giovedì 27 dicembre 2012

Dicembre: sguardi di stupore.

Natale è passato da poco, ma desidero soffermarmi di nuovo su di un'immagine natalizia che - al di là delle feste e delle consuete luminarie di questo periodo - riconduca ad un clima di silenzio e di stupore.

Così, per l'angoletto di arte figurativa del mese di dicembre, ho scelto ancora una volta una riproduzione del trecentesco Maestro di Tolentino - o, secondo la critica più recente, Pietro da Rimini - come avevo fatto il giorno di Natale.

Si tratta dell' "Annunzio ai pastori", tratto sempre dagli affreschi del Cappellone del Santuario di San Nicola a Tolentino. Purtroppo, non dispongo di una foto che rappresenti la scena nella sua totalità perchè alcune parti del ciclo compositivo sono andate perdute e devo accontentarmi di particolari. Tuttavia sono dettagli suggestivi.
Lo scorso anno, dallo stesso ciclo ho pubblicato la tenerissima immagine di Gesù Bambino che sta per fare il bagnetto (vedi post intitolato "Vicinanza"). Ora invece, dopo aver riportato gli angeli della Natività, mi piace focalizzare l'attenzione sui pastori.
Sì, sono sguardi di stupore quelli dei due pastori che levano gli occhi al cielo.
Guardano entrambi in alto, probabilmente all'angelo che li ha svegliati con la sua luce, ma lo stupore si disegna diversamente sui due volti. Più schietto ed esplicito nel viso di quello biondo e più giovane che manifesta anche col gesto della mano la propria sorpresa; ma non meno vero in quello bruno e più maturo, nel quale l'intensità dello sguardo e il gesto trattenuto delle mani che appena s'intravvedono, esprimono una commozione più intima e forse ancora più profonda.
Due figure diverse: l'una estroversa e vivace, colta in un subitaneo moto di sorpresa (o di spavento?...), l'altra più composta e pacata, ma entrambe di grande efficacia espressiva. Facendo un salto narrativo - e con un po' di fantasia - quasi un Giovanni e Pietro la mattina della resurrezione, anch'essi diversi per temperamento, età e modo di accostarsi all'evento.

I tratti degli occhi, il fondo blu, la monumentalità dei corpi, la semplicità dell'ambientazione ricordano da vicino lo stile di Giotto per l'essenzialità ricca di spessore e l'immediatezza narrativa tipica della sua pittura.  
E tuttavia trovo che qui, nell'indagare i due volti, ci sia una ricerca espressiva che va quasi al di là della sintesi giottesca.
Sembra infatti che un muto dialogo s'intrecci tra quegli sguardi e gli angeli che non vediamo, e sia proprio la partecipazione emotiva che leggiamo in viso alle due figure a completare la bellezza dell'evento, coinvolgendo anche noi che forse un po' ci riconosciamo in questi pastori, presi dalla loro stessa meraviglia.
Ed è quello stupore che rende sacro il luogo in cui ci si trova: la magnificenza di una cattedrale come la povertà di una capanna, la poesia di un'accurata celebrazione liturgica come la prosa di una giornata di ordinaria quotidianità.

Perciò, mi sembra bello commentare queste immagini con un famoso e suggestivo brano del compositore austriaco Anton Bruckner (1824 - 1896). 
Si tratta del mottetto "Locus iste", per coro a quattro voci miste, scritto nel 1869 per la
dedicazione della cappella votiva della Cattedrale di Linz .

La melodia, soffusa di dolcezza e intensità, ci restituisce qua e là echi mozartiani dell'Ave verum, ma al tempo stesso nelle battute iniziali ci regala aperture di sapore wagneriano che mi ricordano l'Ouverture del Tannhauser. 
Il testo è quello del graduale cantato ordinariamente nelle celebrazioni per la dedicazione delle chiese, e recita così: 
"Locus iste a Deo factus est, inaestimabile sacramentum, irreprehensibilis est".
E il Maestro di Tolentino ci racconta che, nel segno dello stupore, questo luogo può essere ovunque. 

Buon ascolto!

martedì 25 dicembre 2012

Angeli di Natale

A tutti voi 
che passate 
di qui

BUON  NATALE
  
nella luminosa armonia 
delle note!!!
                                                                                                      
Maestro di Tolentino - "Natività" (particolare).
Santuario di S.Nicola - Tolentino.

Johann Sebastian Bach : "In dulci jubilo" BWV 729.                                                                                                                   

sabato 22 dicembre 2012

Verso Natale

Mi ha sempre affascinato nell'arte medioevale sia romanica che gotica, quella nutrita serie di simboli di cui essa è intessuta, segno che i costruttori del passato - come spesso anche oggi i contemporanei - non lasciavano nulla al caso, assegnando ad ogni modulo compositivo un suo preciso significato soprattutto se si trattava di edifici religiosi.

Dalla posizione del fonte battesimale ad un quadriportico, da un matroneo a una cripta o alle decorazioni di un capitello, ogni parte della chiesa aveva una sua ragion d'essere che non nasceva solo dalla fantasia e dal gusto dell'architetto o scultore, ma anche da ciò che quella parte doveva significare nell'insieme della costruzione. Come gli affreschi che narravano la storia sacra erano infatti la cosiddetta "Bibbia dei poveri", così era anche per architettura e scultura: dovevano parlare.

Nel gotico per esempio, esprimono leggerezza e tensione verso l'infinito i ritmi ascensionali, le vetrate che sostituiscono la muratura continua con il loro caleidoscopio di colori, ma anche le mille decorazioni che hanno arricchito soprattutto le grandi cattedrali, facendo letteralmente fiorire la pietra.

Tra queste, i rosoni hanno spesso attirato la mia attenzione sia per la loro bellezza che per il loro significato simbolico. 
Al di là della stilizzazione del fiore - la rosa - con i suoi petali e della forma circolare che può richiamare il sole nei suoi molteplici aspetti vitali, l'immagine mi colpisce anche per un altro motivo.
Se pure non è così in tutti gli edifici, tuttavia in molti casi il rosone si trova inscritto in una cornice quadrata, come nella foto in alto che riporta quello del famosissimo Duomo di Orvieto, opera dell'Orcagna che risale alla seconda metà del Trecento. Qui infatti il cerchio, simbolo dell'infinito, è inserito in un quadrato, simbolo del finito, come a dire che il tempo di Dio si inscrive in quello dell'uomo, il divino entra nell'umano, il celeste nel terrestre, la perfezione nel limite; come a significare il mistero dell'Incarnazione, la Bellezza che s'innesta ed esplode all'interno della nostra storia di tutti i giorni. 

Mi sembra interessante ricordarlo proprio ora che ci avviciniamo al Natale perchè è bello sapere che, in tante opere d'arte del passato - e non solo - siamo circondati da segni e geometrie non casuali, ma ricche di rimandi a una dimensione più alta. Ed insieme è scoprire come linee e forme, volumi e superfici modellati dagli artisti ci accompagnano col loro affascinante linguaggio, quasi anche dalle pietre s'innalzi una lode colma di stupore per il mistero che si compie. 

Così, mi piace commentare quest'immagine con una famosa melodia che celebra il Natale. Si tratta di "Balulalow", canto di antica tradizione scozzese su testo dei fratelli Wedderburn, ripreso da Benjamin Britten (1913 - 1976) all'interno della composizione "A Ceremony of Carols op.28", per coro e arpa in dodici movimenti. "Balulalow" ne costituisce il quinto, una dolce ninna-nanna per il Bambino Gesù, al quale - come dice il testo - l'uomo prepara una culla nella propria anima. 
Un po' come quel quadrato che con il proprio limite e la propria finitudine incornicia il movimento infinito del cerchio, quasi a custodirne la perfezione e il prezioso splendore.

Buon ascolto !

lunedì 17 dicembre 2012

Dedicato al mio computer

  Credo che il mio computer sia vivo.
Lo penso da quando ha iniziato ad avere comportamenti e soprattutto emozioni tipiche degli umani.
Cercherò di spiegarmi, ma prima devo fare un passo indietro. Bisogna sapere che il mio computer è con me ormai da anni e quindi il tempo e l'assiduità hanno creato tra noi una vicinanza non da poco.
Non so se vi è mai capitato di parlare agli oggetti, soprattutto quelli che avete in casa da parecchio: a me succede....e spesso mi sono accorta che con le cose che abitano con noi e silenziosamente ci guardano, scatta una familiarità che ce le rende vicine e....sì, proprio vive!

Dunque, dicevo: il mio computer è invecchiato e - come gli umani - sta diventando lento, talora di una lentezza esasperante. 
A volte serve incoraggiarlo, altre volte no perchè, con l'età, è diventato anche un po' permaloso e devo stare attenta a misurare le parole. E poi si emoziona facilmente, basta un clic di troppo ed è finita.

Se per esempio viene un'amica che non conosce a vedere delle foto o altro, lui che aveva funzionato fino a pochi minuti prima, che fa?...Mi fa il timido! Improvvisamente si blocca e non va più nè avanti nè indietro. 
Allora devo blandirlo un po' ("Dai... non emozionarti! E' un'amica, non un'estranea...") o cercare di farlo ragionare ("Guarda che lei non ha il computer, è qui per imparare e se fai così non si deciderà mai a comprarne uno..."), finchè non gli sibilo tra i denti ("...e non farmi fare brutta figura!!!").
Se poi cerco di giustificarmi con gli altri con qualche battuta dicendo che il mio computer è "assiro-babilonese", lui ha anche il coraggio di offendersi e rispondere per le rime: emette un suonino, un "plin" di tono quasi beffardo come a dire "Sì...perchè tu invece...!!!"
E per di più ha i suoi gusti: se carico una foto che gli piace, lo fa in un batter d'occhio senza protestare, ma se per caso l'immagine non è di suo gradimento....non ci sono santi e devo per forza sceglierne un'altra. 

Capitano però certe mattine - rare per la verità - in cui diventa obbediente, remissivo e pure incredibilmente veloce; va come una lippa e allora mi viene il dubbio che abbia qualcosa da farsi perdonare.... 
Insomma, baruffe da vecchi amici come nelle migliori famiglie, insieme a difetti di carattere che si sono accentuati con l'età...la sua!

Il guaio però è che ora lo dovrò cambiare perchè la situazione è diventata proprio insostenibile, ma - per quanto desideri avere in mano uno strumento aggiornato e veloce - mi spiace davvero lasciare un compagno di lavoro col quale dialogo da anni, testimone di tanti miei scritti a cominciare da questo blog! 
Col tempo, mi ci sono affezionata più di quanto non sembri: in fondo - se si eccettua quest'ultimo periodo in cui è diventato un po' bisbetico - ha svolto il suo servizio egregiamente e tra noi è nata quella familiarità tipica degli amici di vecchia data che possono dirsi liberamente di tutto, ma il giorno dopo sono ancora lì, insieme. E del resto, anche lui ha dovuto sopportare la mia impazienza o le mie giornate di luna storta.

Allora, per ringraziarlo delle tante ore di lavoro in cui mi è stato accanto - anzi no, davanti! - oggi voglio rendergli omaggio con il brano di musica che segue. 
Si tratta dell' Ouverture dell'opera "Il signor Bruschino" di Gioacchino Rossini, vivacissima e singolare sinfonia, resa famosa soprattutto dai battiti degli archetti sui leggii da parte dei secondi violini, bizzarro particolare che si ripete alcune volte nel corso del pezzo. Al di là del tono giocoso della composizione rossiniana, mi risulta che battere gli archetti sui leggii da parte degli orchestrali sia anche un modo per manifestare il proprio consenso verso la bravura del direttore o del solista.
Bene: allora, nel momento in cui sta per andare in pensione, in segno di affettuoso apprezzamento per il lavoro svolto, desidero dedicare al mio computer questa Ouverture scintillante e festosa, movimentata e sorprendente fino al fragoroso - e meritatissimo - applauso finale!

Buon ascolto!

martedì 11 dicembre 2012

La lezione di Annette

Come per il passato, ho seguito anche quest'anno le varie cronache musicali e mondane che hanno accompagnato la "prima" della Scala, insieme alla diretta dell'evento trasmessa su Rai 5. 

Mi ha sempre destato meraviglia il grande impegno di lavoro, di mezzi e di cultura che si rende necessario per offrire al pubblico del teatro milanese prima di tutto - e poi al mondo intero - uno spettacolo che raggiunga livelli di eccellenza. E ogni volta ne resto ammirata. 
Così è stato anche nei giorni scorsi quando - come si sa - è andato in scena il "Lohengrin" di Wagner. 
Lascio agli esperti i giudizi in merito alla direzione orchestrale del Maestro Barenboim e alla qualità della regia con le discusse novità sull'ambientazione della vicenda. Ciò che mi ha più colpito e su cui vorrei soffermarmi invece è la splendida performance della soprano Annette Dasch che ha cantato nel ruolo di Elsa.

Al di là delle sue apprezzabili doti vocali e delle capacità interpretative, ciò che quest'artista mi ha lasciato è il senso di un'assoluta professionalità, fatta di competenza e passione, di grinta e coraggio.
Occorre infatti un altissimo livello di preparazione e una convinzione non da poco in ciò che si fa per accettare un impegno così importante e improvviso - sostituire all'ultimo minuto la protagonista alla "prima" della Scala! - ritagliandosi il tempo tra altre scadenze professionali e il dolcissimo ruolo di mamma.  
Ed è stato un tempo magico, vissuto con consapevolezza e rigore, ma anche con notevole freschezza e semplicità, quella dei grandi. Quella che ha permesso ad Annette di lanciarsi in quest'avventura superando con determinazione le titubanze che forse avrà avuto prima di una simile prova. 
La stessa semplicità che, durante l'applauso finale, ho letto nel suo sorriso un po' stupito di tutto quel calore, della pioggia di fiori dai palchi in quella cornice così unica; e che le ha permesso di rinunziare alla rituale cena di gala dopo lo spettacolo - palcoscenico squisitamente mondano - perchè altre priorità urgevano.

Bella la foto che la ritrae già in partenza, con la bimba di pochi mesi in braccio, smessi gli abiti di scena e tornata subito alla quotidianità: una donna alle prese col suo lavoro e il suo ruolo di mamma, capace di incantare il pubblico con la propria bravura, ma anche di scendere da quel piedistallo che, in una sola serata, l'ha "promossa a superstar della lirica" - come si legge sul Corriere della Sera di qualche giono fa - e riprendere i propri impegni già programmati.
Una lezione di professionalità e insieme di classe e bellezza, perchè è bella la ricchezza che Annette ci ha regalato non solo in termini musicali, ma anche professionali e umani. 

Allora, mi piace risentirla in una performance che la vede interprete non di Wagner stavolta, ma di Franz Joseph Haydn, in un famoso brano dall'oratorio "La Creazione". Il testo dell'opera - che si rifa al racconto biblico della "Genesi" e al "Paradiso perduto" di Milton - si riferisce in questo pezzo alla creazione di erbe, piante, fiori e foreste. E nel descriverne la nascita, a un certo punto dice:  

"Qui germoglia l'erba che risana le ferite".

Ecco, mi sembra proprio che queste parole si possano applicare anche alla Musica e alla vita di tutti coloro che ad essa si dedicano con professionalità e passione. 

Buon ascolto! 

giovedì 6 dicembre 2012

Andantino grazioso


Mi hanno sempre colpito, in cima agli spartiti dei brani musicali, le diverse espressioni poste ad indicare l'andamento e la velocità di un pezzo: brevi didascalie all'inizio dei vari movimenti, quasi sempre in italiano -  lingua della musica per eccellenza - che suonano come Allegro, Andante, Adagio, Largo, Vivace, Grave...e via dicendo.

Ma ad attirare la mia attenzione non è stato solo l'uso di questi termini ricorrenti e - se vogliamo - un po' generici, bensì la varietà con cui tali termini vengono precisati e declinati di volta in volta con diminutivi, vezzeggiativi, superlativi, o con l'aggiunta di espressioni volte a illustrare il carattere e in definitiva lo stile del brano. 
Per fare qualche esempio, troviamo Prestissimo, Vivacissimo, Allegretto, Adagietto (e come non ricordare quello della Quinta Sinfonia di Mahler?!....),   Andantino, Andantino rubato, Andantino grazioso e così via.
Un Allegro può essere maestoso, ma anche agitato; giocoso, ma anche risoluto; con fuoco oppure con spirito. Così pure, esiste l'Andante spianato, cantabile, con moto, ma anche l' Andante scolpito (avete presente la Fuga n.20 dal II libro del "Clavicembalo ben temperato" di Bach?....quella!) e spesso si arriva a precisazioni espressive come Arioso, Scorrevole, Sognante, Appassionato e via dicendo
Per non parlare poi di certe notazioni più ampie come l' "Assez doux, mais d'une sonorité large" sullo spartito della famosissima "Pavane pour une Infante défunte" di Ravel.

Se prima rilevavo una certa genericità, qui al contrario devo riconoscere che la fantasia dei compositori si è sbrigliata in una miriade di sfumature una più sottile dell'altra, che vanno a cogliere e individuare colori e ritmi di un brano, prescrivendo sì il tempo e il modo di esecuzione, ma lasciando forse anche una certa libertà interpretativa a chi lo suona. Lo dico perchè certe bellissime espressioni che inducono talora a sognare, mi sembrano una sorta di "poetica del vago e dell'indefinito" di leopardiana memoria e in questo, a mio avviso, sta il loro fascino.

Non sono sempre così nette, infatti, le differenze tra un Andante, un Andante moderato e un Andantino; o un Adagio, un Largo e un Larghetto: dipende dall'epoca del brano, dall'autore e dal contesto musicale. Ma qui sta il bello. 
Cosi pure, suonare un pezzo con l'indicazione Carezzevole oppure Con sentimento lascia spazi aperti alla sensibilità di chi lo esegue perchè non si tratta solo di rispettare un tempo e una certa quantità di battiti del metronomo, ma di ricreare uno stile, un'atmosfera. 
E qui il discorso si fa certamente più complesso, perchè entra nel vivo del rapporto autore-esecutore che si gioca tra la necessità di essere fedeli al testo musicale, e l'inevitabile coinvolgimento personale di chi suona seguendo il tocco delle proprie mani, ma soprattutto la percezione del proprio cuore. Tant'è vero che, a volte, anche le esecuzioni del compositore stesso non sono identiche tra loro e ognuna di esse è vita che ricrea la vita. 

Ma - dicevo - il bello sta proprio in questo, perchè è dal cuore che tutte le notazioni citate partono e insieme ad esso pulsano: sono tempi, ritmi, stili che nascono dall'anima e ad essa ritornano dopo aver abbracciato anche quella dell'ascoltatore. 
Notazioni che creano un clima, che sono uno sguardo sul mondo, capriccioso o sereno, calmo o appassionato, tenero o impetuoso come il vento del mattino, come un passo di danza, come un'attitudine verso la vita. Semplicemente.

E allora, a commento di queste considerazioni, dal "Concerto per pianoforte e orchestra in la minore op.54" di Robert Schumann (1810 - 1856), propongo il secondo movimento indicato come "Intermezzo: andantino grazioso", con un diminutivo e un aggettivo che ne sottolineano tutta la delicatezza iniziale.
Il brano si apre infatti con accenti di straordinaria leggerezza, quasi le note accennassero un lievissimo passo di danza, mentre la melodia si fa poi più struggente e - sia nella parte orchestrale che nella voce dello strumento solista - va acquistando toni di più romantica intensità.

Buon ascolto!