sabato 25 febbraio 2012

La musica al centro

Mi è già capitato più volte di parlare del potere terapeutico della musica, del suo essere balsamo sulle ferite suscitando emozioni positive e aiutandoci a riattingere dal profondo quell'acqua che dà vita al nostro spirito.

Essa ha infatti la capacità di restituire noi a noi stessi, ripristinando quasi intatto il tessuto del cuore e agendo da benefico catalizzatore sulla nostra interiorità.

Oggi ritorno sull'argomento grazie alla suggestione di un famosissimo dipinto del Caravaggio: il "Riposo durante la fuga in Egitto" conservato a Roma, alla Galleria Doria-Pamphili.
Si tratta di un capolavoro ampiamente descritto e commentato dagli storici dell'arte, ma è il suo particolare legame con la musica che qui m'interessa
sottolineare.

Inquadrata da tocchi di natura morta da un lato, e squarci di paesaggio che possono ricordare la pittura tonale veneta dall'altro, contempliamo una scena soffusa di dolcezza: una pausa di riposo della Sacra Famiglia, accompagnata da un'elegantissima figura di angelo che suona il violino in una calda luce forse di tramonto.
A destra, l'immagine soave della Madonna e del Bambino addormentati in un sonno di pace assoluta per il bimbo e certo di stanchezza per Maria, come ci dimostrano la testa e il braccio destro totalmente abbandonati.
A sinistra, un San Giuseppe come di consueto anziano che regge uno spartito musicale davanti all'angelo.
Splendido, quest'ultimo: luminoso e lieve nella linea perfetta e dolcemente sensuale delle gambe come nel panneggio che s'inanella sinuoso intorno al suo corpo. Ma, se si eccettua un piccolo scorcio del viso, volta le spalle allo spettatore!


Sta qui, a mio avviso, l'originalità di questa figura.
Nella tradizione pittorica da Giotto in poi, gli angeli erano solitamente ripresi di profilo - soprattutto nelle Annunciazioni - o di prospetto e di scorcio se erano in gruppi di musicanti oppure in volo.
Ma un primo piano di spalle proprio al centro del quadro è un'iconografia decisamente rara
che tuttavia riempie di fascino la composizione.
Infatti, se da un lato ne accresce per certi aspetti l'attrattiva, dall'altro è proprio questa posizione che ci permette di vedere lo spartito che l'angelo sta suonando.
E non si può forse leggere qui la volontà di sottolineare che sì, certo, quella figura con le ali è un angelo, ma prima di tutto un musico?


Allora si comprende che, se pure il titolo del dipinto è "Riposo durante la fuga in Egitto" - e ciò sottintende ansia, paura, stanchezza e precarietà - il vero cuore della composizione pittorica è la musica!
E' la musica al centro, come se Caravaggio volesse dirci che - più che la quiete della natura circostante - è la soavità delle note che scendono dall'Alto a dare vero riposo
alla Sacra Famiglia, placando l'angoscia e l'affanno della fuga.

Vista sotto questa angolatura, la scena può apparire allora come un concerto campestre per strumento solista, dove un giovinetto di natura celestiale rasserena una famiglia di gente semplice e le note del violino - come una ninnananna - cullano Maria e il Bambino nel loro riposo.
Non sentiamo la musica, certo, ma è come se fosse espressa dalla luce: non a caso, la luminosità si concentra proprio sul corpo dell'angelo e nel bianco del panneggio che gli si avvolge intorno dal quale si irradia poi verso Maria e il bimbo, mentre Giuseppe è lasciato un po' in ombra.

Ma che sta suonando l'angelo?
I musicologi si sono ingegnati a decifrare lo spartito scoprendo che non si tratta di note poste a caso, ma di un mottetto del fiammingo Noel Bauldewijn dedicato proprio a Maria.
Non ho la possibilità di riproporlo qui, ma contemplando il dipinto ho provato a immaginare quale altra colonna sonora si potrebbe associare alla scena.
Ed è stato subito un Adagio di Mozart a rifiorirmi nel cuore, in particolare quello del
"Concerto per violino e orchestra n.5 in La maggiore K.219".
Certo, l'operazione è anacronistica, ma mi è sorto spontaneo il pensiero di quel brano perchè, con i suoi tratti di dolcezza e talora di malinconia, mi pare possa scendere davvero come balsamo a placare un'ansia angosciosa e fondersi bene col clima di sospensione del dipinto.

Lasciamoci portare allora da queste note intense e sublimi attraverso l'interpretazione di Anne-Sophie Mutter veramente degna di un angelo!

Buon ascolto!

lunedì 20 febbraio 2012

Quando si dice ritmo...

Quanto i ritmi di oggi, coniugati con le forme classiche, diano luogo a composizioni musicali ricche di originalità e fascino lo dimostrano parecchi artisti contemporanei.
I veri innovatori, infatti, in molti casi hanno preso le mosse dai grandi del passato, anche se poi - con un'evoluzione quasi fisiologica - da questa impegnativa eredità si sono allontanati per conquistare una propria autonomia.
E' un po' il processo che avviene tra padri e figli: una sorta di innegabile dna musicale si trasmette di padre in figlio, ma si esprimerà poi con ramificazioni differenti che daranno frutti nuovi pur se nati dalla stessa radice.

E amare davvero la classicità non significa considerarla un patrimonio statico, ma farla vivere ancora oggi nelle sue forme, fusa a tutte le sollecitazioni che la compagine del presente può suggerire.


Mi pare questo - tra gli altri - il caso di Astor Piazzolla (1921 - 1992), straordinario compositore, famoso per aver rinnovato la vecchia tradizione del tango rielaborandone ritmi e sonorità. Con versatilità d'ispirazione, ha infatti creato un linguaggio originalissimo e inconfondibile, modificando anche i consueti organici orchestrali con l'introduzione di nuovi strumenti.
Ma non si può pensare che all'origine di tale processo, insieme all'amore per l'eredità musicale argentina, non stia anche una matrice classica e - parlando di ritmo - Bach prima di ogni altro.

Il brano che ho scelto dalla vastissima produzione del musicista, riprende infatti proprio una delle forme musicali più care a Bach - la fuga - unendola ai ritmi e alle cadenze del tango insieme a variazioni di grande fascino.
Si tratta di "Fuga y Misterio" tratto dall'opera "Maria de Buenos Aires", pezzo che - talora in versione classica, talaltra jazz - è stato oggetto di numerosi arrangiamenti per orchestra, quartetto d'archi o altri gruppi strumentali dove, come solisti, oltre al bandoneon troviamo chitarra, flauto, oboe, pianoforte o marimba.

Tra le varie interpretazioni tutte ricche di fascino, quella che propongo oggi del prestigioso insieme "Classical Jam", ci presenta una performance a mio avviso entusiasmante con le quattro voci della fuga affidate nell'ordine al flauto, alla viola, al violino e al violoncello accompagnati dalle percussioni.
La prima parte del brano - che oltre a Bach ci restituisce anche l'eco dei Capricci di Paganini, il n.17 in particolare - si snoda in un crescendo sempre più acceso. Dal flauto solo, al suo incalzante duettare con la viola fino al sovrapporsi di tutte le voci, si costruisce un'architettura sonora sempre più ricca di spessore, mentre gli accenti marcati delle percussioni sviscerano ogni potenzialità ritmica del tema fugato.
Segue poi una sezione melodica
molto intensa che vede protagonista il canto del flauto con le sue variazioni insieme al violino. Mentre il finale torna a farsi spiccatamente ritmato fino alla vivacissima conclusione.

Un brano costruito in modo rigoroso e trascinante ad un tempo, dove si fondono mirabilmente novità e tradizione, passionalità e precisione formale.
(Nel riquadro in alto "Fuga in rosso" di Paul Klee)

Buon ascolto!

mercoledì 15 febbraio 2012

Febbraio: sprazzi di carnevalesca follìa


Caotico, rutilante, colorato, privo in apparenza di un senso preciso e logico nelle sue parti, così ci appare
"Il carnevale di Arlecchino" di Joan Mirò (1893 - 1983), conservato a Buffalo all'Albright-Knox Art Gallery.

Ma il disordine che balza all'occhio nel quadro non è poi così reale come sembra.
Gli oggetti raffigurati, infatti, per quanto con la loro confusione annullino in parte la profondità, non sono ammonticchiati alla rinfusa, bensì distanziati l'uno dall'altro quasi a coprire con una sorta di regolarità lo spazio di fondo.

C'è respiro tra un oggetto e l'altro, il respiro della fantasia, dai pinnacoli che occhieggiano dalla finestra agli infiniti oggetti che animano la rappresentazione: palloncini, una chitarra, tavolozze, note musicali, un cubo, una scala, strani giochi volanti a forma di misteriosi alambicchi.
Forse Astolfo sulla luna, alla ricerca del senno di Orlando, avrebbe potuto vedere oggetti simili e chissà quale immaginazione avrebbe sbrigliato Mirò, se gli fosse toccato di illustrare l'Orlando Furioso!

Ma non è nuovo nella storia della pittura questo disordine artistico, quest'ordine nel caos, quasi un ossimoro della rappresentazione.
Se torniamo indietro nel tempo, troviamo lo stesso effetto di confusione ordinata nel famosissimo "Giochi di bambini" di Pieter Bruegel il Vecchio (non a caso imitato anni fa sui rotocalchi da una pubblicità di abiti per i più piccoli) e in alcuni quadri di Hieronymus Bosch, peraltro associabile a Mirò anche per una sorta di surrealismo ante litteram.

E' il surrealismo infatti la caratteristica più evidente del pittore spagnolo: in lui è la nota dell'inconscio a dominare guidando la fantasia attraverso deformazioni della realtà, evocazioni quasi oniriche talora misteriose, talaltra simboliche come la scala che suggerisce un andare oltre il contesto del dipinto.
Tuttavia sono immagini sempre ricche di leggerezza e
proprio la leggerezza ci riporta al tema del quadro, "Il carnevale di Arlecchino": un gioco, uno scherzo e tanti colori - peraltro ben distribuiti nello spazio di fondo - tra i quali spicca una gradazione di blu frequente in Mirò.

Ma se di norma la maschera serve a coprire ciò che veramente si è, qui la situazione è capovolta : è la verità dell' inconscio a venire alla luce in un intersecarsi di linee rette ma soprattutto curve e sinuose che creano un insieme arioso e lieve, bizzarro e danzante un po' come la figura di Arlecchino.
E' un andare oltre la realtà per rivelarne il segreto spessore, ma senza l'incubo o il senso del macabro tipico di altri pittori surrealisti, bensì con vivacità coloristica e giocosa fantasia.
Proprio tale fantasiosa attitudine ci ricorda che vita non è solo ciò che si vede, ma un misterioso inconscio altrove che talora si proietta fuori di noi con fantasmagorica carnevalesca follìa.


A commento di questo dipinto, ho scelto un vivacissimo brano di Jean-Philippe Rameau (1683 - 1764): "L'Egyptienne", qui eseguito al pianoforte da Georges Cziffra.
Lo so, in apparenza un musicista barocco e un pittore come Mirò sono due universi lontani. Quello di Rameau poi è un pezzo che ha una sua precisa struttura e una coerenza compositiva; niente a che vedere quindi con le defomazioni oniriche del Surrealismo.
Tuttavia, la giocosa esuberanza del brano, arricchita da una notevole varietà di trilli e abbellimenti, a mio avviso ben si adatta alla leggerezza del dipinto con le sue figure simili a fantasiosi balocchi infantili sospesi nel vuoto.
Così pure,
l'alternanza di frasi musicali veloci e concitate con altre più dolcemente melodiche, sembra rispecchiare il ritmo delle linee - ora rette, ora sinuose - che paiono danzare liberamente nello spazio.

Buon ascolto!

venerdì 10 febbraio 2012

Amore al primo ascolto

Ci si può innamorare di un brano di musica al primo ascolto?
Esiste quello che si potrebbe chiamare "colpo di fulmine musicale"?

Certo!!! Molti l'hanno provato e lo sperimentano in continuazione non solo nei confronti di pezzi classici, ma spesso anche con altri generi.
E' la Musica a catturarci con la sua multiforme bellezza!
C'è chi è maggiormente preso dalla melodìa, chi dal ritmo, chi dal suono di un particolare strumento o addirittura dal fascino del primo strumento che si ricordi: la voce.
Basta che le note ci colgano ricettivi, disposti all'abbandono: così si viene presi e coinvolti da una passione che porta a risentire più volte un brano finchè non è totalmente nostro e canta dentro di noi spesso indipendentemente dalla volontà.

Tuttavia ciò non deve indurre a pensare che una musica di fronte alla quale - di primo acchito - restiamo indifferenti o che proprio non ci piace, non possa in seguito diventare oggetto di un amore appassionato.
Non tutti gli autori sono uguali, non sempre rivelano subito il loro splendore, come non sono uguali le nostre disposizioni d'animo momento per momento e le emozioni che ne conseguono. Sono il tempo e la fedeltà a cementare certi amori fino a far divampare vigoroso quello che, all'inizio, sembrava un focherello forse destinato a spegnersi.

Ho provato anch' io, talora, amore al primo ascolto per varie composizioni, ma devo confessare che non poche volte ho avuto difficoltà ad apprezzare subito un brano.
Credo di averne parlato già tempo fa.
Ricordo - solo per fare qualche esempio - di essere stata catturata immediatamente dalla grandiosità wagneriana dell'Ouverture del Tannhauser e così pure da vari pezzi di Haendel, dalle vivaci architetture di certe sinfonie di Mozart come dall'Adagio per archi di Barber.

Ma con tanti altri autori ho avuto bisogno di tempo.
Bach, per esempio - il mio Bach che adoravo già a sedici anni!!! - non mi ha parlato subito in tutto. Se si eccettua la Toccata e fuga in re minore, i Brandeburghesi e qualche contrappunto da L'arte della fuga (tra l'altro nella versione jazz del gruppo Les Swingle Singers), ammetto di aver fatto fatica ad entrare nel vivo di altri brani.
Ma l'ascolto assiduo nel tempo me li ha resi via via più familiari fino a condurmi al cuore profondissimo della loro bellezza e a farmi innamorare di composizioni come le Suites orchestrali, le Partite per clavicembalo o le Suites per cello, per citarne solo alcune.

Parlavo di ascolto assiduo. Sta lì, a mio avviso, il segreto: un ascolto assiduo ma anche libero, quasi indifeso in modo che la musica possa entrare nell'anima.
Magari all'inizio non è il tema principale del pezzo a prenderti, magari ti cattura solo un un passaggio, un accordo, talora la suggestione di una semplice dissonanza.
Eppure, da quel particolare il brano inizia a svelare il suo incanto, a farti entrare nel suo universo inducendoti a scoprire anche il tuo universo interiore. E quando giunge a svelare te a te stesso, quel brano è ormai tuo, in un legame inscindibile.

Innamorarsi al primo ascolto, però, resta sempre un' esperienza che regala grande e spesso indimenticabile emozione.
E' ciò che mi è accaduto anche con il pezzo di F.J. Haydn che propongo oggi. Si tratta dell' Adagio del "Concerto N.1 in Do maggiore per violoncello e orchestra" qui nell'interpretazione di Mstislav Rostropovich.
La voce straordinaria e affascinante dello strumento solista conferisce grande intensità al brano, e la melodia che si snoda dolce e solenne
, sostenuta dal ritmo pacato dell'orchestra, conduce proprio al cuore caldo della Musica.

Buon ascolto!

sabato 4 febbraio 2012

"Tokyo station" : fascino di un non luogo

Arrivi e partenze, viaggi: eventi comuni e frequenti della nostra vita - essa stessa prima di tutto un viaggio - ciascuno col suo fardello di sogni, speranze, incontri, addii, come pure di tanta quotidianità fatta di fatica e pensieri.
Forse per questo treni e stazioni sono stati spesso oggetto di svariate espressioni artistiche.
Poeti e pittori - dal Carducci alla Szymborska, da Turner a Monet - ma talora anche musicisti ne hanno celebrato il fascino e l'atmosfera, le luci e i suoni, o vi hanno visto esempi clamorosi del
dinamismo della nuova società industriale del primo Novecento. Basti pensare al poema sinfonico di Honegger "Pacific 231" ispirato ad una locomotiva in movimento o al dipinto futurista di Carrà intitolato "La stazione di Milano".
Oggi però, soprattutto nelle grandi città, le stazioni - come pure aeroporti, metropolitane, centri commerciali, ecc. - sono diventate ormai dei cosiddetti "non luoghi" : spazi di transito magari forniti di tante comodità, ma in cui folle anonime si sfiorano ogni giorno in pressocchè totale estraneità senza realmente incontrarsi.
Tuttavia, se qualche volta le singole storie s'intrecciano come accade per esempio nel film di Spielberg "Terminal", e lo sguardo dell'artista sa andare nel profondo chiamando le cose ad esistere, allora anche un non luogo può assumere contorni più umani.

Si può inserire in questo quadro una delle recenti creazioni musicali di Giovanni Allevi, tratta dal cd "Alien". Si tratta di "Tokyo station", brano stilisticamente singolare nel panorama compositivo del musicista, a iniziare dalla durata più estesa rispetto ad altri pezzi e alla commistione di elementi della tradizione con quelli della contemporaneità.

E' la ritmica - martellante e fortemente scandita - la sua caratteristica principale, quasi Allevi attraverso di essa abbia voluto riprodurre il traffico animato della stazione di Tokyo: gente frettolosa, treni superveloci, la folla nella sua confusione ordinata tipicamente giapponese.
Eppure, proprio al centro di questo pezzo dai toni rock e da richiami jazz movimentati e coinvolgenti, c'è un nucleo caldo di dolcezza, un secondo tema intenso e melodico, prima delicato e via via più passionale come l'Allevi che già conosciamo.
S
embra infatti che, a un certo punto, il compositore abbia voluto fermarsi, oltrepassare la cortina delle apparenze, guardare nell'anima delle persone e cogliere l'umanità intensa e splendente che si cela anche dentro un quotidiano affannato e convulso.
Così, attraverso le sue note, il non luogo diventa luogo e la musica restituisce identità e poesia ad ogni cosa svelandoci il cuore di chi ci passa accanto.


Come in "Downtown", ancora una volta Allevi fa per così dire la "fotografia" a questa umanità in movimento, osservandola con occhi simili a quelli con cui si guarda intorno in "Notte ad Harlem" aggirandosi per i quartieri di New York, o in "L.A.Lullaby" per le vie di Los Angeles.
E nonostante lo stile di "Tokyo station" in rapporto a questi brani sia diverso, pure anche qui sembra che - a un tratto - dall'anima del compositore esca un moto di amore irrefrenabile che dà significato a tutto ciò su cui il suo sguardo si posa, e sia proprio questo amore a regalare vita chiamando ad esistere ciò che prima era solo anonimato.
Come un filo rosso che - pur nella varietà d'ispirazione e nella diversità sempre inedita del presente - attinge al mistero di un'unica Bellezza.

Buon ascolto!