solo una bella facciata e nulla più.

Allora mi piace che Papa Francesco abbia voluto entrare in questa festa, divenuta ormai del tutto profana nonostante porti il nome di un Santo, per restituirle significato e sacralità riportandola alla sua essenza.
Non è facile parlare di amore oggi, esperienza meravigliosa e incantata, e tuttavia fragile e precaria più che mai. Ma con la sua nitida concretezza, il Papa ha paragonato l'amore tra fidanzati e sposi a una casa da costruire insieme, "luogo di affetto, di aiuto, di speranza, di sostegno" con fondamenta solide e coraggiose che non si adeguino alla "cultura del provvisorio". 
La sua esortazione a non temere scelte definitive nel contesto attuale dove - al contrario - tutto sembra scivolar via e dissolversi, mi è parsa più che mai ricca di speranza. Coglie infatti quell'aspirazione profonda che, nonostante tanti timori e insicurezze, ogni essere umano porta in sè: il desiderio di un "sogno fermo" - per dirla con Ungaretti - su cui tornare a fissare lo sguardo.

Ma mentre leggevo i vari resoconti dell'udienza papale, pensavo anche a quanto la musica - come del resto ogni forma d'arte - sia in questo un validissimo aiuto, quasi un cammino privilegiato che riconduce all' essenziale poichè attinge a una sorgente di Bellezza non provvisoria. Ci regala infatti intense emozioni che aprono alla verità di noi stessi e insieme al mistero, a quel nucleo segreto dove finito e Infinito s'incontrano e in cui ogni esperienza può ritrovare il suo senso profondo.
Così, oggi vi propongo un brano di assoluto splendore, capace davvero di parlarci con la sua leggiadrìa: la prima parte della "Romanza in fa minore op.11" di Antonin Dvorak (1841 - 1904), qui nella versione per violino e orchestra. 
Si tratta di una melodia di grande lirismo, dolce e appassionata proprio come il dialogo di due innamorati in un'atmosfera intima e sognante, ma non priva di aperture a un disteso ritmo di danza. 
Il pezzo riprende l’Andante con moto quasi allegretto dal "Quartetto d’archi in fa minore n.5 op.9", scritto dal compositore solo pochi anni prima.
Della "Romanza", inoltre, esiste anche una versione per violino e pianoforte che potete trovare qui, a mio avviso molto suggestiva soprattutto nella parte iniziale. I due strumenti ci fanno dono infatti di una straordinaria purezza di suono insieme a un'incomparabile intensità.

Buon ascolto!

 

domenica 9 febbraio 2014

Sguardi a ritroso

Quando si è raggiunta quella che si dice "una certa età", capita talora di guardarsi indietro riconsiderando la strada percorsa, le cose fatte, le scelte compiute e via dicendo. 
Sono valutazioni che, ultimamente, è occorso di fare anche a me sollecitata dal tempo che passa e dalla gioia sempre viva della condivisione.

Naturalmente, mi sto riferendo a questo blog (eh, eh....cosa credevate???) che - nato nell'ottobre del 2010 - conta già la bellezza di tre anni e qualche mese e non mi par vero.
Così, amo ogni tanto ripercorrere il cammino compiuto, grata del dialogo che si è instaurato con chi passa di qui, talora più aperto, talaltra implicito, ma non per questo meno vero nella comune passione per il mondo delle note. 
Ma riandare alla strada percorsa è per me un gesto tutt'altro che autocelebrativo: infatti, un po' pignolina come sono, se rileggo un post sento subito che avrei potuto esprimermi meglio, tagliare qui, approfondire là e così via. Solo quando riascolto la musica, allora sto bene....

Tempo fa, qualcuno mi ha chiesto quale brano, tra quelli pubblicati, considero in assoluto il migliore per una particolare interpretazione o anche solo perchè capace di restituirmi determinati ricordi o suggestioni.
Devo confessare che non so rispondere, un po' perchè tutta la musica che condivido mi piace ed è legata a un'emozione - diversamente questo blog per me non avrebbe senso - e un po' perchè, come penso capiti a tanti, vado a momenti: ho il periodo violinistico, quello organistico, oppure quello in cui vivo del fascino del pianoforte solo. Ma sono attratta anche dalla polifonia e inoltre mi appassionano quei contemporanei che riprendono autori del passato, a cominciare da Sting o dai miei mitici Swingle Singers quando rielaborano Bach.

Bach, appunto....E' chiaro come il sole che lo adoro da sempre, ma insieme a lui ho imparato ad amare anche altri compositori, tutti straordinariamente comunicativi perchè capaci di far vibrare in noi corde diverse ma ugualmente profonde.
Posso dire quindi cosa mi affascina di tempo in tempo in base alla ricettività del momento, ma senza stilare graduatorie assolute. Più grande Mozart o Bach? Chopin o Rachmaninov? Meglio il passato o il presente? Scarlatti o Philip Glass? Sarebbe come voler dibattere se Michelangelo sia più grande di Leonardo o di Giotto, oppure Leopardi di Dante. Non si può. Ciascun autore è unico nella sua personalità artistica se le sue opere sanno raggiungere il cuore delle persone.
Così, ogni musicista è una particolare sfaccettatura di quel meraviglioso cristallo che è la musica, capace di risuonare in modi differenti attraverso il genio di ciascun compositore. Insomma, armonia di bellezze diverse....

Allora, a completare questo discorsetto, oggi vi farò fare una breve passeggiata proprio fra le bellezze diverse degli autori postati, segnalandovi qua e là i brani che, di tempo in tempo, mi capita di riascoltare più spesso. 
Ma ve li indicherò senza citarli con precisione, per lasciarvi il bello della sorpresa qualora vogliate aprire i link riportati.
Di solito, se la giornata è un po' fiacca e ho bisogno di ritmo e grinta, vado subito qui . Se poi voglio ascoltare una musica che sia un dialogo di voci, questo è l'angoletto giusto per trovarla.
Quando invece sento l'esigenza di una pausa rasserenante e terapeutica, torno inevitabilmente qua; o se cerco luminosità, mi affido alle note di una splendida colonna sonora. Ma se avverto il desiderio di vivacità e insieme di leggerezza ecco il brano per me più adatto.  
Inoltre, mi capita spesso di ripercorrere le note di un concerto mirabile che potete ritrovare nel seguente post.
Se poi voglio tornare a una melodia assorta, simile a una profonda meditazione, allora vado a riascoltare questo brano, forse non il più famoso tra quelli del suo autore, ma per me sempre straordinario. 
Infine, il canto polifonico dal quale non mi staccherei mai è qui.
......Ma ora mi fermo, ben consapevole che si tratta di alcuni esempi che nulla tolgono allo splendore e alla gioia che mi regalano anche gli altri brani postati finora.

E per chiudere, oggi vi propongo una new entry, nientemeno che Richard Wagner (1813 - 1883) cha fa il suo ingresso in questo blog con un pezzo che appartiene proprio alle mie prime frequentazioni della musica classica: il "Preludio" del terzo atto del "Lohengrin".
Faceva parte infatti di uno dei miei primi LP, una miscellanea in cui il brano, con la sua scintillante vivacità, precedeva la mirabile pace del "Largo" di Haendel. 
La seguente clip video mi ricorda proprio quell'antica interpretazione
dal ritmo concitato e teso, ricca di tale trascinante energia da essermi rimasta nel cuore.

Buon ascolto!

lunedì 3 febbraio 2014

Germogli

Nevica. 
Sui vetri obliqui della mansarda è rimasto uno strato di fiocchi che smorza il biancore esterno e pervade l'ambiente di una bellissima luce ovattata, discreta, quasi la neve fosse una tenda all'interno della quale sentirsi dolcemente al riparo. 
E mi sembra che la stanza, zeppa di libri e un po' disordinata, diventi un rifugio ancora più intimo e pieno di silenzio.

Mi piace quest'atmosfera, questo sentirsi protetti dalla neve come fossimo terreno invernale che aspetta paziente di germogliare covando una vita in segreto.

Tuttavia mi rendo conto che non sempre è così. Può accadere talora di sentirsi terra arida, battuta dai venti o indurita dal gelo, quasi il cuore non riuscisse più a nutrire emozioni e a far verdeggiare la speranza. O forse è solo il susseguirsi delle stagioni che - come si avvicendano nel cielo - si alternano anche in noi in una sorta di meteorologia dell'anima: giorni di pioggia o di grigiore ed altri di sole pieno, tempeste che pensavamo non dovessero finire mai e inattese albe sfolgoranti di colori. 

Sempre più sperimento che la vita è alternanza, ma proprio questo ci consente di avvertire l'energia di un ritmo più dinamico dopo il riposo o il sollievo della distensione dopo la fatica; di sorridere a una sorpresa che vivacizza il quotidiano, ma anche alla pacificante tranquillità dell'ordinaria amministrazione.
Colori diversi e sfumature differenti di quell'arcobaleno di cui, in fondo, si compongono le nostre giornate e le alterne vicende delle nostre stagioni.

Tuttavia non è mai facile - e lo si coglie soprattutto in questi tempi - attraversare i periodi in cui le nubi si addensano o, peggio ancora, il cielo appare vuoto, privo di prospettiva o di aperture al sereno. 
Occorrono perseveranza e fiducia per tenere salde le speranze e intuire, vedendoli già con lo sguardo del cuore, i fiori che sbocceranno a primavera, come i bucaneve della foto si aprono sopra la bianca coltre invernale. 
Fragili e teneri, certo, ma vivi e ammantati di assoluto splendore come neppure sapremmo pensarli, piccoli segni leggiadri di una vita che non cessa di avvolgerci, dentro e fuori di noi.

E la loro delicatezza oggi mi ha fatto pensare a un brano di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809): il secondo movimento, "Adagio", dalla "Sonata in Fa maggiore Hob XVI/23".  
Si tratta di una melodia nitida e semplice nella quale mi pare di cogliere da un lato reminiscenze mozartiane e dall'altro accenti di una modernità che Haydn ci testimonia, del resto, anche altrove.
Il pianoforte solo conferisce grande dolcezza a quest'aria che - nella sua alternanza di fa minore e la maggiore - sembra simile a un cielo che si offusca qua e là di nuvole e poi s'illumina di luci di speranza. 
Il tema infatti, accompagnato dai pacati arpeggi della mano sinistra, si anima e si placa in morbidissime fioriture di note, luminoso e lieve come i piccoli bucaneve della foto, teneri germogli a ricordarci che dal buio invernale rinasce lo splendore.

Buon ascolto!