mercoledì 25 luglio 2012

Luglio: fresca penombra di un interno.

Nè mare, nè montagne, nè immagini di paesaggi aperti e solari, stavolta, a rappresentare il mese di Luglio, ma la leggera penombra di un interno, in un dipinto che mi ha preso subito, a prima vista.
E' un'opera dell'olandese Emanuel de Witte (1617 - 1692), "Interno con donna alla spinetta", conservato al Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam.

Si tratta di una famosa composizione pittorica che - tra l'altro - ha dato ispirazione alla scrittrice francese Gaelle Josse per il suo primo libro, "Le ore del silenzio", uscito mesi fa per le edizioni Skira.
Il testo è un
delicatissimo scritto in forma di diario nel quale l'autrice entra per così dire nel quadro e si sofferma sulla figura della donna in primo piano raffigurata di spalle mentre suona la spinetta, immaginandone vicende, sentimenti e segreti.
Tuttavia non è del libro che intendo parlare qui - tanto intenso e profondo che meriterebbe un'attenzione tutta sua - ma del dipinto, opera a mio avviso straordinaria per l'atmosfera che crea e il fascino immediato che da essa affiora.


Non è raro che le immagini ci conducano verso il sogno o la fantasia, consentendoci di entrare in esse a intuire la vita che suggeriscono e a ricostruirla con la nostra sensibilità.
Qui, però, mi pare che ancor prima di liberare la fantasia sulla storia dei personaggi, sia il clima stesso della casa, insieme alla luce, agli arredi, alla tranquillità che vi si respira, a catturarci con una suggestione per certi versi severa e per altri pacificante.


Sono stanze ricche di particolari da scoprire quelle che vediamo - com'è tipico dei pittori del Seicento olandese - in una penombra dorata densa di fascino.
Fuori la giornata è piena di luce - nel libro si parla del mattino di una giornata autunnale - ma nulla ci vieta di immaginare che la luce sia quella di un primo pomeriggio estivo dove, dalle finestre parzialmente schermate dalle tende, essa giunge a illuminare solo alcuni angoli lasciando il resto nell'ombra.
Sono proprio questi contrasti a dare rilievo agli oggetti o a nasconderli e ad accompagnarci fino in fondo alla casa, nell'alternanza geometrica di rettangoli e quadrati che fonde il riflesso delle finestre coi riquadri del pavimento.
Bellissima la fuga di stanze che, interrotta dalle strisce di luce orizzontali, attraversa il dipinto creando quattro successivi piani prospettici!


Sembra davvero di tornare ad una calma d'altri tempi, in un ambiente nel quale - benchè si suoni uno strumento musicale - non è rotto l'incanto del silenzio che la composizione ci regala, insieme al senso di lontananza tra le due figure femminili rappresentate, distanti non solo materialmente, ma anche nei differenti ruoli di padrona e domestica.

E se dall'intera composizione può spirare forse un senso di freddezza o d'incomunicabilità - per l'immobilità della scena, la prevalenza di colori scuri e quel senso di chiusura che ci dà il vedere la donna alla spinetta di spalle e solo vagamente riflessa allo specchio - resta comunque il fascino segreto degli oggetti nei tocchi di natura morta che il pittore ha disseminato qua e là.

Può darsi che De Witte avesse in mente il quadro intitolato "Lezione di musica" detto anche "Signora alla spinetta" (riportato qui di seguito), che il contemporaneo e più celebrato Vermeer aveva realizzato solo tre anni prima e nel quale ritroviamo un po' gli stessi elementi: le finestre, i riquadri del pavimento, la donna di spalle riflessa nello specchio e la brocca.
Tuttavia, la luce è ben diversa e fa la differenza
.

Sicuramente splendido Vermeer nella sua capacità di ricostruire una scena e un ambiente mostrandoci con chiarezza - e oserei dire trasparenza - tutti gli elementi raffigurati; ma è nel quadro di De Witte che siamo invitati a entrare, e da spettatori diventiamo in qualche modo protagonisti.
Sì, siamo proprio noi che guardiamo ad addentrarci quasi in punta di piedi nella penombra della casa, a respirarne l'atmosfera, a cogliere i riflessi di luce nella brocca di vetro, il letto dietro le cortine, a scoprirne di stanza in stanza i segreti.

E mi tornano in mente alcune antiche case signorili visitate qualche volta da bambina che, nello stupore della fantasia infantile, diventavano un mondo ricco di suggestioni.
Ma il dipinto mi restituisce anche la quiete di certi pomeriggi estivi ritmati dal silenzio, dove la luce piena veniva schermata dai tendoni e la casa riposava in un'ombrosa frescura.

Era bello, allora, far riposare anche i pensieri in un'affascinante solitudine, nella calma circostante dove gli oggetti, al di là della loro funzione pratica, svelavano una bellezza inusitata.
Era un clima che favoriva quell'attitudine meditativa che si può ritrovare nella lettura o - proprio come nel dipinto - nel far musica.


E che cosa avrà suonato la donna alla spinetta?
Forse qualche aria o l'accompagnamento a una cantata da camera di uno dei numerosissimi compositori del Seicento. Certamente non Bach che sarebbe nato vent'anni dopo la realizzazione del dipinto.

Eppure...
Eppure, mentre contemplavo il quadro, mi sono sentita risuonare dentro proprio Bach, il "Preludio in mi bemolle minore e fuga in re diesis minore n.8, BWV 853" dal I libro del "Clavicembalo ben temperato".
Nonostante l'anacronismo e l'esecuzione al pianoforte certo meno realistica ma più morbida del clavicembalo, mi pare che il brano, nella sua intensità, si fonda bene con l'atmosfera del dipinto.
Soprattutto il preludio, lento e scandito, alterna malinconica levità ad accenti di più forte lirismo che ricordano, per certi aspetti, il clima iniziale della
Sinfonia dalla famosissima "Partita n.2 in do minore BWV 826".
Un Bach senza tempo, che ci accompagna attraverso luce piena e penombre, passato e presente, scavando come sempre vertiginosi abissi dell'anima.

Buon ascolto!

giovedì 19 luglio 2012

Luoghi del cuore

Non mi è possibile.
Quando ogni mattina, qui in vacanza, verso le otto e mezza esco di casa e, già scendendo le scale, lo sguardo mi si apre verso prati, abetaie, cielo limpido e fiori, è tale lo splendore circostante che - dicevo - non mi è possibile non desiderare di condividerlo con tutte le persone che mi sono care.
Non con una, ma proprio con tutte.


E soffro di non poterlo fare materialmente perchè, senza una simile condivisione, mi sembra di non assaporare in pienezza la gioia e il godimento che offrono i panorami in cui sono immersa. La gioia infatti è di per sè comunicativa e se condivisa con altri, a dispetto della parola, non si divide affatto, anzi si moltiplica.

Sono ormai anni che passo le vacanze nel Parco del Gran Paradiso - praticamente una vita - ma non mi stanco mai.

Per quanto ami molto anche altri tipi di paesaggio, ritornare qui ogni volta è stupore che si rinnova infinito
davanti alla magnificenza della natura nei suoi colori e nel suo splendore ancora incontaminato.Così, nel tempo, questo è diventato per me una sorta di luogo del cuore: non solo un rifugio vacanziero per fuggire il caldo estivo, ma un angolo in cui ritrovare, nella bellezza e nel silenzio, quella parte incontaminata che abita anche dentro di noi, e farla rifiorire.

Allora non mi resta che postare qui qualche piccola foto per dare un'idea, sia pure lontana e scarsamente efficace, del paesaggio circostante.
So bene che c'è grande distanza tra l'essere spettatori esterni e trovarsi immersi nella natura.
Una cosa è osservare un'immagine e un'altra camminare su di un prato occhieggiando i crochi viola che, dalla sera alla mattina, sbocciano dopo lo sfalcio, o scoprendo una radura verde che si apre tra versanti scuri di abeti, o contemplando le nuvole che si alzano liberando alla vista rocce e ghiacciai.Ma una foto, anche nei suoi limiti, può suggerire un sogno, e non si sa mai dove i sogni possono portare....magari dentro di noi, proprio in quel nucleo segreto di purezza che ci abita, risvegliando l'infinito che portiamo dentro.

Così, a commento di queste immagini, mi sembra particolarmente adatto il primo movimento - Allegro ma non troppo - dalla Sinfonia n.6 in Fa maggiore op.68 "Pastorale" di Ludwig van Beethoven, pezzo in assoluto tra i più famosi del compositore tedesco.

Il brano, grandioso e insieme delicato, nel suo sottotitolo "Risveglio di sentimenti all'arrivo in campagna", sembra proprio accompagnarci attraverso questi paesaggi ora di ampie aperture e forte luminosità, ora di ombre variegate e leggere, liberando in noi la gioia, prima con levità e dolcezza, poi con sonorità gradatamente più intense.
E la ripetizione di alcuni passaggi ci permette di addentrarci in modo sempre più coinvolgente nel vivo della musica così come nel cuore della bellezza della natura.

Buon ascolto!

venerdì 13 luglio 2012

L'orto di Elena

Sono salita nel mio angolo di montagna per sfuggire al caldo afoso della pianura e, come ogni anno, ho ritrovato paesaggi che, nel tempo, mi sono divenuti familiari quasi fossi davvero una del posto e non una turista, sia pure affezionata da sempre a questi luoghi.

E' il silenzio, di solito, il primo ad accogliermi quando - affacciandomi al balcone che guarda verso il Gran Paradiso - non sento altro che la fontanella sotto casa e, giù in mezzo ai prati, il suono del torrente che arriva come una colonna sonora sommessa e discreta.
Un suono lieve vicino e un fragore lontano che però mi giunge attutito dalla distanza: uno sfondo musicale leggero che non turba la pace circostante, ma se mai la sottolinea e - pur nella sua leggerezza - richiama la grandiosità del panorama ricordandomi che quell'acqua scende dall'alto, dall'anfiteatro dei ghiacciai sopra di me.


Ma ci sono anche particolari più quotidiani a prendermi, aspetti della vita ordinaria del paese dove laboriosità e bellezza s'intrecciano indissolubili.
Gli orti, per esempio: piccoli, ma rigogliosi, folti, fitti di verdure e - ai margini - di fiori, come usa qui.

Aggirarsi per vicoli e stradette è immergersi in un itinerario di pace, ma è anche compiere un percorso costellato di orticelli, ogni baita il suo, uno più bello dell'altro dove - se la stagione è buona - le file di coste, patate, pomodori ed erbette aromatiche, sono una vera gioia per gli occhi.

Ho proprio sotto casa l'orto di Elena, un rettangolo di terreno coltivato a fiori, carote, aglio e insalatine varie, oggetto delle sue assidue cure. Col caldo di questo periodo, anche se siamo a più di 1700 metri, le piantine verdeggiano già alte; ma lo scorso anno, dopo una stagione particolarmente fredda, ai primi di luglio l'orto contava ancora pochi germogli.
Ricordo la costernazione di Elena dipinta nel suo sguardo azzurro sul reticolo di rughe scurite dal sole, mentre mi raccontava come tutto fosse indietro di una luna
.
E consideravo quanto in montagna, forse più che altrove, la vita sia scandita dai ritmi della natura e, di conseguenza, qui più che mai tutto si debba adattare alla pazienza dell'attesa. Attesa della neve in
autunno, del disgelo in primavera, delle prime faticose fioriture e dei pochi mesi di caldo.
Niente serre termoregolate, niente irrigazione a goccia, solo fatica, tenacia e lo sguardo azzurro di Elena che, osservando il cielo, sa dire che tempo farà domani.


Ma quale immensa gioia quando finalmente le piantine crescono fitte e ordinate nelle loro parcelle o quando i fiori a margine dell'orto s'illuminano di colore!
E' la pazienza che dà luogo alla festa!

Allora - omaggio alla forza e alla perseveranza di questa gente semplice e tenace - a Elena e a tutti coloro che, come lei, rendono più bello questo angoletto di mondo, dedico un brano di Mozart pieno di sorriso e luminosità.
Dal "Concerto in Do maggiore K.299 per flauto, arpa e orchestra" del quale tempo fa ho postato l'Andantino, oggi sia l'Allegro iniziale a regalare gioia e leggerezza attraverso la vivacità del flauto e la dolcezza dell'arpa.
Un Mozart sempre splendido e capace di celebrare quella Bellezza che ritroviamo ovunque, nel grande e nel piccolo, dallo splendore dei ghiacciai alle piantine dell'orto di Elena.


Buon ascolto!

venerdì 6 luglio 2012

Ritmi

Anche se siamo alle soglie delle vacanze, viviamo più o meno tutti giornate ancora piene di impegni e talora arriviamo a sera saturi di ciò che abbiamo assorbito o di quanto ci è caduto addosso e magari - a distanza di ore - è ancora lì col suo peso a interrogarci.

Capita a volte di arrivare alla fine di una giornata con il cuore un po' frastornato.
Ma non è stanchezza fisica, perlomeno non solo quella. Il fatto è che tante cose si sono susseguite: impegni, incontri, contrattempi, discorsi fatti, ascoltati e via dicendo.
E tutte, puntualmente, hanno lasciato un segno che in qualche modo chiede di essere ascoltato o rielaborato.

Invece, succede sempre più spesso che la velocità con cui ogni esperienza si somma alle altre non corrisponda più ai nostri tempi psicologici di reazione: sfasature di ritmo tra ciò che accade all'esterno e la nostra capacità di assorbimento e assimilazione, la mia almeno.
Sono risonanze - positive o negative - che esigono a volte uno spazio più ampio per riecheggiare, essere comprese e non accantonate via perchè altro urge, simili a un cumulo di biancheria che si ammonticchia nel guardaroba in attesa di essere stirata.
Il rischio è che restino lì come occasioni inascoltate, sprazzi di luce da cui non riusciamo a lasciarci illuminare; o al contrario, inquietudini alle quali non sappiamo immediatamente dare un nome e rodono dentro sorde con la loro lima sottile.

Per questo, oggi prendo a prestito un'immagine scattata giorni fa da alcuni cari amici, in Umbria: una meridiana che mi cattura soprattutto per le bellissime parole che vi sono riportate:

"Io ti segno le ore, tu riempile d'amore".


Quasi un progetto di vita, un criterio per dare un senso al tempo, un'intenzione che va al di là dei suoi ritmi - lenti o convulsi che siano - per riempirli, comunque, di significato.

Se il nostro ritmo interiore è in sintonia con ciò che le parole della meridiana suggeriscono, la giornata potrà essere anche una corsa a ostacoli piena di sollecitazioni diverse e magari spiazzanti, ma verranno ricomposte con serenità. Non più tessere di un mosaico fuori posto, ma sorprendente ricchezza quotidiana, come un'onda che scorre sotterranea e tranquilla al di sotto delle onde superficiali, più agitate e forse tempestose.
Come una musica che ricompone l'armonia e riporta la serenità dove prima regnava la confusione.


E a commento di queste brevi notazioni, mi piace postare un brano di Franz Joseph Haydn: il famoso Andante dalla Sinfonia n.101 in Re maggiore "La pendola" nel quale il ritmo che fa da sfondo alla melodia - ora piana e lieve come una danza, ora più accesa e cadenzata - resta sempre uguale, simile a uno sguardo dall'alto o dal profondo dell'anima, che va a posarsi sulle cose con calma, con pace, con misura e regolarità.

Bello anche il video, di cui ringrazio l'autore, con tutta quella sequenza di campanili, meridiane ed orologi che si adatta perfettamente al brano musicale!

Buona visione e buon ascolto!