sabato 26 maggio 2012

Nell'infinito dei giorni

Oggi, a chi passa di qui, desidero augurare buon weekend con una musica che unisce dolcezza a malinconia e ci conduce gradualmente in un clima pacato e meditativo.

Si tratta del famosissimo brano di Ludovico Einaudi intitolato "I giorni", dall'omonimo cd: pezzo non recentissimo, nato dalla suggestione di un viaggio in Africa, ma sempre affascinante per la capacità del compositore di creare atmosfere che vanno al di là della pura e semplice fonte d'ispirazione.
La sua musica infatti ci dà subito la misura di uno stato d'animo, di un clima d'intimità, di un ricordo o un sospiro magari mentre si guarda il cielo dietro le finestre di casa.

E' lo scorrere del tempo con il divenire che la natura ci offre ad essere tema di tanta parte della sua produzione, ma la realtà esterna è spesso solo occasione per rientrare in se stessi.


Confesso che nelle composizioni di Einaudi ho sentito spesso una vena di tristezza un po' eccessiva per il mio carattere e qua e là qualche spunto talora troppo ripetitivo; tuttavia trovo splendido questo brano per la semplicità e il rigore che lo contraddistinguono.
E' una melodia che prende subito, fin dalle prime lievissime note scandite da silenzi ricchi di intensità, e si afferma poi in un crescendo sempre più marcato.
Allo stesso modo, nelle successive riprese, pacate variazioni si dipanano come pensieri che vagano nello spazio indefinito del tempo.

Ascoltando "I giorni", si comprende facilmente che tante composizioni di Einaudi siano nate anche come colonne sonore di film proprio per la loro delicatezza quasi minimalista che le rende capaci di creare un clima che - con poche semplici note - narra, commenta e induce a pensare. Quello di Einaudi infatti è lo sguardo di chi legge la realtà cercando di penetrarne il senso o il segreto, e di coglierne le risonanze interiori sul filo di una sottile introspezione.
Propongo qui il brano nella versione orchestrale che - come sempre accade quando al pianoforte solo si aggiunge l'orchestra - amplia e valorizza la bellezza della melodia attraverso la suggestione degli archi che, in questo caso, le conferiscono delicatezza e insieme solennità.
E come sempre, il live del concerto ci consente di cogliere più da vicino il rapporto tra il compositore e il proprio strumento. Entriamo così nel vivo del pezzo: una melodia inizialmente lenta ed essenziale che, attraverso le pause, la morbidezza, la continua riproposizione del tema - sempre uguale e pur sempre diverso - ci racconta mille storie di malinconia e di dolcezza, di sgomento e di forza,
di solitudine e attesa.
Un po' come i giorni che scorrono nella nostra vita, sempre uguali e pur sempre diversi, come le tante vicende che l'attraversano e ci attraversano.

Buon ascolto!

(Nel riquadro in alto "Stanza a Brooklyn" di E.Hopper)

lunedì 21 maggio 2012

Silenzio

Piove, stasera.
Piove a dirotto sui vetri della mansarda, mentre intorno c'è silenzio e fuori il verde della campagna affonda lentamente nel buio.

Piove alla fine di tre giornate difficili: l'orrore della strage a Brindisi, il terremoto dell'altra notte in Emilia e le scosse che ancora si susseguono.
Eventi imprevisti e imprevedibili che riempiono di sgomento come sempre quando è la morte a sconvolgere previsioni, progetti, vite, ma anche una compagine esistenziale che si credeva serena e sicura.

Da qualunque parte arrivi - da mano d'uomo o dal cuore della terra - la morte lascia sempre disorientati e travolti da dubbi, rabbia, orrore, paura, ma anche dalla percezione del mistero intorno a noi.
"Uno sarà preso e l'altro lasciato..."
: come non pensare a queste parole evangeliche?
Ma viene in mente anche Montale : "Ah, l'uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico, / e l'ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!".

Domani, giustamente, sarà la capacità di reagire a far sentire la propria voce, da un lato nella solidarietà e nella ricostruzione, dall'altro nel grido contro ogni forma violenza, in particolare quella che colpisce chi è impegnato a progettare il proprio futuro, come i giovani.
Oggi, però, mi pare il giorno della preghiera, dell'intimità : tante parole non servono davanti al dolore, serve forse un silenzio come quello del Sabato Santo che precede, spera e attende la Resurrezione.

E non sembri una contraddizione che questo silenzio sia scandito dalla musica! Anch'essa è silenzio, se ha la forza di aprirci al nostro universo interiore consentendoci di entrare nelle profondità di noi stessi, come un palombaro s'immerge nei fondali marini alla ricerca di segreta bellezza.

In quell'abisso dell'anima scendiamo stasera con un brano di Piotr Ilic Tchaikovsky (1840 - 1893), che desidero dedicare a tutte le vittime di questi giorni, ma anche ai sopravvissuti.
Si tratta dell' "Andante cantabile" dal "Quartetto per archi in Re maggiore N.1 op.11", un pezzo di profonda suggestione e grande intimità.
Nonostante la storia della musica conti numerosi e splendidi brani di tono meditativo indicati di solito con
Largo o Adagio o appunto Andante - brani che ritroviamo, ad esempio, nel secondo tempo di concerti o quartetti - mi pare tuttavia che questo sia un pezzo di rara intensità tanto sa addentrarsi nell'anima con toni intimi e struggenti.
Ho trovato qualcosa di simile forse solo nel secondo tempo del famosissimo Quartetto op.76 N.3 di Haydn (vedi post del novembre 2010 intitolato "Gran premio"), soprattutto nella sua parte finale dove le ultime variazioni sul tema spalancano abissi d'ineffabile bellezza.

Certo, Bach, Mozart, Beethoven, Chopin - per fare solo alcuni nomi - sanno condurci in atmosfere di altrettanta profondità, ma qui mi pare che Tchaikovsky, soprattutto nella parte iniziale del brano, abbia saputo raggiungere in modo straordinario e mirabile quell'abisso variegato di luci e di ombre che tutti portiamo dentro.

Buon ascolto!

giovedì 17 maggio 2012

Splendore di un "Padre nostro"

La musica, nel tempo, è sempre stata espressione delle passioni e dei sentimenti di singoli individui, ma anche della vita di un popolo, di una società, di un gruppo, di gente insomma che in certe note o nelle parole che le accompagnano si è riconosciuta e identificata.

Così è stato per gli inni nazionali e i canti patriottici, ma anche per quelli popolari, tradizionali e religiosi che hanno animato intere comunità.
Comunque siano nate e dovunque abbiano tratto origine, tante composizioni hanno manifestato il carattere di un popolo ricordando la sua storia, celebrando la sua epopea, esprimendone la sofferenza o innalzandone la preghiera.

In quest'ultimo campo in particolare, la musica sacra ha sempre rappresentato un preziosissimo patrimonio non solo religioso, ma anche culturale, ricco di molteplici sviluppi e differenti caratteri legati alle peculiarità del culti locali.
Interessante, a questo riguardo, è la tradizione religiosa ortodossa che si distingue per un repertorio musicale di grande ricchezza e spessore.

Si tratta di canti liturgici densi di profonda carica emozionale e immediatamente riconoscibili
per il ritmo lento e solenne, che ci fa intuire il sapore di una storia e ci comunica i tratti della profondissima spiritualità che sta loro alle spalle.

Quello che oggi propongo all'ascolto è un pezzo molto famoso, forse uno dei più conosciuti in questo ambito.
Si tratta di
"Otche Nash", versione in antico slavo ecclesiastico del "Padre nostro", musicata dal compositore russo Nikolaj Kedrov Sr. (1871-1940), raffinato conoscitore della tradizione del canto liturgico ortodosso.

E' una melodia che - pur nella semplicissima scrittura musicale - sale progressivamente nell'armonica fusione delle quattro voci e va facendosi sempre più intensa in uno splendore polifonico che raggiunge vette altissime.
Il brano, infatti, è di una suggestione che mette i brividi e prende subito, a cominciare dal grandioso accordo che - nel finale della seconda battuta - si allarga proprio sull'ultima sillaba della parola "nebeseh" (cieli) a significarne l'ampiezza. Si tratta di un accordo aperto - come pure i successivi - quasi al limite della dissonanza, e proprio questa sua apertura ci aiuta a cogliere il senso d'infinito che la parola nebeseh rivela.

Al di là della potenza dei bassi, colpisce anche la grande coesione del coro in cui ogni singola voce è inserita in un'armonia più vasta, in una dimensione di sintonia con gli altri e più ampiamente con tutta la creazione: una forma che non ha valore puramente estetico, ma assume il ruolo di vera e propria scuola spirituale. E in quest'ottica, quale preghiera migliore del Padre nostro può essere affidata all'espressione di un coro unanime, invece che ad una voce solista?

Un canto, dunque, che coinvolge in modo viscerale,
com'è tipico di tanti inni della tradizione ortodossa in cui il popolo effonde il proprio cuore, melodie soffuse di malinconia e tuttavia aperte a vigorosi toni di fede e di speranza.

E scrivendo - forse più ancora che per ogni altra musica - mi rendo conto che non bastano le parole, ma occorre lasciarsi attraversare da queste note fino a vibrare in sintonia con esse verso quell'attitudine contemplativa e quel silenzio interiore a cui ci aprono.

Buon ascolto!
(Nel riquadro in alto, icona con San Romano il Melode)

venerdì 11 maggio 2012

Maggio : colazione in giardino.

Un'atmosfera di pacata serenità e di pensosa attesa, nell'ordinata simmetria di colori e di luce che inquadra le figure nell'ambiente circostante: questa è la prima impressione che mi trasmette il dipinto di Amedeo Bocchi (1883 - 1976) "La colazione del mattino", conservato a Piacenza alla Galleria Ricci Oddi.

Tre figure femminili sono sedute intorno a una tavola a regalarci un quadretto familiare ritmato dalla profonda calma dei gesti, dal silenzio intorno e dalla vivida luminosità dei colori: in particolare il bianco della tovaglia, degli abiti, e il verde del giardino retrostante sul quale la luce del sole crea effetti quasi fosforescenti.
E' una luce che illumina la scena di spalle, carezzando i capelli della donna anziana al centro, regalando un tocco di fascino allo chignon e al vestito della giovane a sinistra, e posandosi a sprazzi anche sul tavolo dal quale si riflette poi lievemente sui volti.

Ma, a dare risalto alla freschezza del bianco e alle tonalità di verde, è anche il vasetto di fiori colorati che crea ombre e prospettiva nello spazio attorno al quale le tre donne fanno colazione chiuse in un silenzio assorto. Solo la ragazzina a destra è colta in movimento; le altre due figure, nel loro tacito indugiare sembrano mettere tra sè e gli oggetti la distanza di chi attende o di chi, ad occhi bassi, è portato via da un pensiero lontano.


E c'è silenzio nel dipinto, un silenzio che si fonde pienamente con la luminosità dei colori, come fossero questi a parlare narrandoci vicende di malinconia o di speranza, di quotidianità o di attesa.
Dal candore degli abiti e della tovaglia - quasi il bianco fosse simbolo di un tempo intatto ancora da scrivere com'è in fondo quello del mattino - al grigio dell'anziana al centro
che in qualche modo ha già vissuto la sua stagione, tutto ci conduce nella particolare atmosfera creata dal pittore. La respiriamo, seduti anche noi a quella tavola, attraverso le ampie e distese campiture di colore e la luminosa quiete del parco che intuiamo là dietro, a incorniciare scena.

Tre donne che fanno colazione in giardino, ma anche tre età della vita colte nel loro differente approccio all'esistenza.La più giovane che beve dalla tazza quasi senza pensare sembra infatti esaurire la propria personalità in quel gesto, mentre delle altre due Bocchi ci rivela un più vivo spessore nel loro assorto indugiare: la giovane con la tazza in mano quasi a soppesare dentro di sè ciò che l'attende e l'anziana ferma in atteggiamento di pacato distacco.

Trovo questo dipinto affascinante e soffuso di grazia, così come altre opere dello stesso autore, pregevole anche per la sua originalità. Nel variegato panorama delle avanguardie del Novecento, infatti, in un contesto in cui si afferma già l'astrattismo, Bocchi non si allontana dalla pittura figurativa, ma elabora un suo percorso particolare incentrato soprattutto intorno alla rappresentazione dell'universo femminile, studiato anche nei suoi risvolti psicologici.

Ne è un chiaro esempio il dipinto riportato qui a fianco e intitolato "Nel parco", dove ancora una volta protagonista è una donna, colta nella sua eleganza e incorniciata nel verde di uno splendido giardino.
Un quadro che fonde semplicità e raffinatezza, arricchito dal consueto luminoso cromatismo che a taluni critici ha fatto accostare il nome di Bocchi a quelli di Klimt e di Matisse.


A commento di queste composizioni pittoriche, la suggestione di un brano di Bach: il "Largo ma non tanto" dal "Concerto in re minore per due violini, archi e basso continuo BWV 1043" che ci conduce in un'atmosfera sospesa tra luminosità e malinconia.
Il pezzo - incantevole e famosissimo - ci accompagna pacato nel dialogo tra i due strumenti solisti che alternano la melodia e la fioritura di note che le dà spessore, così come luci ed ombre dei due dipinti creano sfumature e riflessi che danno loro vita.
E Bach sembra regalarci una pensosa dolcezza simile a quella che respiriamo nelle immagini.


Buon ascolto!

sabato 5 maggio 2012

Ipoteche di speranza

Mi capita spesso di ripercorrere con la mente i brani postati da poco tempo non solo perchè - come scrivevo già in passato - mi restano dentro simili a una sorta di colonna sonora, ma perchè lasciano affiorare sempre altri aspetti della loro bellezza che in precedenza non avevo notato.
Come quando si rilegge un libro o si osserva ripetutamente un dipinto, anche i successivi ascolti di un brano musicale ci regalano sempre particolari nuovi, nuove suggestioni consentendoci di apprezzare melodie o passaggi che magari non erano stati ancora oggetto della nostra attenzione.

Mi è accaduto, in questi ultimi giorni, soprattutto con il pezzo di Rossini postato lo scorso Venerdì Santo e che - come sempre in certe festività - avevo lasciato senza alcun commento perchè fossero solo le note a parlare.
Si tratta della parte introduttiva dello
"Stabat Mater", una composizione che, per certi aspetti, ci svela un Rossini differente da quello più noto per le sue arie di tono vivace e brioso.
La contemplazione di Maria sotto la croce è segnata infatti da accenti tragici di rara bellezza, sia nel tema iniziale che si snoda lento quasi accompagnando il pianto della madre, sia in certe aperture affidate alla voce solista.
Si alternano infatti tonalità minori e maggiori a sottolineare ora i singhiozzi, ora la condivisione della sofferenza col Crocifisso, fino a culminare nel grandioso "dum pendebat Filius" che il coro canta con un'intensità che mette veramente i brividi.

Mi colpisce sempre la versatilità del musicista pesarese, capace di rallegrarci con i ritmi delle sue arie e delle sue ouvertures solari e scintillanti, ma anche così fortemente drammatico.
Certo non è il solo tra i compositori a presentare una duplicità di aspetti. Basti pensare a Mozart: c'è quello salottiero e galante di certe serenate e quello più intimo dell' Ave verum; c'è il Mozart cristallino di alcuni concerti e quello intensamente cupo del Requiem. E il discorso può valere anche per altri musicisti.
C'è comunque in Rossini una vivacità straordinaria che si esprime anche attraverso le scelte dell'organico orchestrale e insieme a questo una vena di teatralità irrefrenabile che talvolta affiora persino in opere di argomento più serio, basti pensare al "Cuius animam" sempre nello "Stabat Mater".

Oggi è proprio il Rossini più sereno quello con cui vorrei augurare buon weekend a chi passa di qui.
La "Sonata a quattro N.1 in Sol maggiore" nel suo primo movimento è infatti un brano scorrevole e sognante, un'apertura alla speranza
di cui tutti in qualche modo abbiamo bisogno. Il compositore infatti, attraverso la leggerezza del tema e il ritmo dei pizzicati, ci porta via sull'onda di una melodia sinuosa e lieve come un volo di farfalle che sembra quasi scritta per la danza.
Una sonata che risolleva il cuore e riempie di gioia come quando - per usare un paragone preso giusto dal mondo delle note - riusciamo a comprare il biglietto per il concerto del nostro musicista o cantante preferito. Magari la data del concerto è ancora lontana, magari non è neppure vicino a casa e non sappiamo nemmeno se riusciremo ad andarci, ma quel biglietto in tasca ci riconforta e ci fa sognare, diventa una proprietà tutta nostra come avessimo messo un'ipoteca di speranza sul nostro futuro.
E nell'attesa, siamo davvero più ricchi!


Buon ascolto!