venerdì 29 novembre 2013

Novembre: gelidi spazi aperti all'ignoto.

Il freddo e le distese di campi brinati di questi giorni di fine novembre m'inducono a cercare immagini di paesaggi invernali, con la loro atmosfera talora calda e familiare, ma spesso anche desolata o straniante.
Così, oggi, ho scelto di condividere con voi un dipinto che ha sempre esercitato su di me un grande fascino, fin da quando l'ho potuto ammirare per la prima volta sul testo di Storia dell'arte del liceo.

Si tratta di una delle creazioni più famose di Caspar David Friederich (1774 - 1840) intitolata "Il mare di ghiaccio" e conservata presso la Kunsthalle di Amburgo. Ma è nota anche come "Il naufragio della Speranza tra i ghiacci", con riferimento all'insuccesso di alcune spedizioni che negli anni tra il 1819 e il 1824 erano partite per il Polo Nord.

E' lo sfascio di un grande iceberg a campeggiare al centro dell'opera attirando la nostra attenzione, in mezzo a una sconfinata distesa di ghiaccio che sembra perdersi in un gelido nulla: schegge e lastroni simili a pezzi di muraglia tagliente sullo sfondo di una landa solitaria e inospitale. 

Manca infatti totalmente la presenza umana e solo in un secondo tempo ci si rende conto che, nella parte destra del quadro, compare rovesciato lo scafo scuro di una nave, segno di una tragedia ormai compiuta.

Tuttavia, al di là del fatto in sè, il tema del dipinto si carica di significati simbolici che forse alludono anche alla compagine politica e culturale del tempo in cui il pittore è vissuto.
Nella rappresentazione della sconfitta dell'uomo ad opera degli elementi della natura, si esprime infatti il contrasto tipicamente romantico tra tensione verso l'assoluto e avversità del destino, insieme alla consapevolezza del limite e della fragilità umana. 
Ma l'immagine può essere forse anche memoria di un evento luttuoso che aveva segnato la giovinezza dell'artista.
Nella sconnessa montagna di lastre sotto le quali si apre il mare, Friederich potrebbe aver proiettato il trauma subito a tredici anni, quando la superficie di ghiaccio sulla quale pattinava si era spezzata e un fratello - dopo avergli salvato la vita - era stato irrimediabilmente inghiottito dalle gelide acque sottostanti.

E tuttavia, non sono solo questi i dati e le suggestioni che il dipinto mi comunica. Non è solo il paesaggio in primo piano così irto di linee oblique e aguzze a colpire il mio sguardo, ma lo sconfinato spazio al di là di quelle. 
Al di là dei segni del naufragio, nello sfondo di un cupo azzurrino in cui compaiono altri iceberg simili a pallidi fantasmi, c'è infatti un oltre misterioso. Forse il nulla, il deserto, il vuoto di esseri umani; forse l'ignoto con la sua carica di angoscioso sgomento, certo, ma anche con un respiro che apre a mondi sconosciuti.  
E gli iceberg più lontani che si delineano appena come ombre leggere all'orizzonte, disegnano una geografia da esplorare, uno spazio che attrae e intimorisce ad un tempo, come tutto ciò di cui non si ha ancora esperienza.

Anche i colori chiari e il prevalere delle tonalità fredde, soprattutto nella parte superiore del dipinto, accentuano il senso di una desolazione nella quale ogni grido si perde nel silenzio di un mondo completamente disabitato; così come quello sprazzo di luce dall'alto fa ancor più risaltare il cupo orizzonte.
E' una prospettiva di solitudine totale dalla quale l'animo si ritrae spaventato, e tuttavia non priva di un suo misterioso fascino e forse talora specchio di una situazione esistenziale.

Così, mi piace associare a questa immagine un brano di Philip Glass, "The Poet Acts", tratto dalla colonna sonora del famosissimo film "The Hours".
Credo non ci sia musica più adatta di quella di Glass per esprimere l'inquietudine che segna la vita dell'uomo: note ansiose e tutt'altro che rassicuranti, quasi aprissero dentro di noi la percezione di universi sconosciuti, eppure ricche di una struggente, malinconica dolcezza.
E nonostante la sfasatura cronologica tra i due artisti, mi pare che il brano possa adattarsi anche al dipinto di Friederich che - pur inquadrandosi nel clima e nella sensibilità romantica d'inizio Ottocento - offre suggestioni che vanno ben al di là del suo tempo.
Spazi, quindi, che ci conducono verso l'ignoto, insieme a note che sono tensione e al tempo stesso carezza d'infinito.

Buon ascolto!

venerdì 22 novembre 2013

Un "flash mob" per Santa Cecilia

Blanchard Jacques - S.Cecilia
Ho sempre apprezzato l'abitudine, diffusa più all'estero e purtroppo meno in Italia, di far musica per strada. 
Buona musica, intendo.
Ricordo di aver visto a Parigi, Praga, Lipsia, Norimberga - e certo sarà così anche in altre città - violinisti, flautisti, quartetti d'archi o altro improvvisare piccoli concerti agli angoli delle strade, nelle piazze o nel métro per la gioia dei passanti attratti e illuminati per qualche momento dallo splendore delle note.  
E' sempre piacevole infatti, anche attraversando il chiasso metropolitano, esser catturati da un'armonia lontana che ci attira. E si tratta spesso di studenti di conservatorio o piccoli ensembles che offrono all'ascolto pezzi classici con esecuzioni quasi sempre di buon livello. 

Ricordo in particolare una giovanissima violinista che, all'ingresso della Gemaldegalerie di Dresda, suonava Bach in modo così incantevole che avevo faticato a trattenere la commozione. Sarei rimasta lì all'infinito a godere di quel dono tanto prezioso quanto inaspettato.  
Ma in ogni circostanza essere sorpresi dalla musica è un'esperienza di grande intensità: essa ci cattura per strada e ci porta via con sè con la sua potenza aggregatrice e comunicativa, con la sua capacità di unire le persone al di là delle differenze di colore, razza, religione e via dicendo.
Rasserenante, terapeutica, vivificante, sa restituire noi a noi stessi e ricolmarci di pace.

Per questo - e per celebrare l'odierna ricorrenza di Santa Cecilia, protettrice della musica e dei musicisti - desidero condividere con voi un video un po' singolare. 
Non ci troviamo in un teatro nè in una sala da concerto, ma nel grande atrio di un modernissimo padiglione dell'Hadassah Medical Center di Gerusalemme. 
Non c'è il silenzio attento che prelude al primo colpo di bacchetta di un direttore d'orchestra, ma la confusione e il brusio di tanta gente in movimento. 
Eppure, sta per accadere qualcosa: a un tratto, a cominciare da piccoli arpeggi, inizia a risuonare una musica e la sua magìa riesce a sorprendere e catturare i presenti. C'è infatti chi passa oltre lanciando tuttavia uno sguardo veloce e chi si sofferma incuriosito o scatta una foto; chi si lascia coinvolgere accennando magari anche un passo di danza e chi invece non si muove dal proprio posto continuando a leggere il giornale, ma lo fa - avete notato? - a tempo di musica, seguendo con le mani il ritmo del brano.

Ed è l'intensità degli sguardi a rivelare la passione che a un tratto coinvolge quasi tutti nel ritmo di quel concerto improvvisato: persone estranee un attimo prima e poi accomunate dallo stupore; sorrisi che fioriscono qua e là e per qualche momento hanno il sopravvento anche sul disagio o la malattia, come se nelle note che ascolta ciascuno riconoscesse una parte di sè, una vena d'intima gioia. 
Sono momenti in cui tutto si trasforma: così, anche solo per poco ci si ferma, si partecipa, si danza, si applaude, si sorride, ci si lascia raggiungere e toccare dalla Bellezza.

Ma sono anche i giovanissimi orchestrali - allievi della "Jerusalem Academy of Music and Dance" - che sulle note rasserenanti del "Valzer dei fiori" da "Lo Schiaccianoci" di Tchaikovsky, esprimono prima di ogni altra cosa il piacere di suonare mettendo in gioco, come ogni musicista, non solo la propria abilità ma innanzitutto il proprio cuore.
Ne deriva così un'esperienza d'impagabile gioia che prende tutti - noi compresi - coinvolgendoci non soltanto nel ritmo del valzer, ma anche nella multiforme e fantasmagorica danza della vita.

Buona visione e buon ascolto! 

domenica 17 novembre 2013

Tre minuti di pura gioia

Lipsia - Thomaskirche
Ho nostalgia di Bach. 
Sono passati più di due mesi dall'ultima volta che ho pubblicato un suo brano e - devo dirlo - mi manca.
Ogni tanto, ripenso a quella mattina incantata dello scorso anno in cui a Lipsia, nella Thomaskirche, ho potuto rendere omaggio alla sua tomba: un ricordo che potete trovare qui
Ma non è solo quello. 
Per quanto ami ogni pezzo dei vari compositori postati fino ad ora in questo blog, è proprio delle sue note che - periodicamente - mi prende la nostalgia.
Mi afferra improvvisa in certi giorni di cielo grigio e ventoso, o in certe mattine quando esco di casa e, svoltato l'angolo, cerco involontariamente uno sprazzo di azzurro, un respiro in sintonia con la luce, dentro e fuori di me.
E' nostalgia di un riferimento essenziale cui riandare di tanto in tanto, una sorgente cui attingere acqua fresca, un ruscello - e non è appunto il nome Bach? - che scaturisca dal profondo e del quale seguire il canto.

Di solito, la musica prende a risuonare in automatico dentro di me: esco di casa e mi parte la colonna sonora della giornata. Qualche volta sono i Brandeburghesi, in altri momenti un' Invenzione, ma più spesso sono le sue composizioni per organo. Sono queste a catturarmi non solo con la grandiosità delle fughe più complesse e famose, ma anche con quei brevi, incantevoli pezzi come - per esempio - i Corali Schubler e non solo.

Mi hanno sempre affascinato infatti le molteplici sonorità dell'organo, strumento del tutto singolare in cui la musica con le sue vibrazioni sembra letteralmente attraversare chi suona ma anche chi ascolta, come si fosse una cosa sola con essa. Sonorità che ci abbracciano e - nel vero senso della parola - ci com-prendono, ci prendono insieme facendo vibrare ogni nostra fibra in modo ancora più intenso rispetto ad altri strumenti.
La mia è una passione che risale a quando ero bambina e, più o meno a dieci anni, ero entrata a far parte della piccola schola cantorum della mia parrocchia. 
Dico la verità: allora, più che la musica erano gli elementi coreografici ad attirarmi. Salire insieme alle mie amiche sulla balconata del vecchio organo della chiesa nei giorni di Messa solenne, con la scala a chiocciola e l'impiantito in legno che scricchiolavano sotto i nostri passi e poi, soffocando qualche risata, contemplare dall'alto le navate piene di gente era un impagabile divertimento. 
Ma era interessante osservare anche l'organista - allora giovane di belle speranze che avrebbe poi acquisito una certa fama nel panorama musicale della mia città - alle prese con le tastiere e i diversi registri dello strumento, mentre il coro maschile si sgolava in un latinorum alquanto approssimativo. 
Ricordo ancora il rumore secco e legnoso della manopola che veniva velocemente spostata per cambiare registro e mi piaceva sentirmi attraversare dalle vibrazioni sonore soprattutto quando veniva inserito il ripieno.
Insomma, questi sono stati gli inizi. 
Poi il tempo, le circostanze, la passione hanno fatto il resto e mi sono ritrovata a incontrare tanti compositori, a cominciare appunto dall'immenso Bach.

Allora, tra le sue composizioni per organo, oggi desidero condividerne con voi una breve, ma di grande efficacia: la "Fuga in sol minore BWV 578" 
Sono tre minuti di pura gioia in un brano fresco e vivace nel suo andirivieni di note che si alternano tra la mano destra e la sinistra, mentre l'entrata progressiva delle quattro voci - l'ultima sulla pedaliera - ci regala un intreccio di crescente splendida complessità. 
Una costruzione di perfezione matematica e ritmica, articolata e leggera ad un tempo - qui sta il pregio! - con aperture di intensa luminosità che l'esecuzione, a mio avviso particolarmente nitida, mette bene in evidenza. 
Una pagina ricca di energia fino all'accordo finale che - come troviamo di frequente nelle creazioni bachiane - è in tonalità maggiore, quasi il compositore abbia voluto congedarsi proprio con un invito alla speranza e al sorriso.

Buon ascolto!

lunedì 11 novembre 2013

Blogger in festa

E' stata ancora una volta una Milano dolcemente autunnale ad accogliere l'incontro dei blogger che si è tenuto ieri, sempre perfettamente organizzato in ogni dettaglio dall'infaticabile Ambra, coadiuvata da Sandra ed Erika.
Un appuntamento che ha visto la partecipazione di numerosi amici provenienti non solo da Milano e altre località non lontane, ma anche dall'Emilia Romagna, dal Lazio, e dalla Puglia. Un'occasione di ritrovo vissuta all'insegna della familiarità sia per coloro che già si conoscono, sia per i nuovi: un incontro segnato da grande spontaneità in un clima decisamente gioioso, con un pensiero agli assenti che tuttavia non ci hanno fatto mancare il loro affetto con una telefonata o un graditissimo regalo.

Stavolta, tra gli altri erano presenti alcuni blogger che non conoscevo, ma è stato facile per tutti - almeno così mi è parso - trovarsi a proprio agio e intavolare discorsi che rispecchiassero quella verità che ciascuno porta in sè. 
Il fatto di vivere la stessa esperienza, di aver desiderato un giorno di condividere con un giro più ampio di persone interessi, conoscenze, idee e passioni attraverso i rispettivi blog, ha creato subito una simpatica base d'intesa e un'immediata disponibilità al dialogo. 

Ho scritto sopra "intavolare"....e in effetti, dopo un giro per le vie del centro di Milano, è stato proprio a tavola - gustando un pranzo che è ancora poco definire sontuoso - che lo scambio si è concretizzato.
Ma è stata anche la musica a segnare la giornata con una sorpresa che ci ha lasciato stupiti: mentre pranzavamo, da alcuni tavoli del ristorante si sono levate a un tratto le voci di un coro polifonico, un gruppo venuto dalla Francia a Milano per approfondire il proprio interesse musicale. Impossibile non commuoversi a quelle note che ci hanno colto d'improvviso, regalandoci un'onda di sorprendente bellezza. 

Infine, non è mancato uno sguardo alle opere d'arte della città: in particolare alla basilica di S.Eustorgio e agli affreschi della Cappella Portinari di cui la foto in alto raffigura l'esterno, un luogo incantevole in cui Medioevo e Rinascimento si fondono e che la luce del tramonto ha reso ancora più affascinante. 

E mi è parso proprio significativo questo ritrovarsi anche nella ricerca e nella contemplazione della bellezza che - a pensarci bene - è un po' il denominatore comune dell'attività di noi blogger. 
In fondo, che ci si occupi di letteratura o di fotografia, di attualità o di musica, di pittura o di cucito e via dicendo, è sempre un'armonia esteriore ed interiore ad un tempo ciò che si va cercando, l'obiettivo a cui si tende. Un'armonia colta in un fiore o in un paesaggio, in un ricamo o in una poesia; nello splendore dei colori o dei suoni o nel ritmo di un racconto che nasce dal cuore e parla al cuore.
E', in ogni caso, il desiderio di condividere qualcosa - piccolo o grande che sia - che un giorno con la sua bellezza ci ha toccato e non possiamo più tenere soltanto per noi. 

Così, a commento di una giornata tanto piacevole, mi piace postare un brano scintillante che mi sembra rispecchiare bene il clima di vivacità che l'ha contraddistinta: il "Valzer" dalla "Serenata per archi in Do maggiore op.48" di Tchaikovsky che dedico in particolare a tutti i partecipanti all'incontro di ieri.
Si tratta di una composizione dal ritmo trascinante, nella quale l'intreccio progressivamente più vivace delle voci dei vari strumenti esprime una gioia sorgiva che ci coinvolge attraverso un'esecuzione di grande garbo e freschezza.

Buon ascolto!
 

mercoledì 6 novembre 2013

Nel segno del violoncello

Spero che a voi che frequentate questo spazio non dispiaccia troppo se, prima di passare ad altro, oggi torno per qualche momento sul "Larghetto" di Dvorak postato la volta scorsa. 
Il fatto è che - come spesso mi accade - dopo aver pubblicato una musica, questa mi resta dentro. 
Me la ritrovo nel cuore al mio risveglio, mi accompagna quando esco di casa, vi scorgo nel tempo sfumature che non avevo notato e talora mi rammarico per non averne parlato a sufficienza qui con voi. 

Come scrivevo anche in passato, sono proprio i ripetuti ascolti a farci cogliere in un brano meraviglie sempre nuove. E davvero non riesco a staccarmi da questo "Larghetto", per la bellezza struggente e intima della melodia iniziale che si ripete in tonalità diverse e la crescente intensità espressa dal grande respiro dell'orchestra d'archi. Nella sua dolce malinconia, mi fa pensare a un delicato pas de deux e oserei dire che quasi me lo fa vedere. 
Ma anche in seguito, dopo un secondo tema più acceso e concitato, è ancora un movimento di danza a venirci incontro, mentre di nuovo risplende l'incantevole aria iniziale con toni di più distesa serenità, scandita dal ritmo profondo dei pizzicati di contrabbassi e violoncelli. 

I violoncelli, appunto. Qualche volta, quando lascio volare i pensieri e la fantasia si sbriglia, mi diverto a immaginare quale strumento sarei se facessi parte di un'orchestra. 
....E sì! Vorrei essere un violoncello, perchè sa regalare a una melodia il timbro di una voce più profonda o l'afflato di un respiro più ampio. Infatti - sia che ricopra il ruolo di solista, sia che rimanga all'interno del complesso orchestrale - la sua prerogativa consiste nel dare intensità a ciò che si sta eseguendo, costruendone lo spessore e insieme il ritmo, proprio come avviene nel "Larghetto" di Dvorak.

Per questo, oggi sono qui a proporvi un famosissimo brano, colonna sonora di uno dei più celebri film della storia del cinema: "La strada" di Fellini.
Ricordiamo tutti le musiche composte da Nino Rota (1911 - 1979) e, in particolare, il tema delicato e suggestivo che circonda il personaggio di Gelsomina restituendocene tutta la poesia.
E' vero che, nella pellicola felliniana, quell'aria si snoda sulle note di una tromba solista, ma trovo particolarmente pregevole anche l'arrangiamento che il video seguente ci presenta, fatto da un ensemble di otto violoncelli. 
Sono proprio questi strumenti, con la loro voce intima e profonda, a svelarci - a mio avviso - ogni possibile sfumatura della splendida melodia, sottolinendone malinconia e passione, delicatezza e intensa drammaticità.

E - singolare coincidenza - avverto anche una certa somiglianza tra le battute iniziali del brano di Rota e quelle del Larghetto di Dvorak, anche se non mi pare il caso di istituire confronti perchè epoca, scopo, ritmo e clima complessivo dei due pezzi - l'uno destinato ad una sala da concerto e l'altro a seguire le vicende di un film - sono molto diversi. 

Bellissima poi, nel video, la serie di inquadrature che mettono in luce i gesti, la passione e la concentrazione dei musicisti: sguardi, mani, sorrisi, particolari che - ancora una volta - ci dicono la gioia di far musica insieme e viverla nel profondo.

Buona visione e buon ascolto!