martedì 29 novembre 2011

Musica dal silenzio

Esistono musiche che ci fanno tornare indietro nel tempo, indietro nella nostra storia a ricordi rimasti indelebili nella memoria del cuore.
Riascoltarle è un'esperienza che, talora, ci restituisce in pieno le atmosfere vissute ed è come ritrovarsi immersi in un universo di emozioni che ci riportano il sapore e la pulsazione del passato.


Il brano che propongo oggi mi rimanda al cuore della mia adolescenza, una sera di dicembre a Venezia, quella Venezia invernale affascinante, dove i canali sembrano svanire nella nebbia o perdersi nel buio, mentre le luci festose del centro sono un approdo cui ancorare l'anima.


Mancava poco a
Natale, ed ero alla fine di una giornata passata in corsa tra campi e campielli, musei e chiese, Tiepolo, Tintoretto e la confusione festosa delle Mercerie.
Ormai quasi a sera, ero entrata in San Zaccaria, nella quiete della sua piazzetta poco distante da San Marco, e all'improvviso la pace mi aveva accolta nel suo abbraccio.
La chiesa in penombra quasi vuota, una sola lampada in fondo vicino al presepio. E il silenzio.

Proprio questo mi aveva colpito, come se improvvisamente mi fossi addentrata in un universo nuovo,
un silenzio profondissimo come si respira talora in montagna di sera, quando rimane solo il profilo scuro delle cime sotto il cielo stellato e un vento leggero.

Poi, inaspettata, una musica: dall'abside avevano iniziato a diffondersi le note dell'Ouverture del "Messiah" di Haendel nel suo solenne esordio e nella leggerezza della successiva fuga. Note che si allargavano come spuma del mare sulla battigia a dilatarmi l'anima, così come la vivacità e il movimento della fuga mi parevano energia che prende corpo e si articola gioiosa nella sua multiforme varietà.
Sorpresa ed emozione mi avevano avvolto: quelle note mi parlavano, erano desiderio e nel contempo risposta al desiderio stesso e andavano a risvegliare in me una vita che chiedeva solo di essere ridestata.

Forse ho iniziato allora a percepire che la musica nasce dal silenzio, dall'abisso dell'anima di colui che la crea. Come la vita, come il mondo.
Forse la creazione stessa è musica e il soffio creatore di Dio altro non è che un' onda di suoni che si propaga all'infinito nel tempo e nello spazio. Un'onda della quale siamo parte, attraversati anche noi dalla musica come strumenti, canali di risonanza di una melodia più alta.

Riascoltare oggi questo grandioso pezzo di Haendel - sia pure in un differente contesto - mi rinnova quell'emozione che mi ha aperto un varco verso il mistero.
E ora che la liturgia ci ha già introdotti nel periodo dell'Avvento, mi piace associare a questo brano l' Adorazione dei pastori di George de La Tour, dipinto che, tra l'altro, è in mostra a Milano proprio in questi giorni e che - come diversi altri quadri dello stesso soggetto - è pervaso da un'aura di assorta contemplazione e di silenzio.

Buon ascolto!

domenica 27 novembre 2011

Novembre

E' singolare la rappresentazione di Novembre nell'ambito del "Ciclo dei Mesi" dei fratelli Limbourg, soprattutto se la paragoniamo alle immagini precedenti, perchè - al di là della lunetta effettivamente realizzata dai famosi miniatori - il quadretto è opera di Jean Colombe e risale alla fine del XV secolo.
E che la mano dell'autore è diversa, risulta chiaro anche dalla differente iconografia.
Infatti, la rappresentazione del mondo cortese scompare del tutto e persino il castello che quasi sempre troneggiava sullo sfondo descritto con una miriade di particolari, qui è appena accennato e si integra totalmente col paesaggio.


E' invece una scena pastorale il centro della raffigurazione, in particolare la raccolta delle ghiande.
Dal gesto teso del pastore in primo piano armato di bastone, si comprende infatti che è intento a percuotere i tronchi delle querce per farne cadere le ghiande, mentre un branco di maiali è raffigurato proprio nell'atto di cibarsene sotto l'occhio vigile di un cane.

In secondo piano, nel folto degli alberi, altri contadini sono intenti a bacchiare, mentre sullo sfondo si scorge un paesaggino dai toni freddi e smorzati.


Ed è altrettanto singolare che - in una miniatura del codice
"Très riches heures du Duc de Berry" che descrive i fasti della vita cortese insieme alle operazioni agricole dei vari mesi - così largo spazio sia lasciato a un branco di porci, tradizionalmente simbolo negativo di chi non sa sollevarsi dal fango materiale o morale.
Ma occorre fare due considerazioni.
In primo luogo, il maiale era sempre stato una preziosa fonte di alimentazione, vera ricchezza per il mondo contadino soprattutto in tempi di carestia e la sua presenza rientra nel quadro della rappresentazione della vita quotidiana nella sua concretezza.
In secondo luogo, anche in differenti contesti Novembre è simboleggiato spesso dalla bacchiatura delle ghiande per i maiali, in vista del loro ingrasso per la macellazione del mese successivo.


Al di là di questo, però, altri aspetti della miniatura mi sembrano degni di nota.
Innanzitutto la pennellata - particolareggiatissima e morbida ad un tempo, come si può osservare nelle setole degli animali o nelle chiome dgli alberi - che in certi punti diventa quasi una sorta di "pointillisme" ante litteram.
E poi lo splendido paesaggio sullo sfondo che, nella sua morbidezza, ci ricorda che siamo già in pieno Quattrocento, e può essere assimilato agli sfondi di alcune Madonne, ad esempio, del Pinturicchio, dove un colle, un torracchione, uno specchio d'acqua creano aperture inusitate e un respiro spaziale nuovo.

Infine - forse dovuta alla differente mano dell'autore, forse al fatto che Novembre ha un clima più triste - si nota una minore luminosità di tutta l'immagine rispetto ai mesi precedenti. Contribuiscono a ciò i toni scuri o smorzati del manto degli animali, del prato brullo, insieme al bosco con la sua cortina di alberi.

A commento della miniatura, il "Largo" di Haendel dal "Concerto grosso in Si bemolle magg. op. 3 n.2 HWV 313", pezzo forse meno popolare rispetto al più conosciuto Largo dall'opera "Serse", ma senza dubbio ricco di fascino nella sua aura un po' brumosa come il mese di cui stiamo parlando.
Un brano che, per atmosfera e pacatezza di ritmo, può ricordare anche l'Adagio di un famosissimo Concerto per archi e oboe di Alessandro Marcello, peraltro contemporaneo di Haendel.

Buon ascolto!


giovedì 24 novembre 2011

Duettare

Dopo un violino classico e il canto delicatissimo di un Adagio di Brahms, torniamo invece ai nostri giorni e ad un altro genere musicale con Richard Galliano.

Ho già parlato in precedenza di questo geniale fisarmonicista, in due post dedicati alla sua musica che trovo colta e versatile, rispettosa delle tradizioni e tuttavia profondamente originale.

Il brano di oggi, "La valse à Margaux", è un pezzo notissimo che propongo qui in un' entusiasmante esecuzione live, dove Galliano duetta con il violinista Sebastien Surel.
Ed è un vortice di passione sempre più travolgente, un binomio perfetto di musica e divertimento.
Un duettare che è prima di tutto un dilatarsi di entusiasmo: dalla grinta quasi aggressiva di Surel, all'espressione di Galliano bonaria e profondamente comunicativa della simbiosi che vive col proprio strumento.
E' un gioco di sguardi e di intese tra i due solisti, un interagire, un dialogare di note e di ritmi volto ad afferrare la musica nella sua pienezza.


E proprio i ritmi guidano in modo sempre più effervescente l'incastro di temi, accompagnamento e variazioni nel brano
, pezzo di bravura in forma di valzer, dove violino e fisarmonica si integrano meravigliosamente pur mantenendo il carattere della propria singolarità e della propria voce.
Un valzer la cui melodia è ripetuta in modo sempre più vorticoso e dove le frequenti dissonanze - soprattutto a conclusione di alcune frasi musicali - regalano spessore e modernità inusitate alla vecchia musette che, come dicevo anche in passato, Galliano ha rivisitato rinnovandola.
Infatti, sia nel vivacissimo primo tema ripreso poi verso la fine, sia nella parte centrale decisamente più malinconica, il compositore sembra sperimentare sonorità nuove alternando grinta e lirismo.

Un brano intenso e frizzante, quindi, un trascinante invito alla danza che i due solisti ci trasmettono attraverso la loro profondissima e gioiosa fusione con la musica.

Buona visione e buon ascolto!


 

martedì 22 novembre 2011

Un violino per Santa Cecilia

Oggi, 22 novembre, festa di Santa Cecilia, mi piace celebrare la patrona della musica e dei musicisti con un pezzo per violino.

Ricordo che lo scorso anno, per la stessa ricorrenza, avevo postato un brano di Haendel (proprio l'Ode a Santa Cecilia) la cui clip video consentiva di osservare da vicino l'espressione dei musicisti, il loro vivere la musica nel profondo. Era un gioco di sguardi che aprivano scorci di luce sull'interiorità di ciascuno rivelandoci di quanta vita si alimentasse la loro anima attraverso la magia delle note.


Questa volta è la voce del violino che desidero proporre, sottile e variegata
, dolcissima e drammatica, ricca di sfumature tra luminosità e penombra, capace di addentrarsi nel cuore di chi ascolta e di scandagliarne l'abisso come uno sguardo di straordinaria intensità.
Ho scelto infatti uno dei brani più famosi di tutta la produzione violinistica dell'Ottocento, considerato tra l'altro uno dei vertici del virtuosismo in questo campo: il "Concerto
per violino e orchestra in Re magg. op.77" di Johannes Brahms, che ascoltiamo nel suo mirabile "Adagio".

Dopo l'ampia introduzione
affidata al dialogo tra l'orchestra e i fiati - in particolare l'oboe che enuncia il tema principale - il violino è un filo sottile che riprende la melodia e poi torna su se stesso inanellandosi in variazioni di incantevole splendore, voce emergente eppure profondamente integrata con l'orchestra.
Si dipana così un canto ora di rasserenante luminosità, ora pieno di inquietudine tormentosa; delicatissimo e insieme impetuoso, intriso di intensa drammatica passione: ultimi lampi di un romanticismo che si apre ormai a suggestioni nuove e respiri d'infinito.

Propongo il brano in un video datato, ma sempre ricco di fascino per l'interpretazione di Henryk Szeryng che fa risuonare in modo incantevole la voce del suo violino.

Buon ascolto!

giovedì 17 novembre 2011

"Les choristes"

Su consiglio di un'amica, ho visto giorni fa un film non recentissimo, ma sempre ricco di suggestione per l'argomento, la freschezza dell'interpretazione e il clima di semplicità con cui si dipana la vicenda.

Si tratta di
"Les choristes", una pellicola del 2004 di Christophe Barratier ambientata nella grigia provincia francese del secondo dopoguerra, dove un musicista disoccupato viene assunto come sorvegliante in un collegio chiamato "Fond de l'étang".
Già il nome,
"Fondo dello stagno", rende l'idea dell'atmosfera del luogo: un istituto di correzione per ragazzini difficili che, nel clima di repressione instaurato dal direttore, rischiano davvero di diventare delinquenti.
Il nuovo arrivato però, nonostante divergenze e difficoltà, riuscirà almeno in parte a cambiare le cose. E lo farà adottando metodi educativi più umani, ma soprattutto appassionando i ragazzi alla bellezza del canto fino a creare un vero e proprio coro.

E' la musica, quindi, in certo qual modo la protagonista della storia, con la sua capacità di suscitare emozioni facendo emergere volontà e passione, restituendo speranza e sorriso.

Inutile dire che il film mi è piaciuto molto per il contenuto, la maestria degli attori (professionisti e non), ma anche perchè evita il rischio della retorica, frequente nella trattazione di argomenti di questo tipo.

La narrazione infatti è lieve, misurata, talora a metà strada tra il dramma e l'ironia, nel raccontare una vicenda nella quale - come accade peraltro anche nella vita - non tutti si salvano e il lieto fine è lasciato più al piano delle emozioni che a quello degli eventi.


Ma torniamo alla musica.

Tra i brani cantati dal coro, tutti decisamente pregevoli, uno dei più suggestivi è l'
"Hymne à la nuit", tradizionalmente attribuito a Jean-Philippe Rameau (1683 - 1764) anche se, in realtà, la versione corrente è l'adattamento successivo di un pezzo di Rameau da parte di J.Noyon ed E.Sciortino.
E' una melodia nella quale, sia nella parte corale che in quella solista, la solennità si risolve in straordinaria limpidezza.
E il testo che ci parla di incanto e di mistero, di dolcezza e di speranza, mi sembra particolarmente adatto a una vicenda che vede protagonisti dei ragazzi che si affacciano alla vita, col bisogno profondo di far emergere da se stessi la capacità di sognare.

O nuit, viens apporter à la terre
Le calme enchantement de ton mystère
L'ombre qui t'escorte est si douce
Si doux est le concert de tes voix chantant l'espérance
Si grand est ton pouvoir transformant tout en rêve heureux

O nuit, ô laisse encore à la terre
Le calme enchantement de ton mystère
L'ombre qui t'escorte est si douce
Est-il une beauté aussi belle que le rêve ?
Est-il de vérité plus douce que l'espérance ?

Buon ascolto!

sabato 12 novembre 2011

Cercando Chopin

Trovarsi, una mattina di novembre, nell'incomparabile atmosfera del cimitero Père-Lachaise a Parigi : un' oasi nella città, una collina dove il sole gioca col vento tra le foglie dell'autunno svegliando riflessi tra i rami e la pietra grigia delle tombe.
Lasciarsi alle spalle il tumulto metropolitano per addentrarsi in un percorso di pace e solitudine fra tombe di grandi ed altre in apparente abbandono.

Ma non c'è tristezza: forse la luce, forse il respiro del vento che anima la vegetazione; forse la città intorno che oggi ormai circonda come un abbraccio grandi del passato e del presente, pittori e musicisti, scrittori e rockstar.
Non si può essere turisti distratti al Père-Lachaise o semplicemente curiosi: il silenzio ti parla, il ricordo è vita che prolunga la vita, spesso nel segno di una profonda gratitudine.
E c'è una semplicità che rasserena, ben lontana - a mio avviso - dalla solennità fastosa ma cupa e un po' opprimente di altri mausolei parigini.

Cerco Chopin: sono venuta qui quasi solo per lui, come se trovarmi davanti al luogo in cui riposa il suo corpo potesse avvicinarmelo ancora di più. Ma in realtà, so bene che è pienamente vivo nella sua musica capace di stabilire uno straordinario contatto d'anima con noi al di là del tempo.
Lo cerco a lungo prima di trovarlo, e infine arrivo davanti al rilievo che ne riproduce il volto sottile, davanti alla tomba sulla quale lo piange la sua Musa, una tomba piena di fiori tra i quali non manca mai l'omaggio di una rosa rossa.
In silenzio, nel sole del mattino, affido la mia emozione proprio a lui, alle sue note che mi affiorano dentro.

Il "Preludio op.28 n.15 in Re bemolle maggiore" detto "La goccia d'acqua" è un brano di rara levità che, limpido e dolcissimo nell'esordio, va facendosi più tempestosamente incisivo nella parte centrale e sfuma poi in una solennità di tono quasi religioso prima di tornare, alla fine, alla serenità della delicatissima melodia d'inizio.
Ma la caratteristica di questo pezzo dalla quale deriva anche il nome è quella nota di fondo ribattuta continuamente e sempre uguale nonostante i cambiamenti di tonalità (prima La bemolle, poi Sol diesis e infine La bemolle ancora), che ne diventa - al di là del tema - il vero motivo conduttore.
Come un segno a scandire il tempo che passa: nella sua struggente nostalgìa, nella sua affannosa ricerca di senso, nella sua drammaticità inesorabile, nella sua luminosa attesa.

Buon ascolto !


martedì 8 novembre 2011

"Rifugio bianco"

Lo so, non è primavera: ne siamo ben lontani e invece dei prati fioriti avanzano rovinose alluvioni insieme a brume ormai decisamente autunnali.
Ma proprio per questo, perchè il cuore non ceda alla malinconia della stagione e si rianimi invece di speranza, mi piace proporre un canto di montagna che rompa il grigiore come uno sprazzo di luce.

Ed è ancora una volta una melodia di Bepi De Marzi, "Rifugio bianco", composta per l'inaugurazione del Rifugio "Tonini" sull'Altopiano di Pinè.
Ma le parole del testo - che descrivono il sentiero che vi sale ispirandosi a una poesia di una figlia di Giovanni Tonini cui il rifugio è intitolato - sono forse volutamente generiche affinchè, nella loro semplicità, possano essere applicate a qualunque cammino, di montagna o di pianura. O di vita.
Si parte da una vallata, poi salendo si attraversa un bosco finchè la vegetazione si dirada aprendosi sui prati e scoprendo scorci sempre più ampi di cielo, fino a quando - là in alto - appare il rifugio, la meta.
Una percorso che inizia dal basso, dall' oscurità, e cerca poi lo spazio e la luce, l'apertura e il cielo,
il faro che indica la direzione, il sogno d'amore, la bellezza che sorprende.

Ed è così anche nel canto affidato alla corale "Cantori di S.Margherita" (Fidenza), che ne dà un'interpretazione a mio avviso veramente pregevole.
La morbidezza e la fusione delle voci femminili con i bassi maschili crea infatti un'armonia soffusa di dolcezza che - dopo la parentesi quasi malinconica della parte solista - si carica di forza e di speranza aprendosi alla luminosità delle tonalità maggiori.

Buon ascolto!

Pena passà la valle la-oh
e dopo on fià de bosco la-oh
se slarga i prà nel cielo,
la-oh, la-oh,
varda quanti fiori la-oh


Ecco lassù 'na casa la-oh,
en grande fiore bianco la-oh
sbocià de primavera,
la-oh, la-oh,
profumà d'amore la-oh.

De not la par 'na stela la-oh
che slus a chi camina la-oh
e quando vien matina la-oh
la splende più del sole la-oh.

Se slarga i prà nel cielo la-oh
dal nos rifugio bianco la-oh,
che porta un nome caro,
la-oh, la-oh, la-oh.

Pena passà la valle la-oh.

martedì 1 novembre 2011

Un Galliano da sogno

Ho già parlato giorni fa del fascino della fisarmonica, strumento tradizionalmente popolare, entrato solo in tempi recenti nel mondo della classica o del jazz grazie a una serie di artisti che lo hanno valorizzato sviscerandone tutte le potenzialità con originalità e inventiva.

Come scrivevo,
Richard Galliano - classe 1950, francese di origini italiane - è certo il più rappresentativo tra questi non solo per l'indiscussa bravura di esecutore, ma per la straordinaria novità delle sue composizioni e interpretazioni che hanno svecchiato il modo di suonare la fisarmonica e il repertorio che ne consegue.

Famosissimo per la sua collaborazione con Piazzolla e per aver rinnovato non solo il tango, ma anche la musette - il tradizionale valzer popolare francese - rivisitandola con l'inserimento di nuovi ritmi, Galliano è però anche cultore di quei compositori classici che non poco hanno contribuito alla sua formazione.
Primo fra tutti Bach, accostato ai tempi del conservatorio e profondamente amato ancora oggi soprattutto
ne L'arte della fuga e nelle Suites per violoncello, ma anche in diversi altri brani e concerti ai quali il fisarmonicista ha dedicato un cd.
Sintesi di antico e moderno, di contemporaneità e tradizione, dunque, da parte di un artista profondamente creativo e versatile.

L' "Opale Concerto
" che propongo qui oggi nello splendore del suo secondo movimento, fonde proprio elementi classici con la ricerca di sonorità inedite.
E' una melodia malinconica il primo tema che ci si presenta, un ricordo dell'antica
musette con il suo colore nostalgico e la sue atmosfere parigine, ma ben presto aperto a suggestioni nuove - almeno per uno strumento come la fisarmonica - che si allargano verso la parte centrale del brano.
Questa si snoda sull'onda di un'orchestra dalle sonorità sempre più ampie e profonde che - grazie anche all'uso frequente della dissonanza - si dilatano in un'atmosfera indefinita di grande fascino.
Un brano ricco di incanto e non privo di reminiscenze classiche : se infatti all'inizio, vi possiamo ritrovare echi del Valzer triste di Sibelius
, successivamente vi si coglie qualche ricordo di Dvorak, in particolare della Danza slava N.2.

Ricerca del nuovo quindi, coniugata però sempre col sapore della tradizione classica e delle proprie origini
che Galliano riprende e rivitalizza con grande sensibilità.

Buon ascolto!