sabato 31 dicembre 2011

Il giusto passo

Qual è il giusto ritmo, il giusto passo per predisporsi ad iniziare un nuovo anno?
Forse quello della corsa che spesso ci contraddistingue, o della pigrizia di certe giornate che stentano ad ingranare? Quello affannoso della pur comprensibile ansia del domani o la calma piatta e smagata di chi non si stupisce più di nulla?


A me piace pensare che il giusto ritmo sia quello libero e disteso dell'amicizia, della condivisione, come il dialogo che fiorisce in semplicità tra due amiche, magari a braccetto per strada dove - nell'onda del discorso - il passo prende la sua andatura più naturale e spontanea.
Un camminare confidandosi la vita : cose grandi e cose piccole che poi piccole non sono perchè è il quotidiano con la sua verità e il suo spessore a costruirci dentro.

Un passo simile a quello di chi si trova magari in giro in una città come Venezia che - per necessità di cose - ha un ritmo tutto suo: un procedere sciolto, desideroso di incanto, ma anche un soffermarsi a sottolineare una parola del discorso, un'esperienza, guardando insieme dall'alto di un ponte le acque di un rio in cui si specchiano vecchie case.
Uno scoprire insieme la direzione giusta, angolo dopo angolo, in prospettive ricche di sorprese. Un saliscendi tra calli e campielli per condividerne la bellezza, un ritmo di leggerezza e profondità insieme, di gioco e di danza o di silenzio assorto.
Il giusto passo: quello della gratitudine per gli amici, per chi ti accetta così come sei veramente al di là dell'età, della geografia o della singola storia, se dal profondo affiora un moto di empatia e quel cristallo fragile e prezioso che tutti portiamo dentro manda bagliori di sorriso.


Ed è un brano di Francois Couperin (1668 - 1733) - insieme a Bach e Scarlatti uno dei più grandi clavicembalisti di ogni epoca - che, a mio avviso, rispecchia bene questo ritmo e può diventarne a buon diritto la colonna sonora.
Il
rondeau intitolato "Les barricades mysterieuses" che propongo qui oggi, ha un andamento sereno e animato, leggero e insieme profondo dove la melodia si ripete apparentemente uguale e pur sempre nuova, proprio come un passo dopo l'altro, mai simile al precedente.
Un pezzo a cui potrebbe essersi ispirato Bach per certi preludi del primo libro de "Il Clavicembalo ben temperato", ma nel quale possiamo ritrovare un po' alla lontana anche echi del "Canone" di Pachebel.

Talora gioioso, talaltra dolcemente malinconico, il brano è stato anche opportunamente inserito nella colonna sonora del film "The tree of life" proprio a commento di una scena di giochi.

Del rondeau, originariamente per clavicembalo, ho scelto un'esecuzione al pianoforte che, a mio avviso, lo accende di colore mettendone in luce morbidissimi sfumati.
E certi punti in cui la melodia si allarga indugiando lievemente sulle note, sono proprio simili
al ritmo dei nostri passi quando - nel procedere insieme - ci si sofferma un attimo e poi si riprende il filo del discorso: osservazioni, esperienze, uno sguardo o semplici silenzi.
Ed è la musica, come sempre, a suggerirci il ritmo giusto e a completare ciò che le parole non dicono.

Buon ascolto e Buon Anno a tutti!!!

mercoledì 28 dicembre 2011

Vicinanza

Osservo da qualche giorno la riproduzione della "Natività" di Giotto che ho pubblicato la mattina di Natale.
E mi piace sempre più non solo perchè Giotto ha un tratto grandioso nel dare espressione ai visi e profondità agli sguardi; non solo perchè - come tanti artisti medioevali - rappresenta episodi diversi nella stessa scena; ma anche per la quotidianità del racconto.


L'evento è solenne, eppure nell'affresco si respira un senso di familiarità che ce lo rende vicino.

Saranno forse i gesti, l'umiltà dei personaggi che esprimono con semplicità i propri sentimenti, o forse l'intensità degli sguardi, i sorrisi che accomunano angeli e pastori, Maria e le donne che accudiscono il Bambino.

Così pure, il blu dello sfondo - tipica novità di Giotto rispetto al passato - colloca la Natività non in un infinito baluginante e lontano, ma entro il nostro cielo, in un "qui e ora" di inoppugnabile vicinanza
.

Proprio questa vicinanza dai tratti così concreti ho ritrovato in un altro pittore che, come tanti artisti di scuola giottesca, riproduce la Natività con la medesima iconografia inserendo nell' affresco - insieme a Maria e a un San Giuseppe quasi sempre assorto o dormiente - le donne che accudiscono il bimbo, l'annunzio ai pastori e naturalmente un certo numero di animali.

Si tratta del cosiddetto Maestro di Tolentino - poichè è lì, nel santuario di San Nicola, che ha lasciato le sue più significative testimonianze artistiche - anche se la critica più recente identifica l'autore dell'affresco in Pietro da Rimini.Delizioso, a mio avviso, il particolare riportato qui in alto: il Bambino accudito da Maria e da un'altra donna mentre fa il bagnetto!
Tenerissimo il gesto del piccino che si ritrae timoroso di fronte all'acqua o forse davanti a un viso estraneo, cercando rifugio verso le braccia della mamma!
Una Natività ancora una volta calata nella semplicità dimessa del quotidiano
e lontana dai futuri sfarzi rinascimentali, ma quanto più vera!!!
Una scena che ci racconta un Dio vicino, venuto ad abitare la precaria tenda dell'uomo e ad attraversarne tutta la fragilità per riempirla di splendore.


A commento di questo dipinto, l' "Adagio" dal Concerto grosso
op.6 n.8 "Per la notte di Natale" di Arcangelo Corelli.
Insieme alla più famosa "Pastorale"
sempre dallo stesso concerto, è uno dei brani natalizi più dolci e intensi. Il ritmo lento che - tranne la parte centrale più vivace - caratterizza tutto il pezzo, ben si adatta a mio avviso alla familiarità delle immagini che ci parlano di sorrisi, di sguardi pacati e di una quotidianità divenuta ormai sacra in ogni piccolo gesto.

Buon ascolto!


domenica 25 dicembre 2011

"O magnum misterium..."











Con profonda gratitudine,
Buon Natale
a tutti voi
nell'armonia
della Musica!!!

(GIOTTO : "Natività" . Basilica inferiore di S.Francesco - Assisi)

(LAURIDSEN : "O magnum mysterium...")

O magnum mysterium et admirabile sacramentum

ut animalia viderent Dominum natum

iacentem in praesepio.


Beata virgo cuius viscera

meruerunt portare Dominum Christum.

Alleluia.

mercoledì 21 dicembre 2011

Dicembre

Siamo ormai a fine anno e anche la serie delle miniature del "Ciclo dei Mesi" tratte dal codice "Les très riches heures du Duc de Berry" volge al termine.

Tra lavori agricoli e feste di corte, castelli e paesaggi sempre minuziosamente descritti, i fratelli
Limbourg ci hanno accompagnato lungo il calendario, offrendoci immagini dai tratti talora un po' fiabeschi, talaltra più realistici, ma sempre all'interno di un contesto rasserenante e di una compagine di vita ordinata e operosa.

Dicembre ci offre una rappresentazione, a mio avviso, un po' strana: immagineremmo infatti un quadretto tranquillo magari in un interno, o un paesaggio innevato come abbiamo già visto nel mese di Febbraio: un'atmosfera di quiete, insomma.
Invece quella che ci si presenta è una movimentata e cruenta scena di caccia al cinghiale.

Siamo nella radura di un bosco e in primo piano, nel cerchio aperto dagli alberi, diversi cani si stanno avventando sulla preda, mentre tre cacciatori assistono alla scena.
I particolari mettono in luce la ferocia degli animali che finiscono il cinghiale dilaniandone le membra, dopo che è stato ferito con la lancia : un tipo di caccia ben diversa da quella col falcone decisamente più aristocratica. Tuttavia, anche questa era apprezzata dal mondo nobiliare perchè offriva un piacere più sportivo e violento, quasi una manifestazione di forza guerriera.


In secondo piano, un bosco fitto - e stranamente non spoglio per essere nella stagione invernale - separa la scena dal castello dello sfondo. Sì, è un castello con torri e torrioni ma, visti nella sola parte superiore, a noi che li guardiamo oggi possono ricordare un po' ....dei grattacieli, strane avveneristiche architetture quasi di altri mondi. E ciò aggiunge singolarità alla miniatura, una singolarità giustificata anche dal fatto che la datazione la colloca dopo la morte dei Limbourg e il miniatore è forse Jean Colombe che ne ha completato l'opera.


Al di là della sua originalità, ravvisiamo però nel quadretto anche caratteri che lo accomunano ai mesi precedenti.
Innanzitutto l'ordine e direi anche la simmetria con cui figure ed edifici sono disposti, sia nella scena di caccia così movimentata, sia nella ben diversa ambientazione retrostante.
Poi i colori che - nella rappresentazione di alcuni cani, forse levrieri - fanno risaltare il bianco e ci orientano verso il centro della scena creando un certo ordine compositivo.
E infine la ricchezza di dettagli ravvisabile stavolta non tanto nelle architetture o nel bosco, quanto invece nelle figure dei tre cacciatori colti in atteggiamenti diversi.

A commento di questa miniatura, un brano di
Mozart: il secondo tempo del "Concerto per corno n.1 in Re magg. K.412" che riecheggia in qualche modo l'atmosfera animata della caccia, tra luci e ombre, accesa vivacità e toni più smorzati.

Buon ascolto!

mercoledì 14 dicembre 2011

"Shine"

Hanno ridato qualche sera fa in tv "Shine", famosissimo film del 1996 dove il regista Scott Hicks narra - sia pure con alcuni ritocchi - la storia vera del pianista David Helfgott.

Mi ha sempre colpito la drammaticità di questa vicenda: la passione di David - piccolo genio del pianoforte - per la musica, il difficile rapporto col padre che segna con crudezza la sua adolescenza, l'esecuzione del
celeberrimo terzo concerto di Rachmaninov e il crollo nervoso con l'esplodere della malattia mentale.
Poi il recupero, nella paziente trama d'amore del felice incontro con Gillian e il ritorno alla musica nella quale il protagonista riattinge il senso profondo della propria identità.

Un racconto che sottolinea da un lato il rapporto tra genialità e follia e dall'altro il tormentatissimo legame di David col padre, uomo contraddittorio che pretende e insieme proibisce fino a creare nel ragazzo durevoli sensi di colpa.

Ma altri due aspetti stavolta mi hanno catturato al di sopra di tutto: la freschezza della narrazione che mette in luce il candore del protagonista, magnificamente interpretato da Noah Taylor, da adolescente, e Geoffrey Rush da adulto; e - al di là della grandezza del "Rach.3" - i brani scelti dal regista come colonna sonora del film.


Il candore del protagonista, in primo luogo.
Sembra infatti che il disturbo nervoso susciti in lui una sorta di innocenza primigenia che affiora da tutto e tutto permea: dal delirio al desiderio, dal continuo sconnesso farneticare alla gioia, luogo fatato dove il sentimento diventa impulso puro e assoluto che fa librare in volo e - in alcune sequenze - regala al racconto la magìa della favola. E invece è verità.


E poi la colonna sonora, nella quale ho apprezzato in particolare la scelta di Beethoven e di Vivaldi in un gioco sapiente di contrasti e affinità. Mi spiego.
Magistrale, a mio avviso, aver inserito il
"Gloria" di Vivaldi e il finale della "Nona Sinfonia" di Beethoven a commento di alcune sequenze in cui il disordine mentale ha rotto ormai gli argini.
Infatti n
ella concitazione del racconto dove, sovrapposti a voci e rumori, questi brani sembrerebbero fuor di luogo e quasi una stonatura, comprendiamo invece che, in realtà, proprio lì essi interpretano benissimo lo scarto tra il livello di percezione del protagonista e quello degli altri personaggi.
Come se la narrazione procedesse contemporaneamente su due piani: la quotidianità esteriore degli eventi e l'interiorità di David.

Così pure, è attraverso la dolcissima melodia del mottetto sacro "Nulla in mundo pax sincera" RV 630 di Vivaldi, che leggiamo nell'anima del protagonista la gioia ineffabile di poter godere della magia delle note.
Proprio questo è il brano che ho scelto di riportare qui oggi, luminoso suggello di bellezza sopra il mistero di un'esistenza - come quella di Helfgott - trafitta dallo splendore musica.


Buon ascolto!

"Nulla in mundo pax sincera
sine felle; pura et vera,
dulcis Jesu, est in te.

Inter poenas et tormenta
vivit anima contenta

casti amoris sola spe."


sabato 10 dicembre 2011

Fioriture bachiane

Nel monumentale complesso delle opere di Bach, talora trovano posto brani che, nati all' interno di una composizione, vengono poi ripresi in un altro contesto con diverso strumento solista e differente armonizzazione.
A volte un concerto per violino viene trascritto nella versione per clavicembalo o un pezzo per orchestra viene rielaborato per essere eseguito all'organo.


E' il caso dei
Corali "Schubler", sei preludi per organo a due tastiere e pedaliera, composti da Bach verso la fine della sua vita, cinque dei quali sono tratti da precedenti "Cantate".

Il brano che propongo oggi, il
Corale BWV 650 "Kommt du nun, Jesu, vom Himmel herunter auf Erden" ("Vieni ora Gesù dal cielo sulla terra"), è infatti il secondo movimento della "Cantata BWV 137" per soli, coro e orchestra.
Ma mentre dall'organico della Cantata emergeva in particolare il violino e la melodia si affidava alla voce del contralto, nel successivo Corale è solo l'organo ad interpretare queste parti
con un sapiente ed equilibrato alternarsi e sovrapporsi di temi dalle tastiere alla pedaliera.
La melodia iniziale
infatti - nella quale possiamo ritrovare anche l'eco lontana della più famosa "Aria" dalla "Suite orchestrale n.3 BWV 1068" - viene enunciata sulle tastiere da una luminosa fioritura di note, mentre il vero e proprio canto è poi esposto dalla pedaliera che si sovrappone al tema precedente.
Così le due parti procedono emergendo ora l'una o l'altra in un gioco di studiatissime alternanze.

Il video qui riportato, oltre a presentarci l'esecuzione del brano su di organo "Trost" di grande pregio artistico (come si può vedere, infatti, il legno è preziosamente intarsiato), ci mostra con chiarezza la grande perizia tecnica e interpretativa con cui l' organista, Hans-André Stamm, gestisce la difficile sincronia delle mani e dei piedi.
E dalla sua esecuzione dal ritmo calibratissimo, il testo bachiano fiorisce luminoso e sereno.

Buona visione e buon ascolto!

 

 


lunedì 5 dicembre 2011

"Downtown"

Mi capita spesso di andare a Milano e usare il metrò, quindi trovarmi nei sotterranei di una grande città in mezzo a una folla cosmopolita non è per me cosa nuova.
Ma l'esperienza della metropolitana di Parigi, dove sono stata recentemente, è diversa e mi ha lasciato dentro un' intensa emozione.

Il metrò di Parigi è Milano moltiplicata per dieci : un dedalo di linee, chilometri di corridoi, scale e ancora scale, gallerie tappezzate di piastrelle bianche dall'aria piuttosto datata; alcune stazioni - quelle del centro - più signorili ed eleganti, altre stile liberty, altre ancora maleodoranti e squallide o semplicemente vecchie.

Ma è soprattutto l'umanità che colpisce: varia, colorata, cosmopolita più ancora che da noi.
E' il mondo e lì mi sono sentita al centro del mondo con un coinvolgimento viscerale, un senso di sgomento e insieme di attrazione: proiettata fuori di me eppure a casa mia, nonostante fossi lontana da casa.

Certo, hai un tuo luogo di origine e radici tue, ma ci sono situazioni in cui gli orizzonti si perdono o si fanno infiniti.
Esistono momenti in cui - sciolti i legami - sei tu e basta, tu col tuo cuore e il tuo sguardo mentre ti scopri protagonista di un'affascinante solitudine, quella della tua anima davanti alla vita.
Percepirlo è magìa perchè proprio la vita vibra intorno a te in quell'umanità brulicante e sconosciuta ma che - come te - soffre e ama, gioisce e si affanna.

Questa esperienza così forte mi ha restituito - incisiva e nitidissima - l'atmosfera di un brano di musica che amo profondamente e che, a mio avviso, interpreta in pieno tali sensazioni: "Downtown" dal cd "Joy" (2006) di Giovanni Allevi.
Come ha affermato infatti il compositore stesso in alcune presentazioni del pezzo, "Downtown" è la "fotografia musicale" del mondo, di quell'umanità "dispersa e gettata nell'esistenza" di cui anche lui si sente parte.

Ma il brano è per me ancor più significativo perchè l'emozione che mi regala s'innesta in qualche modo sul mio passato, riconducendomi addirittura all'infanzia.
Quand'ero piccola e mio papà ogni tanto mi portava alla stazione a vedere i treni, ero sempre profondamente impressionata dalla folla di gente che risaliva dal sottopassaggio, tornando a casa dalla grande città dopo una giornata di lavoro. Nella mia fantasia di bambina, mi pareva che vivere consistesse proprio in quello, nell'essere parte di una trama più ampia, di un orizzonte più vasto della mia piccola esistenza, e ho sempre desiderato di trovarmi anch'io nel cuore di quella folla in movimento.

Quando poi ho iniziato a viaggiare davvero, c'erano giorni in cui da Milano dove frequentavo l'università, tornavo alla mia città di provincia ch'era già sera.
Allora non era più solo la stazione piena di gente a suggestionarmi, ma l'intera metropoli che mi circondava nel suo afflato di vita vicino e lontano, familiare e pure sconosciuto.
Il treno delle otto, attraversando nel buio la periferia da Lambrate a Rogoredo, mi consentiva di vedere le luci nelle case, intuire la storie che vi si svolgevano, immaginare le persone con i loro sogni e in qualche modo respirare con loro.

"Downtown" mi riporta a quelle sere, nella sua vena di ritmo che scorre sotterranea e ininterrotta, pronta a emergere impetuosa nei passaggi rock e a sfumare subito dopo, con ineffabile dolcezza, in toni morbidi e sommessi. Colonna sonora dei mille volti di una metropoli, ma anche di sorprendenti viaggi dell'anima.

Buon ascolto!