venerdì 26 luglio 2013

Luglio: pacate immagini di silenzio.

Siamo ormai nel cuore dell' estate e, dopo le lamentele sul tempo che non si metteva al bello, già i quotidiani sono pieni di allarmistiche previsioni sul caldo torrido che fa e soprattutto che farà nei prossimi giorni.

Per questo, oggi vado in cerca di riposo e di frescura, tuttavia non tra ruscelli e prati di montagna come peraltro mi è congeniale, ma attraverso alcune immagini che rappresentano momenti di vita quotidiana e interni di case capaci di restituirci una rasserenente percezione di pace.
Non è raro per me essere attratta da rappresentazioni che mi comunicano quel senso di tranquillità ombrosa che viene spontaneo cercare durante la pausa estiva. Anche lo scorso anno, a quest'epoca, ricordo di aver presentato qui un'opera di Emanuel De Witte, "Interno con donna alla spinetta", ambientata in un' affascinante sequenza di stanze tra luce e penombra.
Così, oggi mi sono lasciata catturare dall'incanto di alcune immagini del pittore olandese Jan Vermeer (1632 - 1675). 

Si tratta di due famosissime opere: "Giovane donna con una brocca d'acqua" e "La lattaia" conservate rispettivamente al Metropolitan museum of Art di New York e al Rijksmuseum di Amsterdam.

Non sta a me parlare qui di queste splendide creazioni in merito alle quali, nel tempo, sono state espresse analisi ben più qualificate di quello che può nascere dal mio semplice sguardo. Tuttavia, mi piace condividere quegli elementi che, da sempre, me le hanno rese vicine suggerendomi un particolare clima e un silenzio nel quale immergermi, come del resto accade anche per altri dipinti dello stesso autore.

Si tratta di due opere apparentemente diverse per lo spazio in cui sono inquadrate, ma non prive di svariate affinità.
Il primo dipinto rappresenta un ambiente raffinato: ce lo dimostrano l'abbigliamento della donna, i vetri lavorati della finestra e il tappeto sul tavolino. Il secondo, invece, ci conduce nella semplicità di una cucina, come appare dagli arredi più comuni, la parete spoglia e la donna - certo una domestica - in maniche rimboccate e grembiule. Così pure, le brocche che entrambe hanno in mano nei rispettivi quadri sono di materiali differenti, uno più raffinato, l'altro più rustico.

Tuttavia mi colpiscono anche varie somiglianze che costituiscono, a mio avviso, il vero fascino dei due dipinti.
In entrambi compaiono infatti personaggi, inquadrature, ma anche oggetti e semplici gesti fissati nel tempo in una quiete pacata e silenziosa. Iconografia comune, tra l'altro, a diverse opere di Vermeer per la presenza di elementi ricorrenti: una stanza tra luce e penombra, sul lato sinistro una finestra dai vetri molati, talora un tappeto, una carta geografica e altri svariati oggetti.

Ma è la posizione del viso lievemente inclinato delle due donne insieme allo sguardo chino non rivolto allo spettatore che conferisce ad entrambe il fascino di un silenzio assorto. Non ci sono occhi sereni o malinconici, alteri o sfacciati che si rivolgano a noi che guardiamo quasi con la volontà di provocare  un'immediata reazione. Ma un raccoglimento pacato intorno ai gesti e agli oggetti quasi i personaggi ci guidassero a focalizzarci su quelli: sui vetri lavorati della finestra semiaperta dalla quale un fascio di luce obliqua illumina la donna, o su quel filo di latte che cola ininterrotto dalla brocca avvitandosi leggermente su se stesso.
C'è infatti un mistero in Vermeer - singolare artista del quale poco, in fondo, si sa e che ci ha lasciato un limitato numero di opere - che si esprime in questa pacatezza, in una sorta di invito ad entrare nel quadro, ad immergerci nella sua atmosfera nitida e nella sua luce senza tempo.

Ma, nonostante la luminosità, spira dalle immagini anche un senso di ombrosa frescura che nasce da svariati elementi coloristici.
Nel dipinto "Giovane donna con una brocca d'acqua" a creare questa suggestione mi pare sia lo spazio chiaro della parete e quel bianco copricapo inamidato quasi monacale sul quale sono visibili i segni delle pieghe, dipinte con la maestria che tanti autori del Seicento hanno avuto nel rendere la preziosità della stoffa o - in questo caso - la sua elegante semplicità. 

Osservando "La lattaia", è invece quel blu del grembiule insieme alla brocca e alla tovaglia - una tonalità che ricorda lo splendore di alcune pietre dure - a conferire un'aura di frescura a tutta la stanza e allo scorcio di natura morta che l'artista ci presenta in primo piano.
E mi ricorda certe antiche cucine di cascina viste nella mia infanzia, solide e semplici atmosfere che un giorno ci hanno pervaso il cuore e vi sono rimaste.

E per venire alla musica, mi sembra bello commentare queste immagini con il mirabile Andante del "Concerto italiano BWV 971" di Bach, nella misuratissima interpretazione di Angela Hewitt. Un brano di ritmo lento, meditativo, intriso di quella pacatezza che, a mio avviso, ben si accorda con l'atmosfera che i dipinti ci regalano e dei quali le note non turbano, ma se mai sottolineano il silenzio. 
 
Buon ascolto!

venerdì 19 luglio 2013

Calendari

Rientro dal balcone della cucina con una bracciata di biancheria asciutta e lo sguardo mi si posa sul calendario che è lì appeso al muro e segna i giorni di questo luglio di clima ora caldo, ora tempestoso.

Mi capita spesso di osservare il calendario anche di sfuggita, non tanto per la necessità di controllare una data, quanto per illuminarmi gli occhi e il cuore con la foto posta in corrispondenza del mese che è sempre una veduta toscana.
Amo i calendari che riportano immagini della Toscana e da anni ormai, in casa nostra, è tradizione che quello che percorrerà con noi il cammino dei dodici mesi ci restituisca le foto dei luoghi che prediligiamo e che abbiamo visitato più volte. Non so perché proprio la Toscana, invece di altre regioni: da sempre è come se vi avessi ritrovato radici che in realtà non ho, come se una misteriosa sintonia con i colori delle sue terre e della sua pietra mi avesse avviluppato l’anima.
Fino a qualche anno fa, acquistavamo i calendari proprio lì, durante uno dei nostri viaggi, magari anche con sei mesi di anticipo, e ci pareva con ciò di assolvere a un piccolo rituale che conferisse all’oggetto particolare autenticità insieme alla gioia dei ricordi.
Poi, cedendo al senso pratico, abbiamo preso l’abitudine di comprarli più vicino a noi dove sono in vendita nelle migliori librerie, non senza aver prima indugiato a lungo nella scelta delle immagini tra la varietà offerte.

Della Toscana amo principalmente la campagna: dalle crete senesi colte nei colori delle varie stagioni, alla dolcezza della Val d’Orcia, ai cascinali in pietra rustica magari abbelliti da un tralcio di fiori o allo splendore di una pieve romanica incastonata nel verde. Questo mese di luglio raffigura in primo piano un vigneto con grappoli di uva nera già turgidi e pronti, mentre sullo sfondo le mura turrite del borgo di Monteriggioni si stagliano contro un cielo azzurro spazzato dal vento.

Ma è nei particolari che si scopre la bellezza delle immagini, in particolari che – me ne sono accorta da tempo – è solo la luce delle varie ore del giorno a svelare. Per questo, dato che il mio calendario è piuttosto grande, l’ho appeso al muro del cucinino un po’ in alto vicino alla porta che dà sul balcone, in modo che riceva il primo sole della giornata e il primo raggio faccia brillare quanto, diversamente, rimarrebbe spento. 
Sono a volte casali rustici seminascosti dal verde o greggi in lontananza che si confondono con la campagna brulla o dorata; cipressi che affiorano dall’ombra o ancora glicini rampicanti attorno a uno steccato.
E mi ricordano alcuni quadri del primo Rinascimento dei quali solo un’attenta osservazione consente di scoprire tutti i particolari: certi paesaggini sfumati sullo sfondo di Madonne e Santi che svelano un alberello, un corso d’acqua che si perde lontano serpeggiando o la torre di un castello sulla costa verdeggiante di una collina.
Ho in mente un novembre di qualche anno fa: raffigurava una serie di vallate dalle quali saliva la nebbia fin quasi a lambire, in certi casi, la cima dei monti. Ma sotto il raggio di sole del primo mattino che filtrava dalla mia finestra, si aprivano al di là della nebbia paesetti nascosti, emergevano campanili che la luce indorava, si scoprivano spessori e profondità, tutto s’illuminava di vita.
E ho presente anche un vecchio mese di ottobre dove, nell’ampia prospettiva che si apriva sulla campagna senese, si disegnavano colline coperte da filari di ulivi da un lato e solchi appena arati dall’altro che ricordavano le sapienti geometrie del paesaggio medioevale dipinto da Ambrogio Lorenzetti.

Davanti a tali vedute amo spesso soffermarmi e sono lieta che mi accompagnino per un tratto della mia strada.
Quando al primo di ogni mese - e più significativamente al primo di ogni anno - al mattino, nel silenzio della casa ancora addormentata, aggiorno il calendario, è come compiere un rito speciale perchè è un po’ come affidare a quelle immagini tanto dense di suggestione, la scorta del mio cammino.
Un cammino simile ai giorni della nostra vita: con luci e penombre, colori vivi e nebbie, angoli più raccolti e prospettive profonde che spaziano verso il cielo. 

E mi piace accompagnare queste brevi note con un brano di Mozart, in particolare il secondo movimento, "Larghetto", dal "Quintetto per clarinetto e archi in La maggiore K.581".
Si tratta di una dolcissima melodia intrisa di luminosità e morbidezza, come morbide sono le colline e le prospettive variegate del paesaggio toscano, dolce paese veramente ricco di fascino. E il dialogo tra il clarinetto e gli archi ci restituisce davvero una pace che, per certi aspetti, anticipa le note dell'ancor più famoso Adagio dal "Concerto per clarinetto K.622".

Buon ascolto!

venerdì 12 luglio 2013

Esiti di fine anno

Sono terminati in questi giorni gli esami di maturità e i quotidiani ci stanno aggiornando sui vari risultati e percentuali: quanti promossi o bocciati, quanti cento e quante lodi, se le commissioni sono state più severe al nord o al sud e via dicendo.

Leggo inoltre che, sulla scorta delle tecnologie informatiche entrate a buon diritto anche nella scuola, già in molti istituti ogni allievo nel corso dell'anno può visionare online le proprie valutazioni.
Un' indubbia comodità che risponde a tutta una serie di esigenze comprensibili; tuttavia mi auguro che ciò non accada anche per la comunicazione degli esiti finali fino ad oggi affidati - per quanto ne so - ai tradizionali tabelloni perchè.... posso dirlo? Mi metterebbe un po' di tristezza.

A mio avviso, infatti, l'attesa comunitaria della pubblicazione dei voti, quelle ore a volte angosciose condivise tra compagni di classe hanno un valore del tutto impagabile che non si può barattare con la solitudine della propria stanza davanti allo schermo azzurrino del computer.
E' quell'attesa tutti insieme, nella condivisione dell'ansia, che a volte cementa amicizie, sblocca dialoghi o fa emergere ancor più nitida la verità di ciascuno. Nella tensione che precede l'affissione dei tabelloni, sgorgano infatti confidenze, rabbie, imprecazioni, segreti, speranze di un momento unico nella vita (... almeno si spera!). 
Qualcuno forse dirà che parlo così perchè a me è andata bene e non mi metto nei panni di chi rischia di vivere davanti a tutti il dispiacere di un risultato negativo. Capisco...tuttavia sono convinta che, in certe situazioni, sia sempre meglio la pacca sulla spalla o l'abbraccio solidale di un amico che un brivido di sudore gelato in solitudine. 

Ho un ricordo nitido di quelle attese, non tanto della maturità sul cui esito ero tranquilla, ma soprattutto del primo anno del triennio liceale che era stato per me piuttosto difficoltoso.
In segreteria ci avevano detto che i tabelloni sarebbero stati pubblicati alle tre del pomeriggio. Ma naturalmente dall'una mezza eravamo già lì. 
I primi tra noi studenti ad arrivare si aggiravano un po' straniti in quel cortile ormai familiare che tuttavia in quel momento ci appariva improvvisamente distante, quasi fosse riemersa la soggezione del primo giorno. 
Poi, man mano che la gente diventava più numerosa, si era ristabilita l'atmosfera di sempre e avevamo ricominciato a riempire dei nostri schiamazzi il silenzio di quello spazio severo, un tempo chiostro benedettino.
L'ansia e la paura ci avevano condotti tutti lì, a confidarci senza maschere  timori e tremori, fragilità e debolezze, a minacciare ipotesi del tipo se mi bocciano, stasera non torno a casa, ma anche a ridere, ridere a crepapelle per ogni minima sciocchezza! 
Tensione nervosa, certo, e insieme consapevolezza di un momento che avrebbe segnato la nostra vita. 

L'attesa era durata ben più del previsto, scandita dalle nostre previsioni col passare del tempo sempre più nere. Quando infine il bidello era sceso portando quasi con solennità il tabellone e, assediato da tutti noi, lo aveva fissato all'albo con le puntine, dopo qualche istante di sguardi ammutoliti, era esploso di tutto!
Urla, euforia, salti di gioia, incredulità, sospiri, insieme a qualche espressione non proprio elegante all'indirizzo di alcuni insegnanti, il che peraltro non aveva sminuito la stima che ne avevamo, nè ci aveva impedito di considerarli - allora e in seguito - dei sostanziali punti di riferimento. 
Insomma, adrenalina a mille.
Eravamo rimasti insieme a lungo, tra abbracci e apprezzamenti, sfoghi e risate, condividendo con appassionata sincerità qualche delusione, ma anche tanta inaspettata gioia.

Ma l'ultimo flash di quella giornata per me è un altro.
Ricordo mia madre che si sporgeva dal balcone di casa al quinto piano aspettando il mio ritorno. E quando finalmente, dopo un pomeriggio di angosciosa attesa (....non esistevano ancora i cellulari), ci aveva avvistato in fondo alla via mentre tornavamo - io e le mie compagne - ridendo, cantando e saltando in mezzo alla strada in piena crisi di stupidera, solo allora con un sospiro di sollievo era andata a spegnere la candela che aveva acceso a S.Antonio.
Per questo penso che nessuna eventuale novità informatica potrebbe mai sostituire il sapore di certe esperienze.

E per restare legata ai miei anni liceali, propongo un brano che mi aveva appassionato moltissimo proprio in quel periodo: le "Variazioni op.9 su di un tema di Mozart" di Fernando Sor (1778 - 1839) chitarrista e compositore spagnolo. 
Amo da sempre questo genere di creazioni dove la stessa melodia fiorisce in tanti modi diversi, come altrettante voci che si avvicendano ciascuna col proprio carattere rispecchiando un po' la varietà della vita.
E' così anche in questo famosissimo pezzo di Sor che - prendendo spunto dall'opera mozartiana "Il flauto magico" - ne modula un'aria in successive variazioni che si alternano con vivacità e malinconia, ora più semplici, ora ricche di una complessità da veri virtuosi.

Buon ascolto!

sabato 6 luglio 2013

Spensieratezza

Ci sono circostanze, luoghi, momenti della nostra vita anche apparentemente di poco conto che, per tutta una serie di motivi, si sono stampati nella memoria e nel nostro cuore.

Possono essere legati a un lavoro, a un viaggio, a un incontro o a normali incombenze quotidiane che - per quanto magari poco considerevoli in sè - in realtà, hanno rivestito per noi un' importanza significativa. 
Mai, del resto, la quotidianità è banale, ma nei suoi ritmi ricorrenti ci parla, tanto che certi piccoli eventi o abitudini della giornata possono diventare fari che punteggiano di luce la nostra strada, capaci anche a distanza di tempo di regalarci suggestioni positive.  

Questo accade a me, da qualche anno a questa parte, quando vado al mercato e in particolare a quello ortofrutticolo.
Amo moltissimo le bancarelle che espongono frutta e verdura con quella varietà, vivacità, e fantasmagoria di colori che tutti conosciamo.
Ma non è sempre stato così. Non mi piace la confusione e di conseguenza non ho mai trovato particolarmente entusiasmanti i mercati. Inoltre, per un po' di tempo gli orari di lavoro mi hanno impedito di andarci o mi consentivano di arrivare quando già tutti stavano sbaraccando.

Poi una volta, nel mio giorno libero, mi ero recata in una citta vicina dove mi toccava andar per uffici. 
Era la fine di maggio e incombevano tutti gli impegni che preludono alla conclusione dell'anno scolastico. E insieme a questi, una serie di altri adempimenti burocratici legati alle classiche scadenze fiscali del periodo e a problemi di casa mia. Così, nel mio cosiddetto giorno libero ero sempre in giro: il circuito era banca-posta-anagrafe-posta-banca e - se andava male -  pure agenzia delle entrate. 
Insomma, un periodo pieno di impegni e tensioni che non mi consentiva ancora di abbandonarmi al pensiero delle vacanze.

Ma per andare in uno di quegli uffici, quel giorno avevo dovuto attraversare la piazza del mercato.
Le bancarelle di frutta e verdura mi erano venute incontro quasi di sorpresa, avvolgendomi con la loro sovrabbondanza di colori e sfumature, di tentazioni saporose e di suggestioni pittoriche. 
Era stata quasi una riscoperta! Non erano infatti le cassette allineate coi loro prodotti geometricamente ordinati che troviamo nei supermercati, ma montagne di meloni e di albicocche, cascate di ciliegie e di pesche insieme a zucchine, peperoni ed erbette varie che debordavano dalle bancarelle in una sorta di discesa libera che ne esaltava la magnificenza. Insomma, un vero piacere per gli occhi!

Eppure non era solo questo. 
Era che quelle ciliegie e quelle pesche con la loro fantasmagorica vivacità, mi parlavano di vacanza e di estate, di pause di sollievo e distensione, di una liberatoria spensieratezza che in quel momento non potevo permettermi, ma che in qualche modo m'inducevano a sperare!
Questo coglievo guardandole di fretta e tuttavia lasciandomi raggiungere dal loro splendore, perchè ciò che mi comunicavano era una viva, gioiosa e palpitante percezione di leggerezza! 
Anche per me sarebbe arrivato infine il momento in cui - invece che per uffici - avrei potuto aggirarmi spensierata tra quei colori e quei profumi indugiando a mio piacimento! Me lo dicevano a chiare lettere pesche nettarine e fragoloni, ananas e melanzane, mentre con segreta gioia promettevo a me stessa: 
"Il primo giorno di vacanza, giuro che vengo qui!". 

Certo, prima avrei compilato documenti e dichiarazioni, corretto compiti e preparato relazioni finali, ma con quella frutta negli occhi e nel cuore, capace di nutrirmi anche se non l'avevo comprata!
Il mercato di quel giorno era stato il mio anticipo di vacanza, semplicissimo momento di vita quotidiana eppure anche luogo di piacevolezza da covare dentro di me e a cui riandare con la fantasia!!!
D'allora, le bancarelle di frutta e verdura mi hanno sempre ricordato quel momento, sia che si trovino fuori dal negozio di una grande città, sia nella piazzetta di un piccolo borgo. E andare al mercato è diventato gioia e sollievo.

Anche nel mio recente viaggio a Santiago de Compostela, uno dei luoghi che mi ha maggiormente affascinato è stato proprio il mercato: uno spazio ricavato in tre chiesette romaniche sconsacrate, delle quali è ancora evidente la struttura originaria. Anche qui, frutta e verdura in quantità, fiori e pesce freschissimo del vicino oceano insieme a un'atmosfera popolaresca d'altri tempi.
San Giacomo mi perdoni, ma non me ne sarei andata più! 

E a commento di questi piccoli ricordi, un brano davvero ricco di spensieratezza che ci porta via sull'onda del suo fascino.
Si tratta della "Sonata per archi n.6 in Re maggiore" di Gioacchino Rossini nel suo primo movimento "Allegro spiritoso".  
Trovo in queste note una grande luminosità che restituisce respiro. E mi pare che - come in altre Sonate del compositore pesarese - il ritmo scorrevole e l'eleganza della melodìa creino un clima di leggerezza capace di regalarci un'attitudine gioiosa verso la vita.

Buon ascolto!