lunedì 30 gennaio 2012

Gennaio: impressioni di assorto stupore

Il mese di Gennaio volge al termine, i giorni della merla stanno stringendo la campagna nella morsa del freddo. Forse nevicherà....

Al di là dei vantaggi o dei disagi che la neve può portare nel contesto della nostra vita, sempre intensa è la suggestione che regala al paesaggio e grande il suo fascino.
Forse per questo, numerosi sono stati nel tempo gli artisti
che hanno sottolineato con le loro opere la particolare atmosfera che essa sa creare.
Da Carducci a Saba, da Emily Dickinson ad Ada Negri solo per citarne alcuni, molti poeti ne hanno cantato lo splendore. E per passare al mondo dei colori, come non ricordare - per esempio - gli sfondi di paesaggio innevati di Bruegel il Vecchio, o le montagne di Segantini o i numerosi dipinti che gli Impressionisti hanno dedicato proprio alla neve?

E' su uno di questi ultimi che desidero soffermarmi oggi: un'opera di Alfred Sisley (1839 - 1899), "La neve a Louveciennes" (Parigi - Museo d'Orsay), che mi pare adatta all'atmosfera di queste ultime giornate di Gennaio.

E' noto l'interesse pittorico degli Impressionisti per la neve: basti ricordare i numerosi dipinti di Monet su questo tema e la passione di tali artisti per ogni aspetto della natura e del paesaggio che consentisse loro di cogliere "l'attimo fuggente" della luce. Così come hanno amato l'acqua, gli alberi o i giardini in fiore, altrettanta attenzione hanno avuto per la neve poichè essa permette di giocare proprio con la tinta più luminosa - il bianco - variegandone sfumature e gradazioni con diversi altri colori.

Nel dipinto "La neve a Louveciennes", un vicolo tra due muretti di cinta - proprio al centro dell'immagine - apre una prospettiva che converge verso una figuretta scura e poi conduce fino in fondo e forse al di là, al paesetto di cui s'intravvedono case, alberi e un campanile.
Ma è la neve la vera protagonista che tutto ricopre - dal vicolo alla sommità dei muretti, fino ai rami degli alberi - immergendo la scena in un'atmosfera di silenzio e conferendo anche al cielo quella particolare tonalità che solo un paesaggio innevato sa regalare.
Prevale una gamma di colori che vanno dal bianco all'azzurro, ai grigi, al giallino con qualche tocco di marrone e di nero, un impasto di tinte dove sfumature e spessori sono creati direttamente da larghe pennellate non preordinate da un disegno, ma sommarie e veloci per fermare l'istante
.

Amo molto questo dipinto: è il suo silenzio a colpirmi in modo particolare insieme all'atteggiamento raccolto che intuisco in quella figuretta scura.
Va verso il fondo o viene verso di noi che osserviamo?
Chissà... Probabilmente si allontana, ma forse saperlo non è importante ai fini della comprensione del quadro, mentre ciò che conta è solo quel tocco di nero che essa dona a contrasto col biancore.
Tuttavia, la sua presenza suggerisce comunque che siamo noi a procedere con lei in quel silenzio intatto, tra quei muretti a lato che segnano un percorso e al tempo stesso limitano la visuale come una siepe di leopardiana memoria.
Siamo noi a procedere nella calma circostante, chiusi in un cerchio di assorto stupore: uno sguardo al cielo dalla gradazione così indefinita
da non indicarci alcuna precisa ora del giorno, e un altro - incantato e segreto - alla bellezza in cui siamo immersi.

Ma la meraviglia di questo dipinto sta anche nella sua semplicità: piccole cose, uno steccato, un muretto, forse una porta, case, una figura femminile che più che vedere intuiamo nel suo andare, le macchie bianche dei rami innevati e il cielo.
Un'impressione affascinante, dove l'apparente tristezza del paesaggio si stempera in un senso di intimità, un'immagine colta nella verità di un istante e tuttavia nel cuore della sua vaghezza.


A commento del dipinto, propongo un famoso e delicatissimo brano di Claude Debussy (1862 - 1918), compositore considerato dai critici uno degli esponenti dell'Impressionismo in campo musicale.
Si tratta di "Reverie"
, pezzo intenso, meditativo, profondo: una sognante fantasticheria che ci rimanda proprio alla particolare atmosfera che il quadro di Sisley suggerisce.

Buon ascolto!

venerdì 27 gennaio 2012

Il sorriso di Etty

Ci sono documenti di vita vissuta che ci restano dentro insieme ai loro autori non solo per l'interesse storico del contenuto, ma perchè scendono nel profondo dell'anima interpellandoci in modo particolarmente toccante.

E' il caso del "Diario" di Etty Hillesum, ebrea di origine olandese morta a 29 anni ad Auschwitz alla fine del 1943.
Si tratta di un testo che ha avuto larghissima diffusione a partire dagli ultimi trent'anni e dal quale la personalità dell'autrice emerge in modo spiccato con la sua luminosa capacità di reagire al buio della persecuzione nazista.


Il Diario registra infatti gli ultimi due anni dell'esistenza di Etty : dalla sua vita ad Amsterdam a quella nel campo di smistamento di Westerbork, dal forte legame con Julius Spier alle relazioni con familiari ed amici.
Ma a chi lo legge non può sfuggire quanto le sue annotazioni, più che un susseguirsi di eventi esterni, siano in realtà una storia interiore, la storia di un'anima.

Quella di Etty è una progressiva crescita nella consapevolezza di ciò che sta accadendo agli Ebrei, ma soprattutto nella volontà di vivere quell'esperienza preservando in sè viva l'immagine di Dio. Una consapevolezza che si fa strada in modo sempre più chiaro attraverso lo sbocciare della fede religiosa, conseguenza quasi naturale del suo ascoltarsi dentro.

C'è freschezza, c'è sorriso nel suo cuore, ma soprattutto una gratitudine che non solo non viene mai distrutta dal drammatico precipitare degli eventi, ma che nel tempo prende forza e fondamenta sempre più sicure.
Evidentissima è l'attitudine a non lasciarsi fiaccare, a non cedere alla tentazione della paura o del ripiegamento su se stessa: il suo è infatti un andare verso gli altri con altruismo operoso, lo stesso altruismo che la porterà a non tentare di salvarsi, ma ad accettare e condividere la sorte dei suoi compagni di sventura fino alla fine.
Anche la piccola
foto che la ritrae mentre sorride e gioca forse col gatto di casa, restituendoci un'immagine quotidiana, ce la rende vicina nella concretezza del suo vivere e credibile in tutta la sua gioia.
E alcune sue affermazioni hanno il sapore di una preghiera ancora di grande attualità:

"L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini."

Considerazioni che non abbisognano di commenti così come le splendide parole che concludono il "Diario", parole incantate, soprattutto se si pensa che sono state scritte alla vigilia della deportazione ad Auschwitz:

"Si vorrebbe essere balsamo per molte ferite".

Nel "Giorno della Memoria", mi piace allora rendere omaggio a questa donna straordinaria attraverso un altrettanto straordinario Bach e una giovane bravissima interprete.
Il
"Preludio e fuga in la minore BWV 543" trascritto per pianoforte da Liszt e qui eseguito da Lise de la Salle è infatti un brano grandioso e fortemente drammatico, delicatissimo e insieme profondo. E mi pare che ben si adatti alla vicenda di Etty ricordandoci che - davvero - anche ogni autentica espressione artistica può essere "balsamo per molte ferite".

Buon ascolto!

lunedì 23 gennaio 2012

Vedere l'orizzonte

Un timido sole si fa strada stamattina dopo le brine e le persistenti nebbie dei giorni scorsi. Uno squarcio di azzurro illumina il cielo e restituisce respiro.
Vedere l'orizzonte, ecco ciò che mi ridona fiato!
Al di là del fascino che può avere la nebbia con la sua aura di mistero, preferisco infatti poter guardare avanti, avere una prospettiva che si disegna nitida di fronte ai miei occhi, fosse anche in un cielo carico di nuvole.

L'orizzonte ci regala spazio e cammino, suggerisce sogno e avventura; talora è infinito, talaltra invece mostra un limite oltre il quale non ci è concesso andare. Non sempre la campagna è sconfinata davanti a noi, ma a maggior ragione l'orizzonte diventa allora guida preziosa.
Che sia sguardo di largo respiro sull' esistenza o segreta bussola del cuore che ci orienta nei varchi della nostra piccola quotidianità, vederlo ci assicura che non ci perderemo.
Talora sarà saggezza restare ancorati alla sua linea di confine che ci dà la misura del nostro passo
e diventa concreto recinto entro cui coltivare il nostro giardino; altre volte invece, il "campo lungo" sarà stimolo a superare il limite e andare oltre respirando l'ebbrezza del nuovo. Ma sempre il suo profilo nitido o incerto, preciso o baluginante come un miraggio sarà riferimento importante.

Ad aiutarci a dissolvere nebbie e fissare lo sguardo a vicini o lontani orizzonti, oggi ancora una volta è
Mozart con le sue note capaci di nutrire i sogni, tenere alte le speranze e non dimenticare il cielo sulle cose umane.
Sì, ancora Mozart: semplice e profondo, vero, invischiato nella vita e insieme capace di sorriso da una distanza che tutto restituisce in bellezza e tutto assume - luci ed ombre, vivacità e affanno - in uno sguardo di supremo equilibrio, uno sguardo d'amore. Mozart che c' insegna lo spessore e il pianto, ma pure l'incanto e la leggerezza....

Il brano che propongo è l'ultimo tempo della "Sinfonia n.39 in Mi bemolle maggiore K.543", un pezzo che - a mio avviso - fa cantare il cuore e ringiovanisce dentro.
La sua vivacità a tratti tumultuosa, ricca di passaggi che salgono di tonalità in tonalità, ci conduce in continuazione a sorprendenti aperture. E gli squarci in minore che si risolvono quasi subito nei toni maggiori, sembrano suggerirci che la gioia del compositore è frutto di una sofferenza superata e ormai contemplata con distacco - forse con un sorriso - nell'equilibrata economia del tutto.

Così l'orchestra, guidandoci con perfetta coesione verso il finale, sembra disegnare una prospettiva che ci rimane dentro proprio come un gioioso orizzonte dell'anima, a regalare forza e senso al nostro cammino.

Buon ascolto!!!

mercoledì 18 gennaio 2012

Storie di paperi

Ho sempre amato i cartoni animati e, quando mi capita, li guardo ancora volentieri.
Tom e Jerry
, Silvestro e Gonzales, i Flintstones e poi Paperino, Topolino, tanto per citarne solo alcuni, mi hanno spesso divertito per la freschezza delle animazioni e le sfumature tenere, profonde e vere delle loro storie o dei loro caratteri.
In fondo, una proiezione della nostra vita con pregi e difetti in cui ci riconosciamo e che guardiamo volentieri per il garbo con cui sono illustrati: piccole pause di distensione che ci regalano sorriso e serenità.

Fra tutte le case di produzione cinematografica che si sono occupate di cartoni, trovo però insuperabile la Disney che, tra l'altro, ha associato i film di animazione alla musica classica.
Tutti ricordiamo
"Fantasia" con la sua meravigliosa colonna sonora, sia nella vecchia edizione diretta da Stokowskj che in quella più recente da Levine.
Entrambe ci offrono brani e storie suggestive soprattutto per la perfetta simbiosi che fonde note e ritmi con le immagini: da Ponchielli a Beethoven, da Saint-Saens a Dukas, ne derivano infatti episodi in cui la musica non è semplice piacevole accessorio, ma fondamentale elemento espressivo.

Il brano di oggi tratto da "Fantasia 2000" è un insieme di pezzi stralciati dalle Marce N. 1 - 2 - 3 - 4 di "Pomp and Circumstance op.39" di Edward Elgar (1857 - 1934).
La musica - solenne, ritmata, trionfale, scintillante - è qui magistralmente associata alla storia dell'arca di Noè che, a sua volta, s'intreccia con quella di Paperino e Paperina ciascuno dei quali, al momento del diluvio, crede che l'altro sia rimasto in balìa delle onde.

Le note di Elgar quindi - oltre a commentare con potenza la marcia di entrata e uscita degli animali dall'arca - sottolineano ogni sfumatura di una storia d'amore fatta di tenerezza, dramma, nostalgia, sorpresa, in un contesto narrativo non privo di una certa dose di umorismo che si avvale anche di piccoli dettagli per coinvolgerci nella vicenda.

Ma straordinario è pure il modo con cui le immagini - create proprio per valorizzare la musica - si adattano ai ritmi delle note nell'incedere uguale e variato delle diverse coppie di animali
nella parte iniziale, o quando Paperino "dirige il traffico" all'ingresso dell'arca o nelle scene più drammatiche e concitate.
Così, anche le parentesi di dolcezza che la narrazione ci offre sono commentate da una melodia più meditativa e serena, mentre trascinante è la forza gioiosa della marcia finale che, con la sua tonalità maggiore, prelude al buon esito della vicenda.

Note trionfali infatti sottolineano il lieto fine: i due protagonisti si ritrovano e il mondo si riapre davanti a loro, come sembra suggerire Paperino con l'ampio gesto della mano nell'inquadratura conclusiva.

Confesso che mi sono commossa : quando l'Arte ha la maiuscola, riesce sempre ad abbattere le nostre difese e allora anche una semplice storia di paperi può far breccia dentro di noi.

Buona visione e buon ascolto !

(Purtroppo, non essendo più disponibile in data odierna - 13/10/2013 - il video che avevo postato inizialmente, ne riporto altri due: il primo con la musica di Elgar che costituisce la colonna sonora del cartone, e il secondo con le immagini di Fantasia 2000 e solo il primo minuto e mezzo di musiche originali. Ma è tutto splendido ugualmente!!!)

 

domenica 15 gennaio 2012

Rimuovere la pietra

Nei miei anni di frequentazione del mondo delle note, ho sperimentato spesso quanto la musica ci aiuti a ritrovare la gioia dentro di noi.
E' una percezione che ho avuto fin da quando - ancora adolescente - m'incantavo sui ritmi di Bach o sulle arie di Mozart o sugli studi di Chopin.
Se una contrarietà, un'ombra, quel nulla cui spesso non sappiamo dare un nome preciso talora appannava il mio sguardo, ascoltare musica dissipava ogni nube, mi ricuciva interiormente con quel rammendo sottile e
talora dolcissimo che solo le note sanno regalare.
Il Bach dei Brandeburghesi mi restituiva la forza per continuare a guardare in alto e il Mozart di certe Ouvertures mi ricostruiva dentro.
Così - credo di averlo già ricordato altrove - con questa sorta di musicoterapia rifioriva la serenità
.

Ma oggi più che mai, oggi che il peso del tempo e delle vicende che lo accompagnano dentro e fuori di noi tenta spesso di offuscare quel lume segreto che tutti portiamo in cuore, ricorrere alla musica diventa una necessità, oltre che un piacere com'è sempre stato.
Può capitare che incertezze, confusione, timori, magari fatica a ritrovare la nostra autenticità, talora ci blocchino come quando lo scorrere libero di un ruscello è ostruito da una pietra.
La musica sa rimuovere quella pietra: a volte lo fa con grande delicatezza, dando luogo a una lenta trasformazione interiore di cui non siamo immediatamente consapevoli; altre volte ha su di noi un impatto più energico e deciso, coinvolgente e appassionato, e allora una vera e propria cascata di acque sorgive torna a scaturire dagli anfratti della nostra anima.
Ma sempre le note ci riportano a una dimensione esistenziale più alta, ad una Bellezza capace di restituire noi a noi stessi, riconducendoci in quello spazio sacro dove attingiamo la nostra verità.
E dove ricominciamo a vivere.

Il brano che propongo oggi - l' "Adagio-Allegro" iniziale dal "Concerto grosso op.6 n.4 in Re maggiore" di Arcangelo Corelli - ci regala una gioia che affiora dal profondo proprio come un ruscello di acque limpide e rigeneranti riprende finalmente a scorrere libero.
Nella terrena concretezza della tonalità di Re maggiore
sulla quale il tema insiste ritornandovi più volte, il compositore ha creato una vivacissima costruzione musicale avvalendosi dell'energia dei violini solisti insieme al respiro dell'orchestra d'archi.
Un pezzo intenso e scintillante, capace di ridonare sorriso e forza interiore proprio come un gioioso risveglio alla vita.


Buon ascolto!

martedì 10 gennaio 2012

Indimenticabile Faber...

Cadrà domani il tredicesimo anniversario della morte di Fabrizio De André; e anche se l'odierno contesto della canzone ha dato spazio ad altri ritmi ed altri stili, le note di Faber - insieme ai suoi testi così poetici - ci parlano ancora.
Ci parla la sua capacità di toccare interrogativi di fondo, di sentire con profondissima intensità la malinconia del tempo che passa, la solitudine, la nostalgia per l'amore perduto prima ancora dentro che fuori di noi.

Ci parla la sua voce inimitabile che sa farsi dolcissima e insieme irriverente, mentre ci narra fiabe dense di verità o scava nel profondo della nostra esistenza.

Tra le canzoni più significative, ho in mente "Anime salve", "Inverno" o la bellissima "Preghiera in gennaio" tanto per citarne solo alcune: brani che testimoniano il senso religioso del compositore, il coraggio di guardare in viso la morte con occhi disincantati e pure colmi di umana - starei per dire sovrumana - pietà.

Numerose sono state in questi anni le incisioni così come gli arrangiamenti della sua musica volti a rendergli omaggio.
L'ultimo in ordine di tempo uscito lo scorso novembre
è "Sogno N.1", un cd che raccoglie alcuni tra i pezzi più famosi del cantautore, dove la sua voce è accompagnata dalla London Symphony Orchestra che - cosa non nuova nel mondo della canzone - rivisita i brani in chiave classica.
L'operazione ha suscitato discussioni e un po' di sconcerto da parte dei cultori di De André, alcuni dei quali l'hanno accolta con entusiasmo riconoscendo all'orchestra il merito di aver creato arrangiamenti suggestivi e indovinati, mentre altri hanno visto in essa un totale stravolgimento dello stile dell'artista.

Personalmente, apprezzo la versione classica dei brani soprattutto dove li riempie di uno spessore quasi tardoromantico, anche se mi lasciano perplessa talune sonorità orchestrali un po' eccessive all'interno delle quali la voce dell'artista pare quasi forzatamente giustapposta rispetto al più sobrio accompagnamento originario. In ogni caso, "Sogno N.1" offre una rivisitazione per certi aspetti interessante.

Oggi però, desidero ricordare Faber con una canzone che non compare in quest'ultimo cd proprio perchè è già di per se stessa un pezzo classico: "Caro amore".
Il brano infatti - come già era stato per "La canzone dell'amore perduto" la cui aria è ripresa da Telemann - ricalca esattamente le note del famosissimo Adagio del "Concerto di Aranjuez" di Joaquin Rodrigo a cui De André ha aggiunto solo le parole.
Parole che, ancora una volta, ci raccontano il senso della precarietà e la nostalgia per la giovinezza perduta,
dissolta come impalpabile soffio in una parabola che vede affiancato il ciclo delle stagioni a quello dell'esistenza umana.
E il discorso che prende forma sulla fioritura di note della chitarra sembra quasi farsi prosastico proprio come l'inevitabile cammino verso l'inverno dopo "i verdi anni che cantando se ne vanno".

Buon ascolto!



mercoledì 4 gennaio 2012

Magìa di un improvviso

A chi affidare il primo post dell'anno nuovo?
A quali note consegnare i pensieri sui giorni che verrano, le speranze e i progetti, i timori e le incertezze, ma soprattutto il filo prezioso della serenità interiore?

Alle complesse sonorità di un'intera orchestra? A una voce? A un coro? A uno strumento solista?

Oggi ho scelto ancora una volta il pianoforte con un famoso brano di Franz Schubert, l' "Improvviso op.90 n.3 in Sol bemolle maggiore", perchè regala un'armonia davvero sorprendente.
Dalle sue note infatti - dall'onda dello spessore e talora del tormento - riaffiora una melodia rasserenante e gioiosa nella sua delicatezza: un'aria semplicissima sostenuta da continui arpeggi che vanno a sostanziare di profondità anche la più piccola frase musicale.
Un'aria che narra cieli sereni ma pure tempestosi, un tema ora limpido ora irrequieto e tumultuoso, ma sempre risolto in cristallina sorprendente serenità.
Un'onda di vita segreta che scorre simile a un fiume sotterraneo che a tratti riaffiora con impeto. O con dolcezza.

Proprio la dolcezza, infatti, è la cifra che contraddistingue la splendida interpretazione di Krystian Zimerman tesa a mettere in luce ogni sfumatura di questo brano struggente e incantato, sottolineando il continuo rifiorire della melodia dal malinconico tono minore alla gioiosa freschezza di quello maggiore.

E mi fa pensare a quei prati di montagna dove - dopo la pioggia estiva o dopo l'ultima neve invernale - si schiudono i crochi magari in una notte e all'improvviso tutto si copre di magìa. O a quei deserti americani che, a distanza di anni, rivivono il miracolo della fioritura.
O alla nostra esistenza che sembra spesso scorrere uguale, talora ingessata dal bisogno di tenere tutto sotto controllo, anche il futuro, e invece è intessuta di sorprese dietro l'angolo, affidate alla fantasia di Chi ha dispiegato i cieli sopra di noi.

Una musica che suggerisce un sereno abbandono che ci renda capaci di vedere nel profondo, perchè fioriscano i crochi anche nel cuore della nostra quotidianità!

Buon ascolto e ancora Buon Anno!!!