venerdì 30 settembre 2011

Eternità

Ogni forma di arte, attraverso i secoli, è sempre stata espressione del desiderio di eternità radicato nel cuore dell'uomo.

Dalla poesia alla pittura, dall'architettura alla musica, ogni autentica creazione artistica, per quanto possa inscriversi nel proprio tempo e rispecchiarlo, ha in sè un soffio di vita che non si spegne col suo autore, ma tende a oltrepassare l'orizzonte del finito per collocarsi nel cuore dell'uomo di ogni epoca.

Per questo, a distanza di secoli, ci affascina ancora l'equilibrio di un tempio greco o la tensione di una scultura di Michelangelo che sembra volersi sprigionare dal peso della materia o la drammaticità di un contrasto di luce in un dipinto del Caravaggio.
Per questo, ci incanta la leggerezza ariosa dei colori di Monet, così come ci riconosciamo nell'energia plastica di certi versi di Dante e nel suo sguardo che - se è certamente rivolto alla sua epoca - si incide tuttavia con forza nell'anima di chiunque cerchi, lungo il proprio cammino, un riscatto dalle selve oscure di ogni tempo.


Con vigore e intensità l'arte ci parla di quel desiderio nascosto nel profondo dell'uomo, dal teatro alla danza, da un testo letterario a una partitura musicale: non pezzi di carta senz'anima, ma storia palpitante e viva, umanità vibrante di emozioni per suscitarne altre in noi, di inequivocabile concretezza.
E' l'eternità, qui e adesso.


Mi sono nate dentro queste brevi considerazioni ascoltando il brano che propongo oggi: la Melodia della
"Danza degli spiriti beati" dall'opera "Orfeo ed Euridice" di Christoph Willibald Gluck (1714 - 1787) che riporto qui in duplice versione, per flauto e pianoforte e per pianoforte solo.

Trovo che il pezzo - a circa 250 anni dalla sua composizione - sia ancora di straordinaria modernità, dalla luminosa e nitida dolcezza del flauto alla stupenda interpretazione al pianoforte, malinconica e ombrosa nella sua delicatissima fioritura di note quasi a precorrere l'atmosfera di un notturno di Chopin.
Dall'epoca barocca, la melodia sembra aprirsi verso un'aura di romanticismo in una vicenda - quella di Orfeo ed Euridice - in cui, amore e morte, felicità e rimpianto s'intrecciano.
Il brano, infatti, insieme al clima di serenità dei Campi Elisi, ci restituisce in pieno il senso dell'accorato desiderio di Orfeo per la perduta Euridice e i moti di un'intensa passione si fondono col sogno struggente che l'amore possa sfuggire ai lacci degli inferi.
E farsi eterno.

Buon ascolto!



mercoledì 28 settembre 2011

Settembre

Nell'ambito delle miniature del "Ciclo dei Mesi" dei fratelli Limbourg, Settembre riconferma il realismo della rappresentazione insieme alla consueta ampiezza di particolari che abbiamo già visto in passato.

E' il castello di Saumur questa volta a campeggiare sullo sfondo del quadretto, mentre in primo piano, per la serie dei lavori agricoli tipici del mese, troviamo la vendemmia.

Anche qui - come in altre miniature - i contadini sono colti nello svolgimento di vari lavori e in atteggiamenti diversi. Tuttavia, a ben guardare, questa parte non rispecchia uguale finezza descrittiva nè del castello soprastante, nè delle raffigurazioni dei mesi precedenti. Qualche posa grottesca, la natura vista in modo un po' sommario e una certa grossolanità del tratto fanno pensare che la mano del miniatore non sia sempre la stessa e mettono in dubbio la completa attribuzione ai fratelli Limbourg.

Vero pezzo di bravura è, al contrario, la rappresentazione del castello
irto di guglie e pinnacoli riccamente decorati dagli autori con raffinatezza e vero gusto da orafi.
La presenza di poderose torri agli angoli della costruzione ne rivela lo scopo difensivo che tuttavia è mascherato dall'insieme delle infiorettature, come se un abito fiorito volesse consegnare il castello al mondo delle feste e delle favole più che a quello militare.

Ma anche in questa immagine, oltre alla cura del dettaglio, non manca una certa attenzione al realismo. Davanti all'edificio infatti, un cavallo sta attraversando il ponte levatoio, una figuretta femminile con un paniere sulla testa si dirige all'entrata forse verso l'ala delle cucine, mentre da destra altri animali giungono probabilmente dai campi
.
Piccoli dati di concretezza che, ancora una volta, collocano il "Ciclo dei Mesi" a metà strada tra la rappresentazione ideale di un mondo ordinato dall'alto nei suoi ritmi stagionali e lo sguardo attento di chi non perde di vista la quotidianità.

A commento di questa miniatura, uno dei più famosi pezzi di Bach: il "Concerto brandeburghese in Sol maggiore n.3 BWV 1048" qui riportato nei suoi primi due movimenti: l' Allegro, rigoroso e insieme scintillante nella sua struttura contrappuntistica, e il brevissimo Adagio che prepara la vivacità dell'ultimo tempo.
Entusiasmante la direzione di Karl Richter impegnato anche come interprete, all'interno di una cornice elegante e fastosa.


Musica al castello, allora!
Buona visione e
buon ascolto!

sabato 24 settembre 2011

Un Bach tra penombra e luminosità

Parlavo qualche giorno fa su questo blog di strumenti musicali, osservando - cosa certamente ovvia - che ciascuno di essi ha una propria specificità, un suo timbro, una sonorità particolare che si arricchisce nel dialogo con le altre sezioni orchestrali.

Sotto le mani esperte di un musicista poi, ogni suono può essere diversamente modulato: più dolce o sottile, più potente o aggressivo.
Ma al di là di questo, ogni strumento porta in sè una vibrazione particolare che, come un'onda più o meno intensa, attraversa il corpo dell'esecutore che a tale onda risponde con la propria passione divenendo tutt' uno col suo strumento.
Se c'è questa passione, ogni suono, anche il più lieve, può farsi così avvolgente da rapirci o così luminoso da entrarci nell'anima.
Dal violino al pianoforte, dall'organo al flauto, tutto può operare lo stesso effetto, giungere allo stesso scopo.

Trovo interessante, perciò, ascoltare talvolta lo stesso pezzo eseguito da strumenti diversi per cogliere le svariate sfumature di un'unica bellezza - quella della Musica - simili a sfaccettature differenti di un unico prezioso cristallo.

Per questo, oggi ho deciso di postare il secondo tempo, "Siciliano", dalla "Sonata in Mi bemolle maggiore per flauto e cembalo BWV 1031" di Bach. Il brano infatti, incantevole e famosissimo, nel tempo è stato trascritto per numerosi altri strumenti.
Lo propongo qui in due versioni, quella originaria e una trascrizione per pianoforte: due sonorità diverse, ma anche due differenti letture.
Da un lato, una dolcissima fioritura barocca di modulazioni sul flauto, mirabile coniugazione di limpidezza e rigore, ritmo e luminosità dove il dialogo dello strumento solista col cembalo si articola con delicatezza e precisione.
Dall'altro, lo spessore profondo, quasi romantico (...!) del pianoforte che, nelle battute introduttive, può ricordarci addirittura l'atmosfera densa di penombra di una sonata di Beethoven.
Ma, al di là di questo riferimento, l'esecuzione al piano, col suo tocco dolce e misurato, riporta alla mente anche Mozart, in particolare l'intensissimo Adagio del Concerto per pianoforte K.488 - postato da me tempo fa - che si apre quasi sulla stessa melodia e con lo stesso tempo di 6/8 del pezzo di Bach.
E' la meraviglia degli strumenti - ma certo anche delle diverse interpretazioni - che suscita da un brano suggestioni sempre nuove e ci parla attraverso la magìa dei suoni.

Buon ascolto!


martedì 20 settembre 2011

Leggerezza

L'anno di lavoro è già iniziato, la scuola pure.
Le vacanze, ormai un ricordo lontano se non nel tempo forse già nel cuore, presi come siamo - più o meno tutti - da compiti grandi e piccoli, progetti, incombenze, responsabilità e via dicendo.


E' la vita, è la sua bellezza, il suo sapore.

Ma sapore anche di fatica, certo: conosciamo in tanti quel vortice da cui ci si sente presi quando l'agenda è fitta di impegni, soprattutto se molti di questi non sono lavori da svolgere a cuor leggero, ma fonte di tensione.


Allora, torna ogni tanto il desiderio di leggerezza, non solo come tempo che ci consenta di ricaricarci (....le vacanze sono appena finite!), ma come disposizione del cuore, atteggiamento mentale, sguardo sul mondo.

Ben lontana da superficialità o faciloneria, leggerezza è la capacità di affrontare la vita con un'attitudine sorridente, con quella levità che permette di non lasciarsi imbrigliare dalla rete di quanto intorno a noi può essere negativo.
Bello poter iniziare la giornata con un sorriso che illumini il luogo di lavoro, o con la capacità di ignorare quella battuta dietro la quale sentiamo l'ombra del sarcasmo; o ancora con la consapevolezza di quanta positività esiste negli altri e quanta può fiorire dal nostro operato e dalle nostre relazioni.
Bello poter iniziare la giornata....con l'anima danzante di chi magari persegue un sogno, un po' come
"Le jongleur de Paris" di Chagall, riportato qui sopra, dove la figura centrale sembra proprio accennare un lieve passo di danza.

Facile??? No, per nulla!!!
Ma l'arte ci aiuta, perchè maestra di Bellezza e quindi di positività.
Un'immagine o una musica che ci restano dentro con la loro luce rasserenante, creano infatti una sorta di habitat dove la gioia può attecchire più facilmente.

Per questo, ad accompagnarci nel nostro cammino, oggi ho scelto il Primo Movimento della "Sinfonia n.4 in Sol maggiore" di Gustav Mahler.
All'inusitato e giocoso suono di campanelli con cui si apre il brano, segue una varietà di temi che - con ricchezza di sfumature diverse - ci regalano proprio la serenità e la levità di una danza.
Un effetto dato anche dall' organico orchestrale particolarmente leggero e dall'eco di arie popolari intrecciate ad elementi classici.

Contribuisce alla bellezza del brano la direzione di Leonard Bernstein - spettacolo nello spettacolo! - con lo slancio, il garbo e l'eleganza che la contraddistinguono e con cui sottolinea l'intensità o la morbidezza di alcuni passaggi musicali.

(Il video riporta solo la prima parte del pezzo e inizia con una certa lentezza....ma niente paura: Bernstein arriva, e con lui la musica!)


Buona visione e buon ascolto!

giovedì 15 settembre 2011

Intensità

Quanto ogni strumento musicale, nella sua specificità, sappia comunicare la bellezza di un suono, è risaputo, così come tutti conosciamo il carattere che conferisce alla musica la particolare voce di ogni sezione orchestrale : dagli archi agli ottoni, dalle percussioni ai legni.
Ogni strumento un timbro, un colore, un'atmosfera.
Ogni strumento una sfumatura e un canto: intenso, lieve, acuto o vibrante.

Ma quando a un musicista, nella sua difficile e magica solitudine, è affidato un brano, non sono in gioco solo le sue conoscenze musicali o l'abilità tecnica, ma è coinvolta tutta la sua persona nel diventare una cosa sola con lo strumento così che le note nascano certo dalle dita e dal respiro o dal corretto movimento delle braccia, ma prima di tutto dalla sua passione.

Se poi al solista si accompagna l'orchestra, allora l'effetto si amplia e gli strumenti divengono voci d'anima che dialogano tra loro o riempiono di spessore una melodia creando di volta in volta profondità o leggerezza, delicatezza o intensità.


Proprio l'intensità mi pare la caratteristica più evidente del brano che propongo oggi, sia nelle parti dove i singoli strumenti fanno da solisti, sia dove a loro si affianca l'orchestra nel suo crescente afflato di serenità.

L'
"Intermezzo" dalla "Carmen" di George Bizet posto a preludio del terzo atto, è infatti un pezzo di largo respiro che, dal tema iniziale dolcemente enunciato dal flauto con l'accompagnamento dell'arpa, procede poi aprendosi a tutta la compagine orchestrale.
Con ritmo lento e pacificante, la musica sale pacatamente fino a culminare in una limpida apertura di note dalla quale, dopo essere tornata più volte su se stessa, la melodia scende smorzandosi con gradualità.

E mi piace associare lo splendore di questo brano alla suggestione del quadro di Van Gogh riportato sopra :"Campo di grano sotto un cielo nuvoloso"

Certo: l'Intermezzo è una parentesi di luminosità mentre il quadro ci presenta un'atmosfera plumbea. Ma è altro ciò che mi interessa notare.
Al di là della sua collocazione e del suo significato nell'arco della produzione del pittore, trovo il dipinto affascinante per la particolare gradazione dei colori: tinte forti, ma non violente come in altre opere di Van Gogh e pennellate più distese.
Apertura e intensità mi sembrano le cifre più rilevanti di quest'immagine. Qui infatti il verde chiaro e l'azzurro cupo - in contrasto sì, ma sempre nella stessa gamma di colori freddi - aprono una prospettiva verso l'orizzonte dove, proprio come le note del brano, si caricano di progressivo spessore.

E la musica che verso la fine del pezzo riecheggia più volte il tema principale, sembra avviarsi alla conclusione attraversando ogni piccola sfumatura di colore, come le gradazioni del mirabile dipinto.

Buon ascolto!


domenica 11 settembre 2011

Undici Settembre

......"Ma nel cuore
nessun
a croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato"

(Ungaretti)


Siano i versi di Ungaretti - ieri davanti al paese di San Martino del Carso devastato dalla guerra, oggi davanti a Ground Zero - a rendere omaggio alla ferita inferta all'America, ma anche ad ogni altro essere umano.


E insieme sia fonte di speranza la
Sinfonia n.9 in mi minore op.95 "Dal nuovo mondo" di Antonin Dvorak, nella prima parte del suo dolcissimo Adagio.

Buon ascolto!

mercoledì 7 settembre 2011

"Chi spegne il giorno colora i nostri sogni..."

L'estate ha lasciato il posto a giornate un po' più fresche e settembre, col suo interregno tra la calura agostana e le prime brume autunnali, ci sta regalando aria trasparente e colori sfumati.

C'è una grande morbidezza in questo digradare della stagione verso l'autunno, una morbidezza che la natura mette in evidenza soprattutto all'alba e sul finire del giorno. A sera in particolare, l'intensità della luce che si smorza ci fa cogliere con maggiore dolcezza quell'istante in cui il sole tramonta e "le cose diventano tutte d'un colore"
, in attesa di un buio che le avvolga come una tenda leggera e protettiva.

Per questo, mi sembra adatto al momento un canto come
"Improvviso" di Bepi De Marzi anche se, forse, non è stato pensato proprio per la fine dell'estate.
Il testo - con tratti di vera poesia - lascia immaginare il calar della sera mentre, nei prati, i fiori chiudono le loro corolle e le ombre scendono a velare i monti di azzurro.

Ma sono ombre che non fanno paura perchè segno della natura che si addormenta vegliata da Chi "conosce i nostri sogni".
E' l'immagine di un mondo che chiude la propria giornata sotto un manto di protezione di cui essere consapevoli e grati (
"Dalle contrade si mandano la voce: tutta la valle racconta il nostro bene").
Ci si può abbandonare così alla certezza che Chi ha creato tutto ciò partecipa dal profondo ai desideri dell'uomo arricchendoli di splendore e di speranza (
"Chi spegne il giorno colora i nostri sogni").

Sembra quasi di sentire nel testo l'eco del Salmo 19 : "I cieli narrano la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento...". Ma vengono in mente anche i versetti del Salmo 36:
"Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino": non un Dio che aspetta al varco l'umanità, ma un padre dallo sguardo sorridente e attento, che si compiace della gioia dei suoi figli per i quali ha creato un cosmo pieno di meraviglie.

"Improvviso" è cantato dalla "Corale Esseti Major" di Scandiano che offre una pregevolissima esecuzione.

Buon ascolto !

L'ombra che viene azzurra le colline

giù nella valle si chiudono le rose.
Chi spegne il giorno conosce bene il sole,

chi spegne il giorno colora i nostri sogni.

Dalle contrade si mandano la voce:

tutta la valle racconta il nostro bene.

L'ombra che viene azzurra le colline,

chi spegne il giorno conosce i nostri sogni.

L'ombra che viene. Oh........


giovedì 1 settembre 2011

"Foglie di Beslan" : note scavate nell'abisso del cuore.

Cade in questi giorni il settimo anniversario della strage di Beslan, massacro avvenuto nel 2004 in una scuola dell'Ossezia del Nord, ad opera di un commando di terroristi che ha lasciato dietro di sè quasi 400 morti di cui 186 bambini.

Non è facile commemorare un simile evento perlomeno a parole. Talora può diventare solo un atto formale che rischia di togliere spessore al nostro dire : capita infatti che, a volte, le parole restino discorsi d'occasione e non riflettano la reale vicinanza dettata dal cuore.

Forse occorre ritrovare il senso della lezione di Ungaretti che, a proposito della poesia - quindi anche del proprio modo di comunicare - scriveva: "Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso."
Ecco, serve davvero un'espressione che nasca dall'abisso del cuore : non plastica frusta, ma carta filigranata da osservare in controluce per scoprirne la preziosa trama segreta!

Ma credo che questi versi ungarettiani si possano applicare anche alla musica.
Ci sono infatti profondissime vicinanze d'anima che nascono a monte delle parole o delle note, anche se poi di queste si servono. E quando ciò accade, il cuore autentico affiora dallo scritto o dai suoni che regalano veri accenti di poesia.

E' il caso di "Foglie di Beslan", brano di Allevi per pianoforte e orchestra tratto dal cd "Evolution" (2008), che il compositore ha dedicato esplicitamente alle vittime di quella tragedia: note come parole d'amore e di pietà, ma anche ribellione ad ogni forma di violenza, soprattutto quella contro l'infanzia.
Il pezzo si apre sui bassi frementi del pianoforte, simili a un tuono lontano che annuncia il temporale, a introdurre il tema del brano: un'aria di struggente malinconia.
Questa è poi ripetuta più volte : ora sommessa e dolce - pianto, invocazione e ninna-nanna ad un tempo - dove alla delicatezza dello strumento solista risponde l'intensità dell'orchestra con straordinari "pianissimo"; ora pervasa da ritmi più forti e martellanti.
Una serie di passaggi di tonalità - peraltro frequenti nella scrittura musicale di Allevi - conferisce infatti sempre maggiore drammaticità al brano, quasi il compositore avesse immaginato una strage degli innocenti simile a quella di Guido Reni riportata nella foto, intrisa di violenza e ferocia, dolore e compianto.

Tuttavia non è solo il ricordo della tragedia in queste note, ma un intero mondo di affetti che qua e là affiora con l'eco lontana di cantilene e giochi, come un abbraccio pietoso a nascondere l'orrore.

Significativo anche il titolo che, con l'immagine delle foglie, suggerisce il senso di una fragilità spazzata via dal turbine dell'uragano ma allo stesso tempo fatta di tenerezza, come sola può essere la piccola esistenza di un bimbo.

Buon ascolto!