domenica 31 marzo 2013

Buona Pasqua !!!


Quest'anno, 
l'opera d'arte più bella 
è un gesto.

Auguri di speranza a tutti voi!!!





Papa Francesco, "Lavanda dei piedi" - Carcere minorile "Casal del Marmo", Roma

 
Antonio Vivaldi, "Cum Sancto Spiritu" dal "Gloria in Re maggiore RV 589".

venerdì 29 marzo 2013

Venerdì Santo

















Benedetto Antelami, "Deposizione" (particolare) - Duomo di Parma.



Johann Sebastian Bach, "Erbarme dich, mein Gott!" 
dalla "Passione secondo Matteo BWV 244".

lunedì 25 marzo 2013

Marzo : leggiadre prospettive di luce.

La ricorrenza dell'Annunciazione che nel calendario liturgico cade proprio oggi, m'induce a proporre qui un dipinto che porto nel cuore da tempo e che non smette mai di affascinarmi.
Si tratta dell' "Annunciazione" di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1453 - 1523), conservata nella Chiesa dell'Incoronata a Lodi insieme ad altre tre tavole dello stesso autore : Visitazione, Adorazione dei Magi, Presentazione al Tempio.

Sto parlando di veri e propri gioielli del Rinascimento, e mi riferisco sia al dipinto che alla chiesa in cui esso si trova: quella dell'Incoronata a Lodi, infatti, è davvero una cornice degna e sontuosa per una tavola di altrettanto pregio e grande magnificenza come questa "Annunciazione". 

Tuttavia non è semplicemente il suo carattere di preziosità l'aspetto che me l'ha fatta amare.
Come infatti talora accade, ciò che ci attira in determinate opere d'arte non è sempre e soltanto la loro rispondenza a determinati canoni di bellezza e di splendore, ma è quel quid che le avvicina al nostro cuore rendendocele familiari, ora per la serenità, ora per il dramma, ora per una particolare atmosfera, per il taglio di un'inquadratura o per qualche aspetto di vita quotidiana che ci coinvolge e ci parla.

Qui il dipinto, sia sul piano dell'impostazione prospettica che degli elementi descrittivi, si colloca nel fiore di un Rinascimento già ricco di suggestioni leonardesche, ma soprattutto bramantesche. Se infatti il delicato profilo dell'Angelo può ricordare in qualche modo Leonardo, l'ambientazione spaziale e il soffitto a cassettoni richiamano il Bramante. Ma troviamo un'aderenza ai canoni artistici dell'epoca anche in altri dati.

Leggiamo infatti pacatezza e soavità, ordine ed equilibrio nelle due figure protagoniste della scena e nei loro gesti misurati: dalla mano dell'Angelo a quella di Maria, dagli sguardi assorti al silenzio tutto interiore della Vergine. E insieme a questo, una grande raffinatezza descrittiva evidente in una miriade di particolari: dalle bordure dei panneggi al pavimento marmoreo, dal delicatissimo giglio agli arredi della stanza, dai lacunari
intarsiati del soffitto alla luce dello Spirito Santo che rifulge sopra Maria.

Un'opera ricca di splendore, insomma, tuttavia non molto lontana da altre annunciazioni cinquecentesche altrettanto sontuose e leggiadre.
Dove sta allora il tocco originale di questa tavola che me la fa amare ogni volta che la osservo? 
In che consiste quel fascino segreto che ai miei occhi la riempie di particolare incanto?

E' nella prospettiva che si apre al centro del dipinto e che - sulla linea disegnata dai riquadri del pavimento - conduce il nostro sguardo fuori, all'aria aperta, nelle tranquilla luminosità forse di un mattino e nella sequenza di quattro successivi piani: un loggiato, un cortile, poi un arco da cui intravvediamo ancora un giardinetto e un muricciolo affacciato sul cielo.

Uno spazio sempre più aperto, suggestivo e meravigliosamente sereno, adornato da un pavone e un alberello che sopravanza il muro; luminoso e vero come quello scorcio di casa e i due uccellini appollaiati sotto l'arco del loggiato. 
Sembra di respirare l'atmosfera di quelle corti che sopravvivono ancora oggi in certe dimore padronali, nel centro storico delle nostre città di provincia dove, dietro severi portoni, si aprono cortiletti o giardini, prospettive silenziose e signorili, spazi luminosi e assorti in cui luce ed ombra si fondono in riposante tranquillità.

E' l'influsso della pittura di paesaggio lombarda che certo il Bergognone ha assorbito nella sua concretezza, restituendola con tocchi di eleganza e insieme di semplicità, solenni e tuttavia familiari.
Ma al tempo stesso è la grandezza di un evento come l'Annunciazione che l'artista ha raccontato situandolo nel tempo di ogni giorno. 
Trascendenza e quotidianità sono fusi in una serie di simboli e di rimandi tra interno ed esterno: il pavone ricorda infatti la vita eterna verso la quale Maria - con il suo all'Angelo - è proprio la porta; ma quella porta stessa che svela uno scorcio di cortile, ci regala anche il senso della quotidiana concretezza in cui s'inquadra e vive l'evento soprannaturale.
Un mistero che non si compie nello spazio indefinito di un fondo oro, ma nel "qui e adesso" di ogni giorno, di un mattino di luce discreta, in una prospettiva progressivamente più luminosa.

E a commento di quest'immagine, uno splendido brano di un autore contemporaneo: Marco Frisina, classe 1954, compositore di musica sacra, di famosi canti liturgici e - tra l'altro - Maestro Direttore della Pontificia Cappella Musicale Lateranense.
Il pezzo intitolato "Et incarnatus est" - tratto dal recente e omonimo cd (2012) - ci conduce in un'atmosfera di soavissimo spessore che, a mio avviso, si può ben accordare con la pacatezza del dipinto del Bergognone: c'è infatti in entrambe le composizioni una leggiadria che annulla la distanza di tempo tra loro, regalandoci spazi di profonda e assorta meditazione. 

Belle anche le immagini della clip video per le quali ringrazio chi l'ha resa disponibile su youtube.  
Buona visione e buon ascolto!

giovedì 21 marzo 2013

Incalcolabile felicità

Scopro solo ora guardando la tv che ieri, 20 marzo, era la "giornata della felicità"!!! 
Si celebrava infatti in tutto il mondo la prima "Giornata Mondiale della Felicità" istituita dall'ONU.
Toh!.... E io che non ne sapevo niente e proprio ieri mattina mi sono svegliata con una luna storta incredibile!....
Inutile, non sono al passo coi tempi, dovrò imparare ad aggiornarmi !

Dal servizio televisivo apprendo poi che la giornata - istituita nel luglio scorso in aggiunta alle numerose ricorrenze create nel tempo per celebrare una miriade svariata di cose - è stata appositamente collocata ieri proprio perchè vicina all'inizio della primavera e, si sa, primavera e felicità in qualche modo si somigliano.
Ma vengono illustrati anche gli scopi dell'iniziativa promossa dal segretario generale delle Nazioni Unite: un'occasione per ricordare che la felicità è  aspirazione fondamentale dell'uomo prioritaria rispetto ad altre necessità, in nome di un progresso non solo economico. Bello!

Vado sul web per saperne di più e trovo in effetti vari siti che parlano di "nuova priorità globale", dell'opportunità di "ispirare l'azione per un mondo più ilare" perchè "una nazione più felice è anche una nazione più produttiva".
Non so perchè, ma mi viene in mente una vecchissima pubblicità che recitava "Se la mucca è più felice, è migliore anche il suo latte": logica ineccepibile e - pare - anche scientificamente provata. Del resto, abbiamo sperimentato tutti che più felici, per esempio, si lavora meglio.
Però...
Però, per quanto sia giustissimo che ogni stato - e qui si sono scomodate addirittura le Nazioni Unite! - si prenda cura della felicità dei suoi cittadini, qualcosa non mi convince in questa proclamazione di una giornata che rischia di diventare solo un evento di facciata, quasi una felicità a comando.

Scopro inoltre che, attraverso l'analisi dei social network, alcuni ricercatori sono impegnati a capire che cosa rende la gente più o meno felice, a stabilire un indice di felicità, assegnare punteggi, stilare classificazioni o graduatorie.
Confesso che mi lascia perplessa questa pretesa di misurazione di tutto, come se anche i sentimenti e le pulsioni più profonde potessero essere indagate e ingabbiate in un numero.
E' questo bisogno di quantificare ogni cosa, di rendere ogni sospiro misurabile che non approvo, come se l'infinito di un cuore potesse rientrare nella stretta cornice di una statistica!!! 
Può forse essere ridotto a un "Mi piace" il godimento che offre un'opera d'arte? Può essere calcolata l'emozione, la soavità o la forza con cui ci parla un testo poetico o un dipinto o un brano musicale? E ammesso che un calcolo anche in termini di chimica delle emozioni sia possibile, non risulta comunque riduttivo???

Ma mi lascia perplessa anche la pretesa che "produttiva" possa esser solo la felicità!
Andiamolo a dire ai poeti, ai musicisti, agli artisti in genere!!!.....Forse ci risponderanno che tante creazioni - magari le migliori - sono nate in tempo di guerra o di esilio, di crisi o di follia. E che la vera produttività, quella del cuore, non si lascia fermare da nulla.

Per questo, desidero postare qui un brano di Robert Schumann (1810 - 1856), compositore che ha avuto la vita segnata da vari drammi tra cui la malattia mentale e che ha conosciuto la felicità forse solo per brevi intervalli.
Si tratta del secondo tempo, "Larghetto", dalla "Sinfonia n.1 in Si bemolle maggiore op.38" detta "La primavera", pezzo di luminosa bellezza, pacato e profondamente suggestivo di cui i Wiener Philarmoniker, sotto l'intensa direzione di Leonard Bernstein, mettono in luce la particolare soavità.
Una soavità che rimane in cuore e continuerà segretamente a parlarci in una simbiosi assolutamente misteriosa, regalandoci una gioia che si protrarrà nel tempo, infinita e soprattutto incalcolabile.
 
E per ciò che mi riguarda, voglio continuare a pensare che la felicità non sia quantificabile, ma stia sempre un po' più in là della mia immaginazione e dei miei pensieri, simile a "barlume che vacilla" come ricordava Montale, imprevedibile e sorprendente come una folata di vento che c'investe all'angolo della strada.

Buon ascolto!

 

sabato 16 marzo 2013

In cammino con Papa Francesco

Una serata piovosa come tante, alla fine di una giornata di lavoro.
Un comunissimo giorno feriale, in apparenza simile a molti altri che il tempo allinea sul nostro cammino, se non fosse segnato da un'attesa, quella che, nel giro di poco più di un'ora, ancora una volta trasformerà Roma, e in particolare Piazza S.Pietro, nel cuore del mondo. 

"Habemus Papam!!!".....e la piazza si riempie. 
Come un fiume in piena, la gente accorre sempre più numerosa e ciò non può non riportarmi alla mente un altro evento: la morte di Giovanni Paolo II, quando un vero e proprio tsunami di persone ha trasformato un'occasione di per sè luttuosa in un'esperienza d'intenso stupore rivelando quanta vita percorre ancora il nostro mondo devastato.

Mi ha colpito davvero la quantità di gente convenuta mercoledì sera all'annunzio dell'elezione del Papa, e non penso fosse solo curiosità o quel desiderio di esserci che si registra in certe occasioni. 
Lo ha dimostrato il silenzio orante della folla appena Papa Francesco ha invitato i presenti alla preghiera. Quel clamore, infatti, e quelle immagini certamente festose ma che talora rivelavano un entusiasmo - mi si perdoni il paragone - un po' da stadio, hanno subito lasciato spazio al silenzio assorto dello stupore, all'ascolto e alla commozione. Un silenzio che ha unito chi stava in piazza S.Pietro a chi era incollato con gli occhi e il cuore alla tv in una preghiera unanime e vera, che dimostra quanta sete e desiderio di lasciarsi sorprendere dalla vita abiti ancora nel cuore dell'uomo.

Ma non è stata solo la semplicità e l'immediatezza della comunicazione di questo Papa a colpirmi, quanto l'imprevedibilità della scelta caduta su di lui azzerando previsioni e criteri umani che forse avrebbero privilegiato il vigore fisico, un'età più giovane o altri dati esteriori.
In una società abituata a ragionare in termini di efficienza con la pretesa di valutare i risultati quasi fossero sempre matematicamente quantificabili, mi dà molta speranza il fatto che i Cardinali elettori, guidati dallo Spirito, abbiano invece guardato al di là delle logiche mondane.

Così pure, mi è piaciuta quella semplicità francescana fatta non solo di mitezza bonaria e sobrietà, ma di intenso richiamo ai valori evangelici. 
Toni sommessi e familiari, certo, come quei saluti - "Buonasera!" e "Buon riposo!" - che, più che ad un'occasione ufficiale, ci riportano alla semplicità di relazioni quotidiane; ma anche gesti e parole molto forti quelli di Papa Francesco, come la richiesta alla folla di pregare su di lui, o i contenuti dell'omelia tenuta ai Cardinali riuniti nella Sistina.

Allora, desidero dedicare a questo evento tutta la bellezza e il fascino di un canto come il famosissimo "Ave verum" che - celebrando la concretezza viva dell'Eucarestia - ci ricorda quanto la soprendente presenza del divino sia intrecciata all'umano in una dimensione di semplicità e al tempo stesso di profondità insondabile.
Invece della celeberrima versione di Mozart, ho scelto quella di Camille Saint-Saens che amo moltissimo e che - a mio avviso - è altrettanto suggestiva per la ricchezza di sfumature e la morbida fusione delle quattro voci.

Buon ascolto!

martedì 12 marzo 2013

Le priorità del cuore

Prendo spunto per il post di oggi da Rock Music Space, splendido sito dell'amica blogger NELLA al quale - se per caso non l'avete ancora fatto - vi consiglio di iscrivervi prontamente. 
Qui infatti, con freschezza e sicura competenza, la grintosissima NELLA spazia non solo in ambito musicale - dal rock, al pop, al folk e via dicendo - ma anche nel campo della danza e del cinema. 
E' la padronanza con cui scrive i suoi articoli e sceglie le musiche a colpirmi ogni volta, quasi rivivesse dall'interno vicende personali e artistiche dei personaggi di cui parla, calandosi nelle loro esistenze e nella loro musica con semplicità, scioltezza e al tempo stesso profondissima passione.

Dicevo, prendo spunto proprio dal suo blog e in particolare dalla bella citazione di apertura:  
"Dall'amore spesso non nasce la musica, 
ma dalla musica nasce spesso l'amore!...." 
perchè, a mio avviso, soprattutto nella seconda parte essa enuncia una grande verità.
Se è vero che - come più volte mi sono trovata ad affermare qui e come peraltro è esperienza di tanti - la musica sa produrre in noi mutamenti così profondi che in taluni casi si può parlare di vera e propria musicoterapia, ciò accade perchè essa va a toccare e smuovere corde vitali della nostra interiorità.
Ci fa cogliere infatti un mondo di desideri, istanze, sensazioni, emozioni che portano in sè - talora in modo molto esplicito, talaltra in maniera più sommessa e discreta - un incontenibile amore per la vita.
A volte mascherato da grido di dolore o di protesta, altre dispiegato in dolcissima elegia, ma è sempre desiderio intensissimo, tormentosa inappagata nostalgia di una pienezza dell'esistere. Amore magari percepito soltanto come eco lontana che tuttavia la musica ha il potere di risvegliare, rendendo vivo l'antico sogno di Bellezza che da sempre ci abita.

Essa ci parla segretamente, attraverso una sintonia profonda capace ora di risanare interiormente, ora di rendere più limpida e nitida la nostra percezione del mondo e di noi stessi, ora di rimuovere gli ostacoli che impediscono alla vita di scorrere libera dentro di noi come una cascata di acque limpide.
La musica ci restituisce infatti le priorità del cuore operando spesso una sorta di "restauro dell'anima" come fossimo opere d'arte usurate dal tempo che esigono di essere riportate al primitivo splendore.
Lo abbiamo sperimentato spesso, uscendo da un concerto col sorriso sulle labbra o semplicemente ascoltando il brano preferito sull'ipod, magari in treno, al ritorno da una giornata di lavoro; lo abbiamo vissuto ogni volta che abbiamo lasciato che una melodia abbracciasse la nostra giornata, la interpretasse, le regalasse un senso.

Proprio per questo, oggi desidero condividere qui un brano di Ludwig van Beethoven dalla "Sinfonia n.7 in La maggiore op.92".
Si tratta del secondo movimento, il famosissimo Allegretto, una delle composizioni più leggiadre che il vastissimo panorama della musica classica conosca.
La melodia infatti si dipana in modo progressivamente più ricco, intenso e variato su di una base ritmica sempre uguale e ci porta con sè in un crescendo segnato da toni ora delicatissimi - quasi lievi passi di danza - ora più drammatici. E' una sorta di inno alla vita che non coincide necessariamente con un inno alla gioia, ma passa per ogni sfumatura dell'anima a restituirci la percezione che l'esistenza stessa, nella sua dimensione più profonda, sia proprio amore, un amore che qui la musica ci dona in modo vivo e toccante.
 
Ho scelto la direzione di Carlo Maria Giulini perchè mi sembra che, rispetto ad altre interpretazioni, sottolinei maggiormente la lentezza del brano e ci consenta così di conservarlo nel cuore al ritmo del nostro respiro. 
E ritrovarselo dentro nella nostra quotidianità sarà come custodire un sorriso nell'anima a illuminare la giornata, mentre magari - in una mattina di cielo plumbeo - si risale dalla metropolitana in mezzo alla folla distratta.

Buon ascolto!  
 

martedì 5 marzo 2013

Passioni adolescenziali

Credo di aver già ricordato più di una volta in questo blog che la mia passione per la musica - classica in particolare - è iniziata quando avevo quindici anni. 
Ci sono stati compositori che mi hanno preso al primo ascolto e che d'allora in poi ho risentito costantemente nel tempo (Mozart, Chopin, Bach e non solo); altri che si sono aggiunti successivamente quand'ero in età già pienamente adulta (per esempio, Haydn e Rossini), e altri ancora che sto scoprendo soltanto oggi. 
E' un itinerario che in qualche modo tutti percorriamo guidati dalla sensibilità, dai gusti, dal piacere che la musica ci offre, dal desiderio di arricchire la nostra cultura o talvolta semplicemente dalle circostanze.

Ma ci sono anche diversi autori che, per motivi vari, dopo il periodo adolescenziale ho riascoltato raramente e che pure ritrovo ancora intatti dentro di me. 
E' la passione che ce li ha fatti amare la prima volta, la forza con cui le loro note si sono incise e intrecciate alla nostra vita ad aver operato il miracolo di questa memoria così viva. Diversamente, non sarebbe possibile conservare un ricordo talmente preciso di certi brani a distanza di tempo.  
Credo che ciò capiti a tanti, se non a tutti, e sono convinta che sia frutto della dimensione affettiva della memoria che imprime in noi ogni esperienza con uno spessore proporzionale alla nostra ricettività e all'emozione che essa ci regala. 
Accade questo per ogni evento, ma se parliamo di musica, la sua particolare capacità di giungere al cuore toccando in maniera immediata la sfera emotiva fa sì che la nostra anima trattenga e custodisca quasi senza saperlo le melodìe che essa ci dona. Un giorno poi le restituirà misteriosamente intatte, anche dopo anni: gioielli depositati su di una sorta di fondale marino dal quale - di tanto in tanto - si staccano per riaffiorare alla luce della nostra vita.

Per questo, oggi desidero tornare ad un compositore che - nonostante sul presente blog finora sia comparso solo due volte - è stato oggetto del miei primi amori per la musica: Felix Mendelssohn Bartholdy.  
E anche se la mia attenzione nel tempo si è poi rivolta ad altri musicisti, quella che ho nutrito per i suoi brani è stata una vera e propria passione adolescenziale.

Così, giorni fa, quando girovagando su youtube mi è capitato di imbattermi nella sua famosissima "Romanza senza parole in Mi maggiore op.19 n.1", non mi sono meravigliata se, ascoltandola, le note rifiorivano dentro di me come se le avessi avute sempre presenti. 
Avevo diciassette anni quando mi sono letteralmente innamorata di questo pezzo insieme all'altrettanto famoso Concerto per violino op.64 del quale tempo fa ho postato qui l'Adagio. Erano - l'uno e l'altro - la colonna sonora delle mie giornate, ma soprattutto sentivo che quelle note interpretavano i miei sentimenti in tutte le loro sfumature, come un dialogo capace appunto di andare al di là delle parole.

La Romanza citata che propongo qui, fa parte di una serie di 48 brevi pezzi per pianoforte. Oltre agli arpeggi della mano sinistra che conferiscono dolcezza e insieme profondità al brano, il tema si caratterizza non solo per la sua delicata luminosità e l'aura di romanticismo che lo pervade, ma anche per l'esordio a mio avviso particolare. Il suo digradare nella scala cromatica infatti, mi fa pensare non tanto a un vero e proprio inizio, ma alla continuazione di un discorso la cui prima parte resta per così dire sottintesa, come quando viene spontaneo proseguire ad alta voce una riflessione maturata in silenzio. 
E ciò arricchisce la melodia di suggestione e intensità.
 
Buon ascolto!