giovedì 28 aprile 2011

La voce di Lolek

Difficile per me trovare parole adeguate ad un evento di tale spessore come la prossima beatificazione di Giovanni Paolo II, evento che - come certo ogni altra beatificazione - è una porta aperta verso l'infinito, ma che in questo caso interpella con particolare forza noi contemporanei.
Papa Wojtyla, infatti, non è un'immaginetta d'altri tempi, un santino o solo una pagina sia pure importante di storia o di agiografia.
E' invece una persona di cui, anche attraverso i media, abbiamo condiviso alcune vicende quasi da testimoni oculari, partecipando col cuore ai momenti drammatici della sua vita, coinvolti dalla sua sofferenza come dalla sua fede e dalla sua grinta.


Non sta a me ricordare eventi che tutti conosciamo: dalla giovinezza di Karol (Lolek per gli amici) segnata dal lavoro in fabbrica, dalle passioni per la poesia e il teatro
, ai lunghi intensissimi anni di pontificato. Ma mi piace soffermarmi qui oggi su di un particolare aspetto, un dato fisico ed espressivo a mio avviso non trascurabile : la sua voce.

A colpirmi per prima infatti, dal giorno della sua elezione a Papa, è stata proprio la voce: forte, sicura, calda, giovane, con quell'inflessione straniera che lo portava a chiudere le "o", pronta a risuonare coraggiosa in ogni angolo di mondo, a guidare un canto insieme alle folle di giovani, con quel timbro confortante capace di incoraggiare o talora, incisivo, volto ad ammonire.

Q
uella stessa voce si sarebbe più tardi indebolita, incrinata e infine spezzata: prima gagliarda, poi sempre più tremante e impastata di sofferenza perchè non fosse il Papa bello e televisivo, sportivo ed attraente ad emergere, ma "l'Essenziale invisibile agli occhi".

Tutti ricordiamo
- in una delle sue ultime apparizioni alla finestra dello studio - il suo gesto di dolore e forse d'impazienza, quel portarsi la mano alla fronte quando, nonostante lo sforzo, non era riuscito a parlare. C'era tutta la sua umanità in quel moto spontaneo, in quel pianto certo più esplicito di tanti discorsi perchè si può essere voce, sostegno, grido, testimonianza in molti modi: con lo sguardo, coi gesti, con la malattia, con le lacrime.
Anche col silenzio.

Allora, proprio alla sua voce così sofferta voglio dedicarne oggi un'altra, quella della Musica, con uno dei brani più trascinanti che io conosca.

Il
"Cum Sancto Spiritu" della "Petite Messe Solennelle" di Rossini è infatti un coro straordinariamente gioioso, dove le varie parti che costruiscono l'architettura del pezzo s'inseguono salendo con vivacità ma al tempo stesso con serena distensione, e dove la tipica esuberanza rossiniana degli accordi introduttivi si stempera in quasi danzante levità.
E i sorrisi che fioriscono sui volti dei coristi parlano di una gioia che viene dall'anima profonda della musica e dal testo al quale il canto ridona vita.

Così pure, il richiamo allo Spirito che conclude il "Gloria" mi sembra in sintonia con quel vento che, il giorno del funerale di Giovanni Paolo II, ha sfogliato le pagine del Vangelo posto sulla sua bara
, quasi a sigillo della sua vita terrena e sostanza di quella futura.

Buona visione e buon ascolto!
 

sabato 23 aprile 2011

Buona Pasqua!



A tutti voi  
che passate di qui,

BUONA PASQUA


nella gioia 

della Musica !!!



 

 
Fra' Evangelista da Reggio, Corale miniato: "Resurrezione" - Ferrara (Museo del Duomo).
Mozart
, "Grande Messa in do min. K.427" : "Sanctus".

venerdì 22 aprile 2011

Venerdì Santo


GIOTTO, "Deposizione" - Cappella degli Scrovegni - Padova.


ROSSINI, "Stabat Mater" : "Quando corpus morietur..."








sabato 16 aprile 2011

Restare umani

Credo di aver già espresso in altre occasioni, su questo blog, il mio apprezzamento per la musica di Sting.
Mi affascina la sua voce straordinaria, roca e delicata ad un tempo, vero strumento musicale, e mi piace il tipo di armonizzazione che accompagna le sue composizioni a metà strada tra rock e pop, ma aperte anche alla rielaborazione di pezzi classici.
Ne ho riportato alcuni esempi mesi fa, postando due brani tratti da "If on a Winter's Night".

Oggi desidero invece condividere una canzone che risale al 1985, ma ancora famosissima e ricca di un fascino senza tempo: "Russians".

Il brano, tratto dal primo album di Sting da solista, "The Dream of the Blue Turtles" , ha un forte significato politico e fa riferimento al periodo della "guerra fredda" tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Nella sua protesta contro la guerra, Sting si pone al di sopra dei due contendenti, superando la logica della sopraffazione e facendo appello a un discorso umano che tocca entrambi.
Significative a questo proposito alcune parole del testo:

"
We share the same biology/ Regardless of ideology/ Believe me when I say to you /I hope the Russians love their children too" (Condividiamo la stessa biologia, indipendentemente dall’ideologia. Credetemi quando vi dico : spero che anche i Russi abbiano figli da amare).

E' proprio questa condivisione di umanità presente nella canzone e il suo invito a restare umani al di là di ogni contrasto, che mi ha toccato e mi spinge oggi a postarla qui dedicandola a Vittorio Arrigoni, il pacifista ucciso a Gaza due giorni fa da estremisti salafiti.
Contesto differente, certo, così come l'epoca e gli avversari in gioco. Tuttavia,
trovo profonda sintonia tra le parole di questo ritornello e l'deale del volontario ucciso, l' esortazione "Restiamo umani" che aveva dato il titolo anche ad un suo libro e che oggi, dopo la sua barbara uccisione, suona come un grido ancora più accorato.

Ma c'è anche un altro motivo, strettamente musicale, a rendere interessante una canzone come "Russians".
Qui infatti, ancora una volta Sting dimostra il suo amore per la musica classica dalla quale ha preso spunto ispirandosi alla romanza
della suite "Lieutenant Kijé" di Sergej Prokofiev.
Si tratta di un pezzo di malinconica solennità che il cantante ha rielaborato con la sua voce che si dilata grintosa, sottolineandone il ritmo e conferendo forza all'originaria morbidezza della melodia del compositore russo.


Per quanto della canzone personalmente preferisca le interpretazioni più datate, ho scelto la versione orchestrale proposta da Sting nel Simphonicity tour dello scorso anno perchè presenta un ulteriore richiamo a Prokofiev.
Nell'introduzione ricca di suspence quasi fosse la colonna sonora di un thriller e diretta con straordinaria energia dal Maestro Steven Mercurio,
gli accordi che risuonano fortissimi e imponenti prima che Sting inizi a cantare riprendono infatti la famosa "Danza dei cavalieri" dal "Romeo e Giulietta".

Buon ascolto!




mercoledì 13 aprile 2011

Aprile

E' un fidanzamento tra persone di alto rango la scena raffigurata dai fratelli Limbourg nella miniatura del "Ciclo dei Mesi" che rappresenta Aprile, una scena di stampo cortese nella luminosa cornice di una giornata di primavera.

In primo piano, su di un verdeggiante prato delimitato da boschi, spiccano le figure dei protagonisti: i fidanzati con i rispettivi testimoni nell'atto di scambiarsi gli anelli, mentre due dame accanto a loro colgono fiori.

Vivaci i colori degli abiti e dei raffinati mantelli alcuni dei quali riprendono il blu del cielo e della lunetta, così come eleganti sono le linee sinuose che accompagnano bordure ed orli dei panneggi spesso damascati.


Il gusto dei particolari tipico di queste miniature non si manifesta però solo nei ricami delle stoffe, nella varietà del copricapi e delle acconciature, ma anche nella cornice paesaggistica. Sulla destra infatti, si possono notare le aiuole ordinate di un giardino chiuso e persino i fregi che adornano il muro dell'edificio, mentre accanto al castello che si disegna sullo sfondo, si raccolgono le casette del borgo davanti al quale si apre un laghetto con due imbarcazioni e una chiusa.

E' tuttavia meno imponente del solito il castello qui raffigurato, e nonostante la ricchezza di particolari descrittivi, resta davvero secondario forse perchè si vuole che l'attenzione dello spettatore converga tutta sulla scena del fidanzamento che si svolge all'aria aperta in un'atmosfera gioiosa e tersa.

I colori e la distensione del paesaggio conferiscono infatti un senso di serena pace al quadretto che non celebra - questa volta - i ritmi del lavoro contadino, ma la vita della nobiltà in tutta la sua piacevolezza. E si tratta di una nobiltà di sangue, ma certo anche di cuore che spira prima di tutto dagli atteggiamenti: gli occhi bassi della fidanzata, gli sguardi pacati dei presenti e i gesti delicati delle mani.

A commento di questa immagine, il II movimento della "Fantasia para un Gentilhombre" di Joaquin Rodrigo, brano che alterna momenti di malinconica dolcezza ad altri più vivaci e ritmati e che qui si avvale della splendida interpretazione della giovane chitarrista Petra Polackova.

Buon ascolto
!

sabato 9 aprile 2011

Se gli oggetti parlano...

Leggo sul "Corriere della Sera" di oggi che i detriti del recente tsunami che ha colpito il Giappone stanno andando alla deriva nel Pacifico e hanno formato una sorta di isola, una piattaforma dai contenuti eterogenei che si muove portata dalle correnti e dal vento.
Ci sono autoveicoli, imbarcazioni, interi edifici con il loro corredo di oggetti domestici, una quantità imprecisata di plastica, una marea
immensa che col tempo giungerà probabilmente sulle coste americane.
E - come afferma il velista Soldini, autore dell'articolo - è senza dubbio un enorme disastro ambientale che sconvolge l'ecosistema di tutto l'oceano, oltre a mettere a rischio la navigazione.

Ma questa massa di detriti alla deriva che fino a ieri erano cose vive, se certo mi fa pensare al destino che - letteralmente - ha spazzato via un'intera compagine esistenziale disperdendola come fosse
"vanità", tuttavia mi conduce anche ad altre considerazioni.

Penso infatti che, in realtà, quegli oggetti parlino ancora e non siano solo il grido evidente di una tragedia senza pari, ma davvero raccontino la vita in tutto il suo valore: lavoro, progetti, relazioni, cultura, desideri, sogni, amore, sofferenza. A chi li trovasse in alto mare come si trova un messaggio in una bottiglia, sarebbero in grado di raccontare mille vicende, ricostruire mille storie per quell'intensità di cui si caricano a volte anche le cose - soprattutto quelle che amiamo - e ce le rende così vicine.

E proprio a questo proposito, mi sono venute in mente le immagini di un vecchio film di Bruno Bozzetto, "Allegro non troppo", dove sullo schema della "Fantasia" di WaltDisney, si susseguono episodi di animazione con la colonna sonora di brani classici.
Ricordo in particolare l'episodio commentato dal "Valzer triste" di Sibelius nel quale un gatto sparuto si muove tra le rovine di una casa abbandonata che attende di essere abbattuta.
Aggirandosi tra le macerie, ora spaventato ora incuriosito, in cerca di cibo e di ambienti che ormai non esistono più, il gatto ricorda la vita che vi si svolgeva un tempo e ricostruisce nella sua immaginazione la casa calda di affetti e relazioni.
Nei suoi grandi occhi gialli si aprono allora squarci di sogno dove le stanze s'illuminano e il vuoto si rianima. Scorre così il quotidiano con le sue gioie, la tavola, la danza, il gioco, la festa, ma poi il miraggio si spegne negli occhi del micio affamato e il buio torna a inghiottire le macerie della casa che verrà distrutta.

Resta l'onda dei ricordi, sottolineata dalla struggente musica di Sibelius alla quale Bozzetto ha sapientemente adattato la sequenza delle immagini.

Buona visione e buon ascolto!


lunedì 4 aprile 2011

"L.A. Lullaby" : ninna-nanna per una metropoli

Scrivevo giorni fa di musicoterapia riferendomi alla capacità della musica di risanare nel profondo quasi ricostruendo il nostro tessuto interiore.
Ma l’argomento potrebbe andare oltre suscitando qualche interrogativo.

Su chi la musica esercita il proprio potere terapeutico?
Solo su chi ascolta o non forse anche su chi esegue o, prima ancora, su chi compone?
Certo, immensa dev’essere la gioia di chi può rivestire questi ruoli contemporaneamente eseguendo la propria musica: un’emozione viva, una full immersion nel cuore della musica stessa che, a mio avviso, crea il miracolo e fa sì che essa diventi terapeutica per tutti, in un'onda sempre più larga che va dall’autore all’ascoltatore.

E al di là del fatto provato che essa attiva nel cervello reazioni positive sollecitando la chimica del nostro organismo, resta comunque per certi aspetti misteriosa questa comunicazione emotiva che passa da anima ad anima quasi da ferita aperta a ferita aperta, se mi si consente l’espressione un po’ cruda.

Ma altrettanto misteriosa, per altri versi, è anche l'origine dell’ispirazione artistica.
Essa infatti, se spesso trova le sue radici nel vissuto, di questo vissuto svela poi dimensioni e sfumature inusitate con uno sguardo che viene dall’alto e va oltre le apparenze. Così, si può essere immersi nell'ombra e vedere la luce, procedere dove è squallore e cogliervi solo un anelito alla bellezza.


E’ il caso di “L.A.Lullaby”, un brano tratto da “Alien”, l’ultimo cd di Giovanni Allevi.

Qui – come già era stato per “Notte ad Harlem” ispirato al famoso quartiere newyorchese – l’autore prende spunto da un suo soggiorno a Los Angeles (L.A. appunto) dove ha concepito la melodia non per le vie di Hollywood o dei quartieri alti, ma aggirandosi nella periferia della metropoli, quella degradata downtown descritta da Lopez nel romanzo “Il solista”, o da Bukowski, per fare qualche esempio.

Eppure, da un contesto di desolazione è fiorita la dolcezza, quasi lo sguardo del compositore avesse colto l’anelito di paradiso, l’angelo che abita ovunque il cuore di ogni uomo. E' come se la sua percezione fosse scesa fino all’essenziale, svelando della realtà circostante quella segreta identità – quel “Come sei veramente” per dirla proprio con Allevi – che solo uno sguardo di amore sa leggere.

Ne è nata così una ninna-nanna ricca di cantabilità e leggerezza, dove la ritmica contemporanea si fonde a richiami classici, in particolare a Chopin che Allevi mostra di aver assorbito fin nell'anima e ci sa restituire non come semplice citazione, ma fatto ormai cosa sua.


Lasciamoci portare allora da questa ninna-nanna che a tratti diviene quasi danza e dalla serenità che essa ci regala, mettendoci a contatto con la limpida segreta verità delle cose.


Buon ascolto!


sabato 2 aprile 2011

Il vento della valle

Amo i canti di montagna.
Devo averlo già detto una volta, di sfuggita.
Mi riportano sui banchi di scuola, mi ricordano le gite fatte in gruppo alle soglie dell’adolescenza, con l’eccitazione delle prime uscite fuori casa e l’ansia del nuovo nel cuore.

Avevamo un insegnante - mitico per genialità e rigore - che, sul pullman che ci portava in giro per monti o città d'arte, si mescolava a noi cantando e organizzando i nostri cori. Pendevamo dalle sue labbra, perlomeno noi ragazze…..e ci esaltavamo quando, alla fine, si riusciva a mettere insieme qualche brano a più voci, coinvolti dalla sua passione trascinante. Aveva la capacità di far cantare tutti, anche gli stonati; piuttosto che escluderli, faceva ripetere loro una sola nota : "Tu fai il vento della valle!” disponeva imperioso, e funzionava.

Erano appunto canti di montagna, e sono stati per così dire il mio iniziale approccio alla musica appena prima che passassi alla classica : "Il testamento del capitano", Era una notte che pioveva", "La montanara", "Monte Canino"..….e tanti altri.

Avevo un librettino con le parole e sulla copertina la foto delle Pale di San Martino, un librettino che mi seguiva in ogni gita ormai sgualcito e squinternato, ma per me prezioso più di una bibbia. Poi una volta, dopo l’ennesimo viaggio stipato in una tasca dello zaino, non l’ho più trovato e mi è parso di perdere un pezzo di mondo.

Vivevamo esperienze di gruppo ricche di gioiosa intensità: ciascuno faceva la sua parte e il risultato ci univa consentendoci di percepire, nel nostro piccolo, la gioia di produrre qualcosa di bello. Io facevo sempre la seconda voce, mi riusciva bene e mi piaceva cercare sotto la melodia le note giuste per farne fiorire lo spessore.

Tutto questo mi è venuto in mente oggi quando, navigando su youtube, mi sono imbattuta ne “La ceseta de Transaqua” e si è ridestata in me l’antica emozione. E’ infatti il canto che, allora, il nostro prof. preferiva. Gli si illuminava lo sguardo di passione, mentre lo cantava, e noi dietro a lasciarci inondare l’anima di bellezza.

Dedico quindi a lui questo post, anche se magari non passerà mai di qui perché, tra gli svariati interessi che coltiva ora che da anni è in pensione, temo non ci sia l’informatica. Ma ricordarlo in queste righe è comunque per me un segno di gratitudine a chi mi ha iniziato allo splendore della musica, compresa poi quella classica, insegnandomi ad amarla con passione.

Buon ascolto!