sabato 31 marzo 2012

Innaffiare i gerani

Ci sono gesti di ogni giorno che, nella loro concretezza, sanno restituirci una sana dimensione di semplicità regalando momenti di pace al nostro vivere.
Spesso appartengono a quella routine quotidiana un po' scontata, senza nulla che in apparenza tocchi il cuore, come certe mattine di cielo bianchiccio e vagamente afoso che sembrano aver perso lo smalto di altre stagioni.

Sono normali incombenze casalinghe come far da mangiare, curare il giardino o altri compiti che magari non destano particolari entusiasmi. Tuttavia, se talora - dopo una giornata di impegni professionali - aggiungono fatica alla fatica, altre volte
al contrario possono spianare la strada alla distensione.

Sono gesti che riconducono a mansioni pratiche, ma che spesso offrono ben più del sollievo che può dare un lavoro manuale a chi - per esempio - è abituato a svolgere attività intellettuali. Non consentono solo uno stacco dai pensieri, dagli interlocutori o dallo schermo del computer e uno spostamento della nostra attenzione altrove, ma sono piccole cose capaci di per se stesse di donare conforto, se ci lasciamo immergere nel qui e adesso della loro bellezza.
Operazioni semplici cui magari ci si dedica di fretta e con cuore distratto ma che - diversamente - sanno pacificare dentro.

Ho sempre ammirato, a questo proposito, la discrezione della regola benedettina nel suo "ora et labora" che alterna momenti di contemplazione ad altri di vita attiva in un equilibrio che sa leggere lo splendore delle cose, a cominciare dalle necessità quotidiane di una giornata e di una vita comune.
E' un ancorarsi alla realtà terrena, dopo i voli dell'ascesi mistica, che non costituisce opposizione o dicotomia, ma integra lo stare alla presenza di Dio della vita monastica con una non meno essenziale concretezza di gesti che valorizzano il quotidiano.

E ci sono davvero, anche nella nostra vita, azioni che ci riportano al cuore di una semplicità originaria.
Bagnare i fiori, per esempio: un'operazione che non si può svolgere di corsa col rischio di versare troppa acqua o troppo poca o di farla tracimare. Occorrono calma e attenzione a che la quantità sia quella giusta e venga ben distribuita sul terreno del vaso.
Piccole cose che, se fatte con
la tranquillità che richiedono, possono restituire una pulsazione interiore serena, un ritmo naturale, una sintonia col profondo che fa emergere più facilmente quella musica che tutti portiamo dentro.

Per qualcuno potrà essere coltivare un orticello sul balcone di casa, per altri impastare un dolce da veder lievitare in forno, magari anche preparare le verdure per una minestra....ma con quella serenità che toglie la plastica dell'abitudine e trasforma un gesto ripetitivo in una boccata d'aria fresca restituendoci la sua intrinseca bellezza.
E' la vita, nel suo multiforme splendore, quasi una sorta di tema con variazioni
che ci nutre in semplicità ridonandoci un'equilibrata percezione di noi stessi e della realtà circostante.

Un po' come questo Mozart della "Sonata N.6 in Re maggiore K.284" di cui propongo proprio una parte delle dodici variazioni sul tema del terzo movimento, in particolare le ultime.
Un brano ora lietamente animato, ora lento e dolcissimo nella delicata fioritura di note e nel ritmo rasserenante che affiora dalla XI variazione - a 2.52 della clip audio - paragonabile per soavità all'Adagio della Serenata K.361 "Gran Partita", anche se protagonista qui è il pianoforte, mentre là sono strumenti a fiato.
Uno sguardo trasparente e incantato - com'è sempre quello di Mozart - fatto di limpidezza e di singole lievissime note che ci accompagnano mentre, magari, siamo intenti a innaffiare i gerani.


Buon ascolto!

domenica 25 marzo 2012

Marzo: splendore di un'Annunciazione

Ci sono dipinti che la storia dell'arte ha reso famosi, ma che abitano un po' distanti le sale dei musei; altri invece che - ugualmente preziosi e importanti - si sono intrecciati per qualche motivo alla nostra vita e vivono con noi in una sorta di familiarità.

Talora sono quadri che abbiamo ammirato dal vivo e ci sono rimasti nel cuore, o riproduzioni che da sempre abitano con noi e la cui visione quotidiana ci ha reso vicine, quasi persone di famiglia con le quali dialogare in un muto gioco di sguardi.
E' per me il caso dell'
"Annunciazione" di Simone Martini (1284 - 1344) conservata a Firenze alla Galleria degli Uffizi.

Quando, a dodici anni, per la prima volta ho traslocato e finalmente ho avuto una cameretta tutta per me, mia mamma aveva posto vicino al mio letto un quadro che raffigurava proprio l'angelo di questa Annunciazione. Da quel momento, è stato mio per sempre e anche adesso che altri traslochi sono seguiti al primo e altri angeli si sono aggiunti alle pareti di casa, quello di Simone Martini è ancora lì a vegliare il mio sonno.

Allora, a me poco più che bambina avevano destato stupore le grandi ali ricche di sfumature sfolgoranti di luce, il ramoscello intorno ai capelli simile a un diadema, e soprattutto il rovescio del mantello col suo disegno scozzese peraltro non raro nei dipinti senesi del Trecento. Ricordo infatti che, quando - ancora adolescente - avevo visto la "Natività della Vergine" di Pietro Lorenzetti, anche lì avevo scoperto lo scozzese. Portavo allora un kilt giallo e nero ed era stata una singolare sorpresa ritrovarmi addosso....la coperta raffigurata nel quadro!

Ma a parte queste notazioni spicciole, il fascino che esercitava su di me l'angelo mi aveva indotto ben presto a cercare la riproduzione completa di quell'Annunciazione. E quando poi mi ero recata a Firenze a vedere l'originale, mi era parso di ritrovare un'immagine ormai di famiglia, qualcuno con cui avevo instaurato un legame profondo, come sarebbe stato - molti anni dopo - con l'angelo di Lorenzo Lotto del Polittico di Ponteranica.

Agli Uffizi la prima volta, mi aveva dato una sensazione strana entrare in contatto con quell'opera di Simone Martini così raffinata e leggiadra e al tempo stesso sentirla come un pezzo di casa mia. Tale era il coinvolgimento interiore e la passione di cui avevo caricato quel dipinto che era stato come vedere lì anche una parte di me. L'avevo guardato quasi con pudore e davanti agli amici che mi accompagnavano ero rimasta in silenzio.

Nel tempo, poi, ho amato anche altri pittori e altre Annunciazioni dagli accenti di più marcato realismo, ma questa è rimasta sempre la prima e indimenticabile, come i tratti inconfondibili del suo autore: l'ovale dei visi, il taglio sottile degli occhi e la bocca piccola dall'espressione talora quasi corrucciata.

Ho imparato in seguito ad apprezzare altri aspetti del dipinto:
il fondo oro che impreziosisce e illumina la scena, l'elegante sinuoso gioco di linee che accompagna sia il mantello dell'angelo che quello di Maria e la posizione delle due figure. Cogliamo infatti, da un lato, lo slancio dell'angelo nella sua lieve inclinazione ripresa anche dal ramo di ulivo, e dall'altro la dolce ritrosìa della Vergine sottolineata dalla curva del suo corpo e dal gesto della mano che chiude il manto sotto il viso.
Ma tratti di finezza sono evidenti in tutta la composizione: dalle bordure dei panneggi al sedile di Maria simile a un piccolo trono, dal vaso coi gigli fino alla cornice dorata che spartisce gli spazi con sottili elegantissime colonnine tortili e archetti in stile gotico fiorito. Una cornice che comprende anche gli scomparti con Sant'Ansano e Santa Margherita - opera di Lippo Memmi - e che non appare giustapposta all'opera, ma elemento inscindibile come la preziosa custodia di un gioiello diventa parte integrante del suo splendore.

Proprio lo splendore di questo dipinto a me così caro desidero proporre qui oggi che ricorre la festa dell'Annunciazione, insieme a un intensissimo brano di Bach.
Tratto dal "Credo" della "Messa in si minore BWV 232", il maestoso
"Et incarnatus est" è un coro a cinque voci che induce a meditare sul mistero dell'Incarnazione di Gesù con accenti di pathos che talora sembrano preludere anche alla sua futura Passione.
Un brano di rara profondità e grande spessore polifonico come solo Bach ci sa regalare.

Buon ascolto!

mercoledì 21 marzo 2012

Sul treno

Mi capita spesso di viaggiare in treno, devo averlo già detto in passato, talora su regionali veloci ma più di frequente su locali, in mezzo alla gente che ogni giorno va e torna dal lavoro.
Nonostante anch'io, tanti anni fa, abbia sperimentato i disagi della vita da pendolare, spostarmi in treno mi è sempre piaciuto e mi piace ancora. E' per me una pausa di distensione: sistemo le mie cose, mi rilasso e guardo fuori dal finestrino lasciando vagare indisturbati i pensieri, come una nave che molla gli ormeggi e si lascia portare dalle onde.

A volte però, mi capita di osservare anche i miei compagni di viaggio ed è sempre uno scenario interessante, soprattutto la sera al ritorno dalla grande città.
Molti discutono dell'andamento della giornata, di problemi di lavoro oppure sono impegnati al computer; altri sono assorti nella lettura di un libro, soprattutto le donne, e sempre queste si scambiano consigli vari: i negozi, la spesa, la meta esotica delle prossime ferie. Qualcuno tenta di dormire.
Dimenticavo, il cellulare! Nel rumore di sottofondo del convoglio, mi arrivano brani di conversazioni, appuntamenti per il dopo cena, ma anche sfoghi personali da cui emergono sprazzi di privati universi.


Mi piace sentirmi immersa in questa vita, in un viaggio che per poco tempo mi accomuna all'esistenza di tanta gente: un contesto di cui colgo la bellezza e pure la provvisorietà, la sostanziale estraneità ma pure l'intreccio. E mi affascina. Crediamo di andare e siamo tutti portati, ognuno col suo carico di affanni e di speranze e le nostre vite lì - a contatto di gomito - senza saperlo s'incastrano come tessere di un puzzle, ciascuna col suo incanto un po' disfatto, ciascuna col suo mistero.

E se è la provvisorietà a caratterizzare questi rapporti, mi accorgo però che essa non si risolve solo in algida solitudine come la raffigura Hopper nel suo "Scompartimento C - Carrozza 293" riportato nel riquadro, immagine certo non priva di fascino e signorilità,
ma pervasa di silenziosa freddezza.
Al contrario, i viaggi in treno mi restituiscono comunque il senso di una relazione,
il palpito di una vita dal molteplice respiro che mi raggiunge attraverso gli sguardi, le parole o la stanchezza dei miei occasionali compagni, ed entra nella mia nutrendola. Squarci di esistenza che prendono forma nel cono di luce della mia fantasia e si intrecciano al mio andare, inevitabilmente.
Un andare che per tutti è attesa - ciascuno in cammino verso la propria meta - ma già compiutamente vita anche nell'attesa stessa, magari arricchita da una musica che ci canta dentro regalando spessore e miracolo all'attimo fuggente.

Mi piace allora concludere queste brevi annotazioni con un pezzo di Chopin: la famosissima "Fantasie Impromptu in do diesis minore op. 66" che - come il treno nella sua corsa - ci porta via in un vortice tempestoso e movimentato di note dove il pianoforte, con la sua fresca irruenza, diventa quasi orchestra.
Ma nella parte centrale, il brano si fa luminoso e delicato per accompagnarci in un percorso di sognante contemplazione, un cerchio di musica in cui lasciar vagare i pensieri.
Siamo portati così da una dolcissima melodia che si snoda uguale e pur sempre nuova nelle sue sfumature, colonna sonora di sublime bellezza, mentre uno sguardo va alla campagna fuori dal finestrino, uno ai compagni di viaggio, uno dentro di noi, immersi in un mistero che ha lo splendore di un angolo di quotidianità.


Buon ascolto!

sabato 17 marzo 2012

Conto alla rovescia

E' questa la stagione in cui - forse complice il tiepido sole della primavera imminente - il mio pensiero comincia ad andare alle vacanze. Non a quelle di Pasqua più vicine, ma proprio alle ferie estive, le "grandi vacanze" come le chiamano in Francia.

Quando ancora lavoravo, era in questo periodo che sulla mia agenda iniziavo il conto alla rovescia dei giorni che ci separavano dall'estate, quasi come i miei allievi che, ogni mattina, sul calendario appeso in classe cancellavano una data segnando quanto mancava all'alba. Anch'io, come loro, dietro l'apparente serietà aspettavo l'alba, sognando di potermi concedere - esattamente come Snoopy - una pausa di dolce far niente.

Ho sempre scandito il tempo ad anni scolastici: iniziavo a settembre e per un po' tiravo dritto senza pensare, ma superato febbraio, puntuale arrivava il momento in cui cedevo alla curiosità....quanti giorni ci sono alla fine della scuola?
A dire il vero, cercavo di ritardare il più possibile questo calcolo perchè dentro di me sapevo che, una volta decretato il numero preciso (togliendo rigorosamente festività e giorni liberi), sarei stata colta dall'angoscia o dall'ansia. L'angoscia se ero particolarmente stanca ("Oddio...ancora tutto questo tempo!"); l'ansia se il conteggio era giustamente finalizzato ad una pianificazione mensile del programma. ("Oddio...non ce la farò mai a completare gli argomenti!").
Insomma, da qualunque parte rigirassi la faccenda, i giorni erano sempre troppi o troppo pochi.
Occorreva quindi qualcosa che addolcisse l'attesa, dandomi nello stesso tempo la carica per condurre il lavoro a una conclusione dignitosa.

Così, a metà dell'anno o un po' di più, mi regalavo un cd, una musica nuova che mi toccasse dentro e possibilmente ci rimanesse quasi a inaugurare una rinnovata stagione dell'anima. Spesso la sceglievo a caso, ma devo ammettere che la sorte era sempre benevola e mi permetteva di scoprire preziosissimi gioielli.
E anche adesso che, pur avendo lasciato la scuola, non ho ancora perso i ritmi di una volta, in questo periodo in cui gli occhi mi corrono al calendario sento il bisogno di un brano di musica capace di restituirmi grinta ed entusiasmo in attesa del - si fa per dire - meritato riposo.

Allora, a me e a tutti quelli che passano di qui (lavoratori stanchi, studenti già in ansia per la maturità o chiunque altro in cerca di una gioiosa ricarica) dedico - questa volta scelto non a caso! - un meraviglioso Bach.
Si tratta del
"Capriccio" dalla "Partita n.2 in do minore BWV 826", pezzo che amo follemente perchè è energia allo stato puro. Infatti, dalla sua rigorosa struttura dove i temi che caratterizzano le due parti sembrano costruiti come fossero l'uno il contrario dell'altro, emerge un'onda di trascinante irrefrenabile ritmo che pervade il brano dall'inizio alla fine.

Lo riporto nella versione per pianoforte dove la bravissima interprete fa risaltare gli accenti e le varie voci con tocchi di misurata leggerezza.
Mi perdonino i cultori del clavicembalo se non ho postato la splendida esecuzione di Trevor Pinnock, ma la morbidezza del pianoforte qui mi pare si sposi bene con il rigore bachiano, mettendo meglio in evidenza talune sfumature della costruzione musicale nella loro ritmica gioiosa e comunicativa.


Buon ascolto!

lunedì 12 marzo 2012

Inquietudini di primavera

La primavera, si sa, si annunzia già ai primi di marzo e anche se manca ancora una manciata di giorni alla fatidica data dell'equinozio, pure, le prime avvisaglie nel cielo, nei prati e nel vento le abbiamo colte da parecchio.

E' alla sera che hanno iniziato a svelarsi alcuni furtivi presagi. Dopo nottate di gelo, all'improvviso una sera è stato un profumo nell'aria a colpirci, un'inconsueta morbidezza del buio, la natura che mandava il suo respiro nascosto. Lo abbiamo percepito subito, intuendo i germogli che la terra cova nel segreto e che fioriranno nel dolce e inquieto cielo di marzo.

Ma come mai oggi mi lascio catturare da questi dettagli?
Perchè ho notato che anche la musica, nel suo vastissimo panorama, comprende composizioni simili ai giorni che preludono alla primavera, ora pervase di luminoso incanto, ora attraversate da un turbine improvviso come fosse una vita che si prepara
a venire alla luce in pienezza.
E non si tratta solo di pezzi in cui gli autori si sono consapevolmente ispirati a questa stagione come Vivaldi, Haydn o Sinding, tanto per fare qualche nome. Spesso sono opere create senza precise intenzioni programmatiche, ma ugualmente variegate di ombre e di luci, e animate da quella inquietudine ariosa tipica del clima primaverile.

E' il caso del primo tempo del "Concerto per violino e orchestra N.1 in sol minore op.26" di Max Bruch (1838 - 1920) che propongo oggi all'ascolto, un brano simile a un cielo di marzo: talora dolcissimo e terso, e poi improvvisamente solcato da nuvole, ventoso e inquieto. E' infatti una composizione che alterna passaggi musicali di grande irruenza e passione a delicate melodie che indugiano su se stesse quasi la ricerca e la contemplazione della bellezza non avessero mai fine.

Anche questo pezzo - come altri dei quali ho già parlato - mi ha segnato nel profondo e mi riporta indietro nel tempo.
E' una sera nel centro di Roma ad affiorare stavolta dal passato: una Roma piena di vento e di magìa che vedevo per la prima volta con tutto l'entusiasmo della mia giovane età.

Avevo sedici anni ed ero nell'impeto di un'adolescenza innamorata di tutto: i viaggi, gli amici, l'arte, la vita.
Solo da poco avevo scoperto questo concerto, ma era rimasto in me come una sorta di colonna sonora a fondersi con la meraviglia che stavo vivendo in quei giorni romani.
Mi rivedo ancora mentre - nella magnificenza di una piazza, col vento sul viso - le sue note mi risuonavano in cuore con un'ebbrezza che era quasi una percezione d'infinito. Gli accordi che mi riecheggiavano dentro, infatti, con la loro intensità, nel contesto di quella Roma incantata e grandiosa avevano toccato corde tanto profonde da farmi percepire l'alitare di una vita segreta e sconfinata al di là delle apparenze.
Ed era stata per me una nascita interiore, un autentico afflato di primavera.

Ma anche al di là della mia piccola esperienza, sta davvero in un respiro di giovinezza lo splendore di questo concerto, un respiro che si va delineando non solo nella delicata melodia del violino e nel suo sviluppo dai toni struggenti, ma anche nel ritmo dei bassi, quasi battiti di un cuore pulsante sui quali lo strumento solista inanella le sue variazioni.
E da ultimo, nell'irruente e grandiosa apertura orchestrale verso la fine: un'onda intensamente romantica prima che il brano - che in realtà non ha conclusione - sfumi dolcemente nel successivo
Adagio.

Buon ascolto!
(Nel riquadro in alto "Studio di nuvole" di John Constable)

giovedì 8 marzo 2012

Grazie, Luigina!

La carissima amica Lui del blog Oltre il vento (viaggionelvento.blogspot.com) - delizioso angolo di poesia che invito tutti a visitare - mi ha assegnato il premio "Blog Affidabile" di cui la ringrazio infinitamente.

Ma.....me lo merito davvero???
A giudicare dalla fatica che ho fatto a caricare il logo qui a fianco....direi di no. Forse è un segnale, ma il mio computer - che sa quanto io sia refrattaria a ogni tipo di abilità tecnica - si rifiutava con tutto se stesso di caricarlo e ho dovuto ripetere l'operazione un numero imprecisato di volte prima di riuscirci.
Comunque, alla fine è andata e allora s
piego anch'io di che si tratta, riportando le informazioni che altri blogger hanno dato prima di me.

Il premio "Blog Affidabile" è un modo per aiutare a far conoscere dal basso il lavoro dei molti blogger italiani che aggiornano con passione, dedizione e costanza il loro diario online, ma che non sempre sono noti al grande pubblico.
Come? Facendo in modo che siano gli stessi blogger che ricevono il premio (e possono fregiarsi del distintivo di "Blog Affidabile") a nominarne e premiarne altri.
Come si distingue un Blog Affidabile? Per alcuni semplici, ma importanti regole:

1) E' aggiornato regolarmente

2) Mostra la passione autentica del blogger per l'argomento di cui scrive

3) Favorisce la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori

4) Offre contenuti ed informazioni utili e originali

5) Non é infarcito di troppa pubblicità

Di tutte queste caratteristiche, devo dire che - a parte la pubblicità che proprio non abita da me - quella in cui mi riconosco maggiormente è la passione.
Da quando ho iniziato quest'avventura infatti, l'amore per la musica e il desiderio di condividerla con un ambito più vasto di persone come il mondo dei blogger consente, è andata sempre crescendo in me sollecitando anche il mio desiderio di imparare.

Ringrazio quindi ancora una volta la carissima Luigina per avermi pensato e - cosa non facile! - mi appresto a nominare e premiare, secondo il regolamento del sito "www.gliaffidabili.it", altri cinque blog che rispecchino le caratteristiche citate.
Tra i tanti - e tutti meritevoli - scelgo quindi :

- il monticiano del blog Via della Polveriera
(viadellapolveriera.blogspot.com)

- LaFlautista del blog Vasetto di Margherite
(vasettodimargherite.blogspot.com)

- Luci@ del blog Il calesse
(ilcalesse.blogspot.com)

- merins del blog a tempo e luogo
(atempoeluogo.blogspot.com)

- viola del blog LE SOLUZIONI ALTERNATIVE
(dituttunpo-viola.blogspot.com)

Naturalmente, per finire dedico a tutti un brano di musica e questa volta la mia "nomination" è caduta su Niccolò Paganini (1782 - 1840).
Nella magistrale interpretazione di Salvatore Accardo, sia la prima parte del
Rondò del "Concerto per violino e orchestra in mi minore n.6" a regalarci ritmo, vivacità e brio per proseguire con gioia il nostro lavoro di blogger.

Buon ascolto!

lunedì 5 marzo 2012

Dare un senso

Ci sono luci, colori, sprazzi di sereno con i quali a volte cominci bene la giornata.
Oggi, qui da me in pianura - dopo le temperature più che primaverili dello scorso weekend - è tornato il grigiore. C'è umido, vento freddo, forse pioverà. Ma la mattina mi si è subito.....illuminata d'immenso grazie a una frase scesa dentro di me come un dono, con la stessa luminosità e freschezza di un fiore appena sbocciato.

Ho letto infatti, sul blog "Vasetto di Margherite" della carissima amica LaFlautista, il post di ieri domenica 4 marzo intitolato "Ma fra cinque anni come saremo?". In esso, col suo solito stile efficace ed essenziale, l'autrice narra l'incontro casuale sulla corriera con una vecchia compagna di scuola. Che fine hanno fatto quelli della nostra classe? - si chiedono le due amiche ritrovate. E le notizie s'intrecciano in una sorta di simultaneità che ci fa entrare nella scena a viverla così da vicino che più non si può. Leggiamo e respiriamo con loro: attraverso la brevità quasi minimalista del discorso, cogliamo tocchi di vita, intuiamo storie e persone, vicende e speranze. Ma è una frase verso la fine a colpirmi con la sua forza quando, dopo l'elenco delle cose fatte, le persone incontrate, i ricordi più cari o i progetti più significativi, la nostra Flautista parlando di sè sintetizza:
"Mah...tento di dare un senso al tempo che mi si para davanti al naso!"

Eccola la luce per questa giornata grigia e per quelle che verranno! Ecco la luminosità di un vaso di primule - o meglio ancora di margherite - pronta a rasserenare il nostro cielo: "dare un senso" al tempo che ci si para davanti! E non importa che per alcuni tale senso si possa trovare in progetti a lunga scadenza, come è giusto che sia quando si è giovani, e per altri i tempi siano più brevi. Non importa che gli anni siano diciotto o.....anta e più. Il senso lo si dà al presente: è oggi, è in questa mattina in cui sono andata dal panettiere e dal giornalaio - come ogni lunedì - e ora sono al computer a postare musica, mentre altri sono sui banchi di scuola o in ufficio.
Ringrazio qundi LaFlautista per avercelo ricordato con la fresca semplicità che la contraddistingue e a lei - come a tutti coloro che passano di qui - dedico un brano di Chopin che amo in modo particolare: il "Notturno in mi minore N.19 op.72 -1".
Si tratta di una composizione lenta e profondissima che alterna il malinconico tema in mi minore, ripreso poi in modo più intenso e deciso, a rasserenanti aperture in tonalità maggiore. E mi piace postarla nell'interpretazione morbida e ricca di sfumature della pianista ungherese Livia Rév - classe 1916 ! - che col suo tocco coniuga delicatezza e intensità, misura e passione. Ci conduce così fino all'anima del compositore facendone scaturire tutta la Bellezza. Proprio questo sguardo fisso alla Bellezza insieme al desiderio di farla fiorire è il senso che tanti artisti - musicisti e interpreti, ma non solo - hanno dato al loro cammino: un senso che, attraverso le note, sollecita anche noi oggi a fare lo stesso, piccoli o grandi che siamo, ciascuno nel proprio ambito e nella propria storia.

 
Buon ascolto!

 

 

giovedì 1 marzo 2012

A passi lievi verso la primavera...

Penso che tanti di noi - anche coloro che non hanno fatto della musica una professione - custodiscano dei ricordi legati ad un brano musicale che si è talmente fuso con particolari situazioni del loro vissuto da diventare tutt'uno con esso.
Riandare a quelle note significa allora ritrovare l'atmosfera passata che ritorna intatta e viva a colmarci con l'onda
delle sue emozioni facendole riaffiorare in pienezza.

Talora sarà una canzone, altre volte una melodia o un concerto che ci ha segnato dentro e accompagna ormai il ricordo al quale è unito come un'inscindibile colonna sonora. Una sorta di "madeleine" musicale insomma che - non più attraverso il sapore, ma con la magìa dei suoni - ci aiuta a ricercare il tempo perduto per farci scoprire che realmente perduto non è, se bastano i sensi a restituircelo così intensamente.

Anche tante circostanze della mia vita sono legate alla musica, soprattutto se torno all'adolescenza - per tutti una delle età più ricettive - ma non solo.
Ho già parlato della particolare atmosfera alla quale mi richiama il "Messiah" di Haendel, una sera d'inverno a Venezia. Con Bach invece - devo averlo già detto altrove - ritrovo la colonna sonora dei miei studi liceali: perfetto con gli esercizi di matematica, quasi le sue architetture contrappuntistiche fossero nate per scandire l'ordinata ritmica dei numeri.
Mentre Wagner, con l'Ouverture del "Tannhauser", mi riporta ad un pomeriggio di pioggia torrenziale, in casa di amici: loro mi parlavano, ma io non avevo più testa che per quelle note.


Ma uno dei ricordi emotivamente più intensi è legato al "Larghetto" della Sinfonia "Classica" di Prokofiev.
E' un brano che mi riconduce ai tempi dell'università, a una giornata trascorsa in un quartiere periferico di Milano: una Milano che poi avrei amato con passione, ma per me allora sconfinata e nuova, sconosciuta e desolante nei suoi spazi immensi, tanto che mi aveva insinuato un brivido di sgomento. Forse lì, per la prima volta, io che venivo dalla piccola provincia avevo provato la sensazione dell'ignoto, dell'affacciarsi a dimensioni dell'esistenza che spalancano dentro universi inusitati, così come le note dissonanti del "Larghetto", a me innamorata della musica barocca, aprivano squarci di una sensibilità nuova.


Proprio a questo ricordo desidero tornare oggi con la Sinfonia n.1 in Re maggiore op.25 "Classica" di Sergej Prokofiev (1891 - 1953), che propongo all'ascolto nei suoi due movimenti iniziali, "Allegro" e "Larghetto".Si tratta di una composizione che vuol essere formalmente un omaggio al classicismo di Haydn, anche se i contenuti musicali sono ormai più vicini a noi: un'opera scintillante e lieve, sorprendente e ariosa dove vivacità e brio caratterizzano il primo tempo. Qui infatti - insieme al ritmo a tratti giocosamente scandito soprattutto dai salti di ottava - è il dialogo tra gli archi e i fiati a dominare il pezzo, facendosi prima sottile e poi sempre più complesso e fragoroso.

Ma, a mio modesto avviso, vero capolavoro è il "Larghetto", brano simile a un passo di danza misurato e leggero, percorso da fremiti orchestrali dolci come un sospiro. E me lo immagino proprio danzato con la perfetta levità e l'incedere delle ballerine del dipinto di Degas ("Les petits rats") riportato nel riquadro.
Note vibranti e ritmate, quindi, che nei passaggi di tono e nelle dissonanze regalano respiri d'infinito aprendo l'anima a imprevedibili nuove suggestioni.
Un po' come la primavera che già si annunzia in queste giornate più dolci dopo il grande freddo, recando nell'aria il profumo sconosciuto del tempo che verrà.

Buon ascolto!