domenica 28 aprile 2013

Aprile: fioriture "en plein air".

Come lo scorso anno in questo periodo o giù di lì, a fine aprile mi prende sempre una insopprimibile voglia di vacanza, un desiderio inquieto di cambiare panorama e respirare più liberamente aprendo lo sguardo a una natura ricca di luce e di colori e a un paesaggio più fiorito.

Non è solo il bisogno che arrivi quella primavera che qui ancora stenta a decollare, ma anche un'esigenza di distensione interiore perchè le immagini che gli occhi contemplano possano raggiungere il cuore e porvi dimora.
Ma se non è sempre possibile esaudire concretamente questo desiderio, qualche volta lo si può fare abbandonandosi a un sogno o contemplando un quadro per immergerci nella sua atmosfera fino a riviverla.

Allora oggi voglio presentare un dipinto che mi ha sempre comunicato un'aura di serenità conducendomi con la fantasia all'inizio dell'estate, nel clima di leggerezza che essa portava soprattutto un tempo, quando si era bambini.

Si tratta di "Casa dell'artista ad Argenteuil" di Claude Monet (1840 - 1926) conservato all'Art Institute di Chicago.
Potrebbe essere una piccola scena familiare nel giardino della propria casa quella che il pittore, con tocco semplice e signorile ad un tempo, rappresenta: una bimba gioca all'aperto mentre una donna in abito blu e cappellino - la signora Monet, forse? - osserva dalla porta.
Eppure, in realtà, più che questo scorcio di vita quotidiana, è la bellezza del giardino con la sua esuberanza di fiori, bordure, aiuole e rampicanti, a rubare la scena ai personaggi catturando l'attenzione di chi guarda.
E il tratto della pennellata di Monet è tale che tutto, a una prima occhiata, ci appare come vibrazione di luce e di colore nella quale, solo in un secondo tempo, arriviamo a scoprire i dettagli: il bianco e blu dei vasi di ceramica, i gradini che accedono alla casa e la signora che si affaccia alla porta, elegantissima macchia blu nel vibrare della vegetazione circostante. 
Mirabile la maestria del pittore che, con pochissimi tocchi, non solo riesce a delineare una figuretta femminile, ma anche ad adornarla di tale grazia da farci percepire in lei un mondo intero di leggiadria. 
Piccoli cenni che fanno sognare, così come il paesaggio che s'intuisce appena tra gli alberi e la casa, ma che insieme a quel cielo aperto, animato di nuvole, dona ampiezza e prospettiva al dipinto. 

E' infatti la luce, al di sopra di tutto, a regalare magia definendo spazi e atmosfere, come quegli sprazzi di sole sotto gli alberi che danno luminosità e trasparenza al fogliame, mentre il resto del quadro è avvolto da un'ombra fresca e discreta.

Una rappresentazione che mi regala il respiro delle prime mattine di vacanza, quando si era piccoli: forse per la bimba che gioca e ha l'abitino della festa col fiocco, o per le innumerevoli gradazioni di quel verde che sembra ammantare del proprio rigoglìo anche la casa, come se vacanza significasse prima di tutto contemplazione della natura nella sua bellezza.
Ed è in effetti un meraviglioso ritorno alla natura quello che Monet rappresenta, in un insieme arioso e terso, in una sintesi di raffinatezza e semplicità. Se infatti raffinato è l'abbigliamento dei personaggi insieme allo splendido disegno dei vasi, semplice si presenta la facciata della casa con quelle imposte di stile decisamente rustico che fanno pensare a una dimora di campagna.

Mi piace allora commentare questa composizione pittorica con le note di un musicista francese proprio contemporaneo di Monet - Gabriel Fauré (1845 - 1924) - del quale propongo due brevi brani intrisi di eleganza e serenità in qualche modo simili al clima del dipinto che vedete. 
Si tratta delle "Romanze senza parole n.3 e n.1 in La bemolle maggiore op.17", due melodie d'altri tempi, due arie quasi cantabili di sapore dolcemente salottiero alle quali la morbidezza della tonalità di La bemolle conferisce intensa luminosità.

Buon ascolto!

lunedì 22 aprile 2013

Connessioni

Mi capita - dopo aver scritto un articolo per questo blog, dopo aver ascoltato a lungo un brano di musica ed essermi immersa nel mondo delle note, dopo essermi lasciata portare dal flusso di emozioni che esse suscitano - mi capita, dicevo, di avvertire il bisogno di riprendere contatto con la quotidianità più spicciola e concreta, semplice e scontata, quella dei piatti da lavare per intenderci.

Non è una battuta, ma un'esigenza profonda e vera che non si giustifica tanto con la necessità di ritrovare una sorta di equilibrio, non procede in senso contrario rispetto alle emozioni che la musica trasmette, ma va a completarle sostanziando di senso ciò che essa ci regala.

Ascoltare musica, e più ancora suonarla o comporla, è un'immersione totale nei meandri profondi e nascosti dell'esistenza dove nulla è separato ed ogni cosa - gesti ed emozioni, terra e cielo, corpo e anima - vive in una condizione di stretta interdipendenza. Perciò, calarsi nell'abisso delle note è raggiungere quel nucleo caldo dove ciascuno di noi è ricondotto a unità. 

Allora spignattare in cucina o riordinare la libreria, pulire la verdura o fare la coda dal panettiere non sono gesti stranianti che ci allontanano da noi stessi quasi appartenessero a un altro universo perchè, per quanto differenti, non staccano la connessione con ciò che le note ci suggeriscono e il nostro cuore avverte. Direi anzi che costituiscono una dimensione quotidiana che si rende  necessaria perchè la musica possa in qualche modo incarnarsi e fiorire, vivendo all'interno di una concretezza ormai non più trita e scontata, ma gioiosa e sorridente. 

Scandalo??? Niente affatto!!! 
E' bello che la musica viva nell'atmosfera assorta di una sala da concerto o di un teatro, ma ancor meglio che rimanga nei cuori di chi la porta via con sè lasciando che essa s'intrecci agli svariati sentieri della quotidianità dando loro sapore e illuminandoli dal profondo.

Così, oggi voglio condividere con voi un famoso brano di Georg Friedrich Haendel (1685 - 1759) perchè resti a cantarci dentro nella nostra giornata e ci accompagni con la scintillante vivacità che lo contraddistingue: un Haendel gioioso e accattivante, frizzante come un vino nuovo, ritmato e modernissimo, quasi sincopato. 
Si tratta dell' Allegro della parte iniziale del "Concerto per organo in Fa maggiore N.13 HWV 295" detto "The cuckoo and the Nightingale" per le battute che imitano il canto del cuculo e dell'usignolo facendolo ripetutamente riecheggiare attraverso le varie voci dell'organo e il dialogo con gli altri strumenti.
Ma al di là di questo particolare che caratterizza il pezzo, la sua vibrante energia insieme al susseguirsi di note degno di un'invenzione bachiana, gli conferisce un ritmo entusiasmante e un tono di spensierata bellezza.
Davvero un brano di cui inebriarsi, da gustare a volume spiegato, per gioia nostra....e dei vicini di casa!

Buon  ascolto! 
 

mercoledì 17 aprile 2013

"Heart of snow" : ritornare bambini.

La primavera, finalmente, ha fatto la sua comparsa colorata illuminando il cielo, e il clima più tiepido ci sta regalando anche leggerezza di cuore e voglia di sorriso.
Già...la leggerezza! 
Non è la prima volta che ne parlo qui, forse perchè mi accorgo che non è un traguardo scontato e - a maggior ragione in tempi così difficili - è necessario aiutare il cuore a reggere tanti pesi senza perdere contatto con la parte più profonda di noi stessi. 
Non si tratta di dimenticare la realtà, ma di riprendere coraggio per non essere sommersi da ciò che intorno a noi tenta di appannare in continuazione quella luce interiore che ci sintonizza con la bellezza e sostanzialmente con la vita.
Esiste infatti uno splendore dentro e fuori di noi che a volte rischiamo di perdere di vista, mentre è proprio quello a dare senso e forza al nostro vivere, consentendoci - nei limiti del possibile - di attraversare la quotidianità con cuore libero e, appunto, più leggero.

Per questo, oggi torno a proporre la musica di Giovanni Allevi con un brano dell'ultimo cd "Sunrise" dal titolo particolarmente significativo: "Heart of snow", cuore di neve.
Che vorrà dire cuore di neve? A cosa potrà alludere il compositore?
Se una simile espressione di primo acchito può comunicare un'idea di freddezza, essa ci suggerisce però che quel gelo è destinato a sciogliersi e a trasformarsi in torrente gioiosamente impetuoso al primo annunzio di sole e di primavera.
Ma un'immagine così piena di candore, a mio avviso, evoca anche quella purezza d'animo cui ogni essere umano aspira dal profondo come a un miracolo d'innocenza originaria, perchè un cuore di neve è in fondo il cuore intatto di un bimbo che si affaccia alla vita.

A ben guardare, affiora spesso da Allevi un richiamo a questa nostalgia, un filo ricorrente che ritroviamo in svariate interviste nelle quali il compositore fa riferimento alla stagione dell'infanzia. Ne parla infatti come di un'età incontaminata cui riandare, quasi che il dipanarsi dell'esistenza - mentre fisicamente cambia il nostro aspetto e ci carica di anni - interiormente non dovesse essere altro che un viaggio a ritroso, un ringiovanire dentro per ritrovare il candore del primo sguardo sul mondo.

Mi pare che "Heart of snow" si possa inquadrare proprio in queste prospettive, nel suo alternare momenti molto diversi tra loro, fatti ora di passione, ora di delicatezza: in apertura, fiume in piena di note, grandiosa irruenza di acque a celebrare la vita; poi, dolcezza di una ritrovata intimità.
Allevi crea infatti un primo tema romanticamente impetuoso che, per intensità, può ricordare alcuni dei suoi più splendidi brani per pianoforte come "Vento d'Europa" o "Le sole notizie che ho", anche se l'energia di quei pezzi risulta ora moltiplicata da una rinnovata ispirazione, da ritmiche differenti e dalla presenza dell'orchestra. 
Nel secondo tema invece, il compositore ci regala una nicchia di semplicità quasi mozartiana. E sembra che le note ci riportino nel cuore di quel silenzio che tutti abbiamo vissuto nel veder nevicare - magari dietro i vetri di una finestra di casa - proprio con lo stupore incantato dello sguardo di un bambino. 

Tuttavia interessante non è solo la varietà di melodie e di ritmi su cui il pezzo è impostato, ma anche il rapporto tra strumento solista e orchestra nel quale quest'ultima non fa semplicemente da sfondo, ma dialoga da comprimaria col pianoforte. 
Particolarmente bella a mio avviso la terza parte del brano, quella finale, che intreccia i due temi precedenti. Qui, delicatezza da un lato e grandiosità delle aperture dall'altro sono tali da esprimere un potente richiamo alla vita, un'energia che dilaga all'infinito.
E sembra quasi che le note non bastino.

Buon ascolto!

mercoledì 10 aprile 2013

Tra bellezza e sgomento


Dopo la full immersion nei grandi del passato, oggi desidero tornare al presente con un musicista del quale ho già pubblicato qualche mese fa un brano che potete ritrovare qui.

Si tratta di Gabriel Yared, compositore libanese, autore di numerosissime splendide musiche da film tra cui quelle per "Il paziente inglese" del quale ho parlato brevemente a suo tempo postando uno dei pezzi più incantevoli dell'intera colonna sonora.

Ed è sempre dalla stessa pellicola che oggi desidero proporre un altro brano non così aperto e luminoso come il precedente - "I'll Always go back to that Church" - ma a mio avviso ugualmente affascinante e ricco di suggestione. 
Si tratta di "Read Me To Sleep", melodia pacata, profondamente intrisa di malinconia, a tratti quasi solenne, nella quale possiamo ravvisare alcune reminiscenze di autori classici che - come già ricordavo - appartengono alla formazione musicale di Yared. 

In quelle note lievemente ribattute, scandite con lentezza una ad una al pianoforte perchè ne traspaia lo spessore e il riverbero e ciascuna nella sua singolare bellezza parli all'anima, mi pare di ravvisare un rigore quasi bachiano insieme alla conclusione di alcune frasi musicali che ci rimandano proprio alla famosissima "Aria sulla quarta corda" dalla Suite n.3 BWV 1068 di Bach.

E se nella parte iniziale del brano protagonista è il pianoforte mentre  l'orchestra fa da sfondo sostanziando il tema di ulteriore profondità, nel prosieguo è proprio questa a sottolineare con intensità sempre crescente il lento incedere della melodia, trasportandoci attraverso ogni sfumatura dell'anima. Un andamento misuratissimo, dove le rare aperture di luminosità tornano poi a ripiegarsi sulla malinconia della tonalità minore.
Yared ci accompagna così in una meditazione delicata e struggente che scava nel cuore e spalanca spazi d'inquietante bellezza e d'infinito sgomento, come infinito è il fascino del paesaggio desertico in cui s'inquadra parte della vicenda narrata.

Un brano a mio avviso profondo e toccante, inno d'amore e al tempo stesso canto funebre, fatto di dolcezza e desolazione, intimità e sofferenza, ricordo e strazio fino alla cupa suggestione del finale, un brivido che ci percorre dentro e ci lascia in sospeso, quasi presagio di tragedia incombente.
E ancora una volta, le note sono più eloquenti delle parole.

Buon ascolto!

 

venerdì 5 aprile 2013

Se la musica mette i brividi...

Non posso.
Proprio non posso lasciar passare i giorni senza tornare sul brano di Bach che ho postato lo scorso Venerdì Santo - "Erbarme dich, mein Gott !" dalla Passione secondo Matteo - e se per caso a qualcuno ascoltandolo non fossero venuti i brividi, per favore lo risenta!!!
Sarà per quel violino che trafigge l'anima o per la voce piena, calda, meravigliosa di Maureen Forrester; sarà per l'organo che ritma il tempo, il passo, il respiro e sembra accompagnare anche i battiti del cuore lasciando che ci si addentri nella melodìa e la si viva dal suo interno.
Sarà perchè - come mi è capitato di dire anche in altre occasioni - ogni volta che ascoltiamo una musica, essa rimane in noi fino ad insinuarsi tra le pieghe dell'anima e dei nostri pensieri, a riempire di sè il nostro sguardo. 
Ma è impossibile non cedere al fascino di un simile brano.
In quell'aria, grido e lacrime, lamento e invocazione declinati in un insieme dolcissimo e struggente, parlano un linguaggio che - se pure è quello del dolore - non conduce tuttavia alla disperazione, perchè è la musica stessa con la sue bellezza a consolare il pianto di cui è intrisa. 

Allora, per favore, tornate indietro a riascoltare quelle note che s'inanellano su per lo spartito, quel Bach grandioso e inarrivabile che ci accompagna per le nostre strade di sorriso o di sofferenza, di ombra o di luce, d'invocazione o di giubilo come colui che, nel mistero della musica, ritrova ed esprime ogni sfumatura del cuore umano.
Sublime l'attacco della voce solista con quei salti di sesta dopo l'introduzione così intensamente lirica del violino! 
Ma splendido anche il cammino lungo il quale la melodìa si snoda toccandoci nel profondo in perfetta fusione con le parole:

  "Erbarme dich, mein Gott, um meiner Zahren willen!
  Schaue hier, Herz und Auge weint vor dir bitterlich."
  ("Abbi pietà, mio Dio, per amore delle mie lacrime !
  Guarda qui, il cuore e l'occhio piangono davanti a te amaramente.")

Ma se, nel ricco e variegato panorama musicale, numerose sono state le composizioni rivolte alla misericordia divina con analoghe invocazioni di pietà, altrettante sono quelle che alla stessa misericordia hanno cantato inni di gratitudine.
Mi piace allora dare seguito a questo brano di Bach con uno di Mozart che idealmente ne è quasi la continuazione. Mentre infatti l'aria bachiana è un'accorata richiesta di perdono, il pezzo del musicista salisburghese è una vivacissima lode, un ringraziamento che si esprime in modo decisamente energico e movimentato.
Si tratta del mottetto "Misericordias Domini" in re minore K.222 che prende spunto da un versetto del Salmo 88: "Misericordias Domini in aeternum cantabo", versetto famosissimo e oggetto di svariate creazioni musicali antiche e moderne fino ai suggestivi canti di Taizé. 

Il brano, per coro a quattro voci miste, presenta due sezioni ripetutamente alternate: alla prima, infatti, ("Misericordias Domini...") caratterizzata da un ritmo lento e pervaso da grande intensità, risponde la seconda ("...cantabo in aeternum") molto più animata, costituita da un tema fugato dove l'intreccio delle voci si articola in un'affascinante architettura contrappuntistica.
Una creazione vivacissima e al tempo stesso segnata dal prevalere della tonalità minore che le conferisce un'attitudine meditativa, espressione di quella profondità mozartiana che supera la sofferenza senza tuttavia ignorarne lo spessore.
E mi sembra adatta a questi giorni che, dopo la Pasqua, ci conducono proprio verso la festa della Misericordia che si celebrerà domenica prossima.

Buon ascolto! 
(Nel riquadro, "Coro di Angeli" di Paolo Veneziano)